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venerdì 18 marzo 2022

ANNA VINCITORIO: "HOC MIHI CONTINGAT" DI NAZARIO PARDINI


Anna Vincitorio,
collaboratrice di Lèucade


HOC MIHI CONTINGAT

Poesie e Prose

Prefazione di Maria Rizzi

Guido Miano Editore

  

ELEGIE

 

       La natura e le sue stagioni dai colori cangianti, sono una delle molteplici componenti della poesia di Nazario; preludono al suo stato d’animo che prende sembiante dalle foglie morte nella malinconia dell’autunno, o, se lo spirito è gioioso, assume colorazioni più calde di un verde come quello del mare e pure del cielo. Il verde della gioia quando prende l’animo è simile al verde delle foglie non più morte e, due pieni nudi, le carezzano. La gioia così, diviene foriera di luce e dà splendore anche alla notte. In questa visione della natura, una voce, quella della sera “portata da brezze di mare…”. La illuminano i pallidi raggi della luna e Nazario, con tra le labbra il nome di una donna.

       Poesia di suggestioni e di contrasti tra i vari momenti del giorno che corrispondono al variare dell’umore di Nazario. “L’alba respira aria di luce/ ma notti di luna calanti/ rifugiano amanti/ che soffrono albe lucenti”. Il poeta è avvolto dalla malinconia della sera. Una sera in cui il sole si è spento. La teme e la ama perché sera è vita nel suo fluire. Nel silenzio che lo circonda, il poeta avverte anche la necessità di oblio e, dove l’oblio se non nell’assenzio?

Rivivere per ricordare, poi scordare nuovamente per rimanere in vita. Compagne: la solitudine e l’attesa “su spazi ristretti,/ respiri di cieli lontani”. Il poeta è un viaggiatore; per lui, vitale la vicinanza del mare, intenso come fine e inizio di vita, tra uccelli erranti in un cielo lontano in cerca di approdo. In lui, costante ricerca e le barche che “chiedono il mare/ s’addentrano ai gorghi tra i fiordi” e lo sfidano, sono sempre Nazario che sfida l’immenso a lui davanti, in cerca di risposte. Andare verso qualcosa d’indefinito con la barca (simbolica) verso il mistero e poi poter tornare indietro. La vita accanto a una donna: Delia, sua musa, vagheggiata, dai contrastanti colori, il mando verde di un prato, il sorriso.

       “Delia e i tuoi sorrisi/ Delia le vesti bianche/ Delia i tuoi occhi neri/ e la pelle scura/ e la paura candida/ mia Delia/ quando correvi sola”. Sete di bellezza, di amore, di vita. Delia è tutto ciò che il poeta ama: il mare, la luna, la vita nei campi bruciati dal sole, nel suo tempo giovane, e quella bruma leggera che “ricopre le viti/ e fiamminghi disegni nell’aria/ tra lunule foglie crepate/ di luteo morente diffuso/ ristagnano eterno sapore”.

       Determinante in Nazario, l’amore per i luoghi dove ha trascorso la vita: San Rossore, la spiaggia solitaria col biancore della sua sabbia che i piedi sfiorano e la pineta, che lo invita a sostare nel suo peregrinare di ricerca; il lago di Massaciuccoli “dove la cava rossa ripete il suo colore tra i giunchi e le cannucce e i gabbiani immobili… e un coro muto ad accompagnare le barche quatte fra il silenzioso sciacquio degli esperti rematori si fa nell’aria come in cerca di un perduto amore”. E, tutte le volte che viene la sera “che nasconde la storia e ti porta soltanto un acuto richiamo da un muro appena ombrato là nel cuore dei campi”, riaffiora il bisogno di amore.

       Delia: “Quando il cielo cade su di noi, sento che mi chiama e il viale impoverito… stringe al suo seno l’ultimo respiro delle pallide foglie: come è triste vedere la notte quando l’amore sostiene la vita”. Nel poeta, solo, sempre il richiamo e il ritorno alla sera e il ricordo delle mani dell’amata: “le tue grandi mani esistono calde, mi parlano ancora…”.

       Il testo, dopo Elegie, si apre a Dalla vita dei campi e cita Albio Tibullo: “… Quam iuvat immites ventos audire cubantem/ aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,/ securum sommos imbre iuvante sequi! HOC MIHI CONTINGAT!”

       Nel ricordo, il cammino del poeta: “Il sole era la sveglia/ nella civiltà contadina,/ la brezza della sera/ il rientro…”. Una vita dura che seguiva i ritmi del sole col fuoco a sera che “schioccava sul ciocco/ e intiepidiva le parole/ di narratori di fiabe,/ incantatori di occhi innocenti”. Paesaggi, sparsi nel silenzio di spazi che si tingono di rosso al tramonto. I corpi, resi pesanti per la fatica; il cielo velato da stormi di uccelli. Vita che appesantisce e stanca; dolore. Ma la ricompensa è dopo, quando i carri tornano all’imbrunire. Intorno, profumo di trifoglio e l’oro del grano falciato; poi farina e dopo, pane sul tavolo tarlato. Amore profondo di Nazario per quei campi in distesa. Quell’odore quasi carnale di una natura generosa. Stanchezza per il lavoro nel campo, ma la gioia che si rinnova ogni sera al ritorno: “quando si scorge all’aia/ la baia con le mucche./ Nel cesto uva, grano,/ cicerbite e vilucchio, noci nel secco guscio…”. E le sere lunghe “adagiate sui rumori del giorno/ mi ronzano d’intorno/ quando il cielo ricopre/ una lunga voce/ che viene da lontano”. Persone vive nel cuore del poeta: Felice, novantenne… “era rimasto quieto/ sembrava addormentato/ là sulla forcella,/ lo sguardo indirizzato al prato…”; e lo zio Alfredo che “assisteva la botte/ spillava la goccia…/ ha il sapore di muffa dei suoi tini/ il suo panciotto faceva compagnia”. Le descrizioni di Nazario legate alla campagna dove “si respira aria di sera/ quando al rosso verso il mare/ neri uccelli il casolare attraversano/ …”; ai buoi che ritornano alla stalla, e alla brezza che scuote i panni; il paiolo “fumigante e annerito”, sono pennellate, visioni che si ritrovano nei dipinti di Carrà ricondotti ai paesaggi di Versilia e delle Apuane. Semplici composizioni di sobrietà crescente: di pineti, capanni, barche, covoni, cavalli… C’è dentro un sentimento di vita e di luce.

       E lo stesso può dirsi, riferendosi alle donne con lo scialle nero, che mi riportano alla mente un disegno di Ottone Rosai del 1922, che vidi alla Galleria Pananti di Firenze a venti anni dalla morte di Rosai nel dicembre del 1976. Questo struggente percorso trova la sua conclusione nell’ultima poesia della raccolta: Hoc mihi contingat.

       Quello che resta al poeta della sua campagna: “… il ricordo mi resti dei meriggi…/ il sapore nei resti dei miei chicchi,/ che assieme a te gustavo nella vigna…/ Mi resti il volto impresso di mio padre…/ e l’immagine mi resti di una donna,/ Delia, del colore delle canne, del grano…”. È senz’altro un testo coinvolgente, scaturito dal cuore. Le immagini, i colori, i suoni ci accompagnano in una lettura che è anche visione. Seguono proverbi e detti raccolti nella campagna pisana in rima; che fanno sorridere e pensare. Poi, a conclusione Attorno al focolare. Racconti brevi tra il reale e il fantastico. Il poeta mette a nudo i suoi pensieri attraverso vari personaggi come Ricardo, il Santone e altri. Ha vissuto con intensità di pensiero “giorno dopo giorno… piccole cose, passioni, tristezza, grandi sentimenti, amore… Ammiro i tramonti, le albe, i mari, i boschi, i fiumi… gli affetti più cari”. In lui una lotta contro l’oblio: “Ogni sera ripercorrerò il tragitto del giorno, andrò sulla spiaggia del mare, per ascoltare i canti, per respirarne i profumi e perché resti sempre infitto in me il senso della vita e del mistero”. Della morte accetto la fine ma non accetto il nulla.

 Anna Vincitorio – Firenze – 4 marzo 2022

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