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lunedì 6 settembre 2021

MARIA RIZZI LEGGE: "DENTRO L'URAGANO" DI FRANCO CAMPEGIANI



Maria Rizzi su “Dentro L’Uragano” di Franco Campegiani - Pegasus Edizioni                            

Maria Rizzi,
collaboratrice di Lèucade

Ho ricevuto la Silloge “Dentro l’uragano” dell’amico Franco Campegiani, vincitore del prestigioso Premio di Roberto Sarra Golden Selection 2021 e pubblicato dalla Pegasus Edizioni, e sono rimasta travolta dal ciclone di versi, per cui ho chiesto aiuto al Poeta che scrisse “Tieni duro cuore, così almeno vivi!” La forza tellurica dell’Opera di Campegiani, introdotto da un magnifico Aldo Onorati, non a caso prende il via dalla “Lettera a Pier Paolo”, rispondendo alla lirica di Pasolini “Io sono una forza del passato”, che esprime l’importanza di far vivere e amare la tradizione. Essere una forza del passato significa percepire la parte più vitale della nostra Memoria. La parola forza nel testo è legata a un concetto di dinamismo non necessariamente connesso al movimento. Sta a indicare il non  identificarsi nel passato e non provenire da esso, piuttosto il vivere al presente sollecitati da forze multiformi.  Il Nostro si ispira a questa Poesia proprio nel senso vitalistico della simbiosi con la madre - terra e della forte volontà di volgere al presente e al futuro l’insegnamento di Pasolini. Pur nella presa di coscienza dell’ “abbandonato aratro / ruvida penna con cui scrivevano / gli avi nei nostri campi”, l’Autore recita: “Pier Paolo, / ma la madre non muore, / è vita perenne, un viaggio infinito. / Vengo nella Dopostoria con te, / la palingenesi è inesorabile” . Nel lasciarsi trascinare dall’uragano non si può prescindere dal Poeta - Filosofo, che scrive con l’inchiostro e il sangue, rompendo gli schemi, compiendo inconsapevoli rivoluzioni. In Campegiani il senso del rinnovamento dell’individuo è dato per scontato, tutte le religioni del mistero tendono tramite i loro rituali, a distruggere l’uomo vecchio e far risorgere l’uomo nuovo. Plutarco, d’altronde asseriva “Iniziarsi è morire” e la teoria dell’armonia dei contrari, elaborata negli anni dal nostro prolifero pensatore Poeta, poggia le proprie basi sulla distruzione che darà adito alla rinascita. Coloro che lavorano la terra rappresentano un popolo eletto, ma Campegiani è consapevole che lo stato è più lontano del cielo dai contadini, non importa quali siano le sue formule politiche, la sua struttura, i suoi programmi. Il progresso strazia la sua anima, l’anima di chi è consapevole che non solo con il lavoro, ma con il proprio sangue feconda madre - terra.   

 

“Puntuale e copiosa, mia terra,

 nell’ossequio sacrale elargisci

 le tue messi a me contadino.

 Ultimo della mia stirpe

 e ultimo forse

 dell’umanità progenie,

 invano cerco di esserti umile figlio,

 pur lacrimando sconfitto e indifeso” - tratti da “Non avere pietà”

 

La ‘terrestrità’ della quale l’Autore è paladino, nella Silloge si esprime in tutto il suo moto circolare. La sua rabbia, tinta di speculazioni filosofiche, tende a colpire il villaggio globale nel quale viviamo oggi e che, come la maggior parte dei villaggi, è tutt’altro che ideale. Ci ha ridoti a esistere ‘in fotocopia’, per adottare un termine di Campegiani, del quale sono proselita da molti anni. “E solo tenebre incontri / senza più coscienza delle tenebre, / case nere lungo i viali asfaltati / senza più finestre, / un dolore inconsapevole, / una notte senza sbocchi / che rifiuta l’impasto con le aurore” - tratti da “Case nere lungo i viali asfaltati” . In effetti una zolla di terra si potrebbe paragonare a un grande santo, che guarisce, ripara e resuscita ogni cosa. Dentro di lei le cose malate diventano sane, la vecchiaia si trasforma in gioventù, la morte diventa vita. Eppure al giorno d’oggi le persone sono occupate a uccidere le zolle di terra. “Nessuno può estirpare la vigna, / né l’orto o il frutteto. / Qui forse, nel solenne artificio, può sembrare il contrario, / ma mani invisibili coltivano ancora /e i ramarri sfrusciano / e gorgheggiano i cuculi”- tratti da “Concerto di primavera”. L’Autore crede nella palingenesi: tutto nasce dalla terra e a essa ritorna. “Saggia campagna / malgrado i tanti secoli / prolifichi sempre copiosa. / Tu amante, tu madre, ti doni / e urla il contadino nell’amplesso di puro amore”- tratti da “Tellure” . E il moto tellurico del canto del Poeta non deve indurre a crederlo teso alla negatività, egli è convinto che la vita stessa sia un transito, ma non vuole che divenga una triste camminata tra le macerie della storia. Sostenuto dalla teoria degli opposti il Nostro, a mio umile avviso, sembra asserire che oggi siamo a disagio perché non sappiamo vivere fino in fondo l’esperienza della dissoluzione dell’essere. “Seppure si sfaldasse un dì la terra / e si schiantasse il grembo antico di frescure / noi cadremmo dove non si può morire, / là nel più segreto degli abissi, / nel centro di pulsazione universale” - tratti da “Tutto tornerà al suo posto”. Passionario, verace, veemente, l’amico Poeta si rivela in questo testo, più che nelle altre Sillogi che ho avuto l’onore di leggere, abitante della letteratura e abitante del mondo, inserito nel tempo presente, nella dolorosa ‘pulsazione dell’universo’, nel grande cuore dell’umanità con il suo movimento di sistole e diastole. I poeti migranti, legati alla terra, martoriati nel vederla mutare e vivendo tale cambiamento quasi fosse l’esperienza della loro nascita, visitano luoghi notturni o solari della coscienza, che una lingua a noi sconosciuta spalanca alla loro vista. Anche le poesie d’amore, strazianti nella loro incandescente bellezza, dimostrano quanto Campegiani sia un predestinato.

 

“Morire in te,

 nei neri laghi

 dei tuoi occhi limpidi,

 come sole che muore

 nel notturno mare.

 Spegnermi come si spegne

 questo ciclone di fuoco che cade

 nella rete del pescatore.

 Così, languente,

 cadere anch’io mollemente

 nella rete pescatrice

 dei tuoi capelli al vento

 nella dolce sera.

 E come stella accendermi

 nel golfo delle tue ciglia vivide,

 nel palpito fremente

 del grembo universale”  - la lirica “Morire in te”

 

La donna, intesa come mito cosmico, come allegoria dell’utero universale, ovvero della madre - terra, riporta a concetti fondamentali del Nostro, che da sempre celebra il mito in qualità di racconto, mai in senso favolistico. F. Nietzsche asseriva: “Il vero amore pensa all’istante e all’eternità, mai alla durata”, Campegiani pur lontano da ogni atteggiamento nichilista, credo possa sposare questa frase nel modo visionario di intendere il rapporto con l’altro sesso: “fuggirai ancora, lo so, / nell’insondabile mistero /insieme a tutto ciò che è altro / e diverso da me. / E’ novembre e un vento di primavera / scende nei vicoli dei cimiteri, / spruzza fragranze / nei vuoti calici / dove il glicine spunterà”- tratti da “Alzo il calice”. Le liriche, in relazione all’armonia dei contrari, perno del pensiero del Poeta, sono in levare, prevedono sempre e comunque un’apertura d’ali. Va detto che la Raccolta è polisemica, intrigante, originale, ricca di tributi, di versi di impegno civile, e un tentativo di recensione resta riduttivo. La lettura di un Profeta di tale valore induce a infiniti spunti di riflessione e convince della nostra vulnerabilità. Abbiamo voluto un mondo senza confini e ora prendiamo dolorosamente atto dei limiti dei nostri strumenti. Volevamo sentirci eroi di troppe sfide e abbiamo finito per segnare i veri confini.

 Maria Rizzi  

 

 

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2 commenti:

  1. Questa tua recensione, carissima Maria, è un fiore all'occhiello nella mia antologia critica e te ne sono molto grato. Con grande acume, tu cogli - sulla scorta della lezione pasoliniana - il vero valore della Tradizione e della Memoria, da intendersi come forza vitale che non s'identifica con il Passato e non proviene da esso, quanto "piuttosto con il vivere al Presente": quell'Eterno Presente non "originario", ma "originante"; non storico, ma perennemente calato nell'attualità. E di cos'altro parliamo se non di Spirito, di quel soffio vitale che non ha età pur avendo tutte
    le età? Dipende da noi, e solo da noi, mantenere desto questo faro interiore che nessun progresso materiale può offuscare, se noi non lo consentiamo. Non è il progresso che si deve demonizzare, ma l'uomo che non vuole essere all'altezza morale del progresso raggiunto, divenendo ingordo e calpestando le leggi del rispetto e dell'amore universale. Giacché l'amore - anche quello tra uomo e donna - è molto più di un sentimento, è una legge universale. Quella legge che in sede filosofica definiamo "attrazione di contrari". Ed ecco il parallelismo tra poesia e filosofia del mio universo mentale, da te splendidamente intuito. Grazie di cuore.
    Franco

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  2. Franco mio, sai bene che il tuo mondo mi attrae in modo irresistibile da sempre, ma scrivere della tua poetica è impresa davvero ardua, dopo le prove di Aldo Onorati, di Nazario, di Maria Grazia Ferraris. Mi sento inadeguata e la tua gioia mi commuove a dir poco. L'Opera è un capolavoro! Grazie e un forte abbraccio, che estendo al Vate e agli amici nominati.

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