Angela Ambrosini, collaboratrice di Lèucade |
Caro Professore,
come già annunciato, le
propongo in allegato la mia recensione al libro di poesie della mia carissima
amica Augusta, purtroppo recentemente scomparsa. Di seguito un breve ricordo
della sua biografia artistica.
Un caro saluto.
Angela
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Comunico con profondo dolore la scomparsa
della carissima amica AUGUSTA ROMOLI. Poetessa ispirata, scrittrice, operatrice
culturale dai vivaci interessi anche nel settore storico nel quale segnaliamo
le vicende sulla sorte degli IMI da lei rievocate con singolare spessore nel
saggio "Una storia della Seconda Guerra Mondiale", ispirato alla
tragica prigionia del padre.
http://www.literary.it/dati/literary/r/romoli_augusta/pref_a_una_storia_dalla_seconda_g.html
Diplomata in “Teoria musicale, Armonia e
Pianoforte” è stata lunghi anni assistente alla regia presso la RAI di Firenze,
partecipando alla creazione di importanti programmi radiofonici, tra i quali si
menzionano quelli realizzati con Orazio Costa Giovangigli con cui partecipò
alla messa in onda di “Novelle per una anno” di Pirandello e dei “Promessi
sposi” di Manzoni. Vincitrice di numerosi premi letterari e “Premio alla
Carriera” 2019 del Centro Lunigianese di Studi Danteschi, era collaboratrice
della “Lunigiana Dantesca” e socia attiva della “Camerata dei Poeti” e di
“Pianeta Poesia” di Firenze per le cui associazioni ha allestito eventi
nell’ambito del format da lei ideato “Arte itinerante”. Propongo di seguito in
suo ricordo la mia recensione alla sua vibrante silloge di poesie Assolvenze…Dissolvenze.
http://www.literary.it/dati/literary/A/ambrosini_angela/assolvenze__dissolvenze.html
AUGUSTA ROMOLI, Assolvenze…
dissolvenze, Edizioni dell’Erba, 2020
Una
dialettica tra luci e ombre, questa avvincente silloge di Augusta Romoli che fin
dal titolo, attraverso un lessico cinematografico, ondeggia in un continuo dualismo
tematico chiaroscurale, anche se solo apparente, sulla transitorietà del vivere.
La
struttura esterna del libro si dipana attraverso un ideale spartito musicale
diviso in tre sezioni che tradiscono la pregressa formazione settoriale della
Romoli, studiosa di Teoria musicale, Armonia e Pianoforte: alla prima sezione,
la più estesa, “Il tessuto del tempo”, sottotitolata con la dicitura “andante”,
seguono le altre due, “Reminiscenze” e “Fantasia con fuga”, rispettivamente definite
dai movimenti “adagio” e “presto”.
La
nomenclatura del registro musicale delle sezioni sta alla forma, cioè al fluire
dei versi e alla scansione ritmica delle immagini, nello stesso rapporto in cui
il lessico cinematografico del titolo della silloge sta al suo contenuto, al suo tema portante, come sopra accennato,
cioè l’unione dei due opposti, luci e ombre, sole e tenebre. Ed è in questa
serpeggiante intersezione, per l’appunto, di “Assolvenze e dissolvenze” che la
Romoli tesse la sua tela poetica e conoscitiva attraverso un sofferto cammino
spirituale dove l’alta frequenza di certi lessemi si fa solco netto e visibile
per la meta. Innumerevoli sono i termini legati alla notte, intesa nella
duplice accezione sia di mancanza di luce che di fulgore (buio-stelle). “Lampada
ai miei passi è la Tua Parola, Signore”: il versetto del Salmo 119 occupa
la parte centrale della lirica d’apertura, Logos, a voler additare al
lettore l’equivalenza della “parola di Cristo” con la “Luce”, (termine dalla
poetessa non a caso evidenziato con la maiuscola), della “via da seguire” verso
una “Armonia divina”. Più o meno inconsciamente, la Iluminatio, una
delle tre vie conoscitive del percorso d’estasi mistico, guida l’autrice fin
dall’incipit dell’opera nel doppio binario logos divino e parola
poetica. La lirica intitolata Poesia, ci fornisce infatti la giusta
lettura metapoetica dell’involucro verbale in cui la Romoli si muove: dal
“tunnel oscuro del nulla” che ingoia attimi e anni di vita, “corteggia,
circuisce / il tempo la poesia” fino a dilagare in “prisma di luce-spettro”. La
luce (anche quella della parola poetica)
scaccia le tenebre, ma lungo e tortuoso è il tragitto da seguire, o meglio, da
vivere, in una specie di catabasi alla quale l’uomo è condannato prima dell’ascesa
finale, la “sublime immensità” (Oltre l’alba) nella quale si scioglie
l’opposizione buio-luce. La notte stessa si fa quindi “serena sintesi degli
opposti” (Notte), nel “buio tramato di sciami lucenti” (Nuclei
incandescenti) e rievoca, in una dimensione di lontane affinità e assonanze
sia pur casuali, la notte mistica di san Giovanni della Croce, notte che, “più
grata dell’alba” e con veemenza persino maggiore della luce meridiana, guida il
grande poeta spagnolo verso l’unione mistica con Dio. Parimenti, la nostra
poetessa si affida alla forza conciliante dell’ombra con quest’intimo atto di
abbandono consolatore “tra le tue braccia notte / m’acquieto: fratto era il mio
cuore” (Notte, cit.). Altrove, in chiusura della lirica La volta dei
sogni, ci viene posta la domanda retorica “È dell’Io la notte vera
esistenza / autentica libertà dal giogo diurno?”.
L’immagine
di copertina della silloge (un tortuoso corso di ruscello, opera del figlio
della poetessa), indica, attraverso il motivo del “flumen vitae” il percorso
del vivere, un percorso che, nei versi della Romoli, non è mai scisso
dall’abbraccio con la natura. Innumerevoli sono, secondo un canone di
ascendenza romantica, i riferimenti espliciti e reiterati a un paesaggio voracemente
scrutato e voluto sub specie aeternitatis, quasi alla ricerca di
un’ultra-natura nella materia. Una
poesia dei sensi ma non per i sensi, vettori di sintesi e compiutezza
conoscitiva. Emblematica è al riguardo, tra molte altre, la lirica Sistema
aperto, dove il verso si apre a una speculazione più marcatamente
filosofica nella visione di “quel filo otre la fisicità” di “un sistema chiuso”
e “al di là del retiforme spazio/tempo” nel quale “il vuoto assume forma /…/ di
un nuovo sistema aperto / senza tempo”. È, nuovamente, l’incontro fulgido e
mistico con l’assoluto, con il conseguente annientamento di “spazio/tempo”. Di
qui che l’autrice più volte e, crediamo, non casualmente, disponga l’endiadi “spazio
e tempo” in una versione tipografica con la barra obliqua, motivo per cui,
anche altrove, le coppie “luci/ombre, “colpa/non colpa”, “inganno/apparenza”, “bene/male”,
più che figure retoriche formali, spesso ossimoriche, paiono piuttosto deliberate
contrapposizioni tassonomiche volte a un’esplorazione quasi scientifica dell’universo.
Altrove, l’indagine cambia registro e si addentra nei territori
dell’impegno civile, non solo in termini di tutela della biodiversità e
dell’ecosostenibilità (si vedano L’arca della salvezza e La preghiera
dei coralli), ma anche in un’ottica allargata a foschi orizzonti etici che
la spingono alla composizione di un poemetto finale L’isola dei poeti,
occupante l’intera sezione ultima Fantasia con fuga, nella quale, da una
prospettiva storica futura, parla di un infausto passato già avvenuto (“In
seguito la morte dei valori / universali rese afflitta l’umanità”). Ma il tono
più austero e perentorio è da lei dedicato (crediamo, in onore del padre) a un
concetto inedito di Resistenza, quella degli Internati Militari Italiani,
designati con l’acronimo IMI, che nel loro “NO (all’unisono) / all’asservimento
nazista” furono i “veri / ‘resistenti’ di un’altra guerra”, silente e purtroppo
ancora misconosciuta. “Erano seicentomila, / ‘erano giovani e forti’ / (per
fame 50.00 nei lager / sono morti)” (Quale Resistenza? (nuova luce, 25
aprile 2020).
Torniamo ora a quella certa temperie
romantica dei versi della Romoli che sovente la sospinge a increspature ricche
di pathos, ma mai scomposte. L’ombra di Leopardi (invocato in epigrafe
nella lirica Il sipario a primavera) sembra allearsi con la potenza
immaginifica degli Inni alla notte di Novalis, in particolare
nell’annientamento dicotomico di tempo-spazio, ma queste icone di non premeditata
e pedissequa assimilazione, risultano agenti vivi nell’ampia messe di letture e
studi di cui la nostra poetessa si è via via nutrita anche in virtù di una non
comune frequentazione in settori eclettici del sapere. La sua tenace consonanza
con la natura presenta una forte connotazione visiva che si manifesta persino attraverso
un reiterato schema formale nel quale il paesaggio, veicolato in apertura delle
liriche da un’accumulazione vorticosa di aggettivi e da frequenti asindeti, fa da
eco ritmica al gioco di allitterazioni, enjambement, sinestesie, rime interne
(“un languidore traversò le mie ore”, in Isolamento-tempo di Coronavirus),
e da una certa classicheggiante impostazione delle orazioni che vede nel
genitivo anticipato un espediente di marcata musicalità. Molteplici sarebbero
gli esempi da citare nei quali la meditazione in overture sul paesaggio
si apre a una musicalità distesa e avvolgente per poi approdare a una
riflessione circostanziata sulla vita. Ma, fra tutti, non possiamo non
soffermarci sulla bellissima lirica Si spenge la bellezza di Firenze compresa
nella sezione Reminiscenze dedicata al ricordo del marito. Già nella
precedente poesia Fuga dalla vita, la poetessa si riferisce alla sua
vedovanza come a “questo tornante tormentato / pur prezioso della via terrena”
e anche adesso, davanti alla splendida veduta di Firenze (un tempo condivisa in
“doppio sguardo”) ribadisce il suo “tornante / di nuova solitudine” nel quale,
purtuttavia, il ricordo vivido dell’amato, la sua “ombra / si fa guida di nuova
via, / l’unica sognata, anelando l’Infinito / luce che si fa nuova scia / dal
dissolversi del finito”. È con serenità e con saggezza che Augusta tramite la poesia
“sensazioni ritrova di gioia” e “come
una moviola / ferma quegli istanti, ora presenti” (Pioggia di foglie).
Spesso affiora il vecchio leitmotiv della vita come sogno, come “visione
onirica / nell’azzurro infinito spazio” (Primo suono), ma è un sogno che
non naufraga mai nella ingannevole apparenza del quotidiano, alimentandone, al
contrario, l’indagine metafisica oltre la soglia del fittizio. “Senza desiderio
arriva il saggio alla meta”, recita un vecchio adagio taoista e, senza forse averne
consapevolezza, la nostra autrice ha raggiunto il mirabile equilibrio tra
dolore e speranza, tra rimpianto e accettazione: “ma dalle feritoie del dolore
/ intravedo il valore / nelle piccole cose: / ora il mio sguardo si fa lungo /
sul corso delle acque luminose /che si dileguano lontane”. (Lungo l’Arno)
Angela
Ambrosini
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