Anna Vincitorio, collaboratrice di Lèucade |
HOC
MIHI CONTINGAT
Poesie
e Prose
Prefazione
di Maria Rizzi
Guido
Miano Editore
ELEGIE
La natura e le sue stagioni dai colori
cangianti, sono una delle molteplici componenti della poesia di Nazario;
preludono al suo stato d’animo che prende sembiante dalle foglie morte nella
malinconia dell’autunno, o, se lo spirito è gioioso, assume colorazioni più
calde di un verde come quello del mare e pure del cielo. Il verde della gioia
quando prende l’animo è simile al verde delle foglie non più morte e, due pieni
nudi, le carezzano. La gioia così, diviene foriera di luce e dà splendore anche
alla notte. In questa visione della natura, una voce, quella della sera
“portata da brezze di mare…”. La illuminano i pallidi raggi della luna e
Nazario, con tra le labbra il nome di una donna.
Poesia di suggestioni e di contrasti tra
i vari momenti del giorno che corrispondono al variare dell’umore di Nazario.
“L’alba respira aria di luce/ ma notti di luna calanti/ rifugiano amanti/ che
soffrono albe lucenti”. Il poeta è avvolto dalla malinconia della sera. Una
sera in cui il sole si è spento. La teme e la ama perché sera è vita nel suo
fluire. Nel silenzio che lo circonda, il poeta avverte anche la necessità di
oblio e, dove l’oblio se non nell’assenzio?
Rivivere
per ricordare, poi scordare nuovamente per rimanere in vita. Compagne: la
solitudine e l’attesa “su spazi ristretti,/ respiri di cieli lontani”. Il poeta
è un viaggiatore; per lui, vitale la vicinanza del mare, intenso come fine e
inizio di vita, tra uccelli erranti in un cielo lontano in cerca di approdo. In
lui, costante ricerca e le barche che “chiedono il mare/ s’addentrano ai gorghi
tra i fiordi” e lo sfidano, sono sempre Nazario che sfida l’immenso a lui
davanti, in cerca di risposte. Andare verso qualcosa d’indefinito con la barca
(simbolica) verso il mistero e poi poter tornare indietro. La vita accanto a
una donna: Delia, sua musa, vagheggiata, dai contrastanti colori, il mando
verde di un prato, il sorriso.
“Delia e i tuoi sorrisi/ Delia le vesti
bianche/ Delia i tuoi occhi neri/ e la pelle scura/ e la paura candida/ mia
Delia/ quando correvi sola”. Sete di bellezza, di amore, di vita. Delia è tutto
ciò che il poeta ama: il mare, la luna, la vita nei campi bruciati dal sole,
nel suo tempo giovane, e quella bruma leggera che “ricopre le viti/ e
fiamminghi disegni nell’aria/ tra lunule foglie crepate/ di luteo morente
diffuso/ ristagnano eterno sapore”.
Determinante in Nazario, l’amore per i
luoghi dove ha trascorso la vita: San Rossore, la spiaggia solitaria col
biancore della sua sabbia che i piedi sfiorano e la pineta, che lo invita a
sostare nel suo peregrinare di ricerca; il lago di Massaciuccoli “dove la cava
rossa ripete il suo colore tra i giunchi e le cannucce e i gabbiani immobili… e
un coro muto ad accompagnare le barche quatte fra il silenzioso sciacquio degli
esperti rematori si fa nell’aria come in cerca di un perduto amore”. E, tutte
le volte che viene la sera “che nasconde la storia e ti porta soltanto un acuto
richiamo da un muro appena ombrato là nel cuore dei campi”, riaffiora il
bisogno di amore.
Delia: “Quando il cielo cade su di noi,
sento che mi chiama e il viale impoverito… stringe al suo seno l’ultimo respiro
delle pallide foglie: come è triste vedere la notte quando l’amore sostiene la
vita”. Nel poeta, solo, sempre il richiamo e il ritorno alla sera e il ricordo
delle mani dell’amata: “le tue grandi mani esistono calde, mi parlano ancora…”.
Il testo, dopo Elegie, si apre a Dalla
vita dei campi e cita Albio Tibullo: “… Quam iuvat immites ventos audire
cubantem/ aut, gelidas hibernus aquas cum fuderit Auster,/ securum sommos imbre
iuvante sequi! HOC MIHI CONTINGAT!”
Nel ricordo, il cammino del poeta: “Il
sole era la sveglia/ nella civiltà contadina,/ la brezza della sera/ il
rientro…”. Una vita dura che seguiva i ritmi del sole col fuoco a sera che
“schioccava sul ciocco/ e intiepidiva le parole/ di narratori di fiabe,/
incantatori di occhi innocenti”. Paesaggi, sparsi nel silenzio di spazi che si
tingono di rosso al tramonto. I corpi, resi pesanti per la fatica; il cielo
velato da stormi di uccelli. Vita che appesantisce e stanca; dolore. Ma la
ricompensa è dopo, quando i carri tornano all’imbrunire. Intorno, profumo di
trifoglio e l’oro del grano falciato; poi farina e dopo, pane sul tavolo
tarlato. Amore profondo di Nazario per quei campi in distesa. Quell’odore quasi
carnale di una natura generosa. Stanchezza per il lavoro nel campo, ma la gioia
che si rinnova ogni sera al ritorno: “quando si scorge all’aia/ la baia con le
mucche./ Nel cesto uva, grano,/ cicerbite e vilucchio, noci nel secco guscio…”.
E le sere lunghe “adagiate sui rumori del giorno/ mi ronzano d’intorno/ quando
il cielo ricopre/ una lunga voce/ che viene da lontano”. Persone vive nel cuore
del poeta: Felice, novantenne… “era rimasto quieto/ sembrava addormentato/ là
sulla forcella,/ lo sguardo indirizzato al prato…”; e lo zio Alfredo che
“assisteva la botte/ spillava la goccia…/ ha il sapore di muffa dei suoi tini/
il suo panciotto faceva compagnia”. Le descrizioni di Nazario legate alla
campagna dove “si respira aria di sera/ quando al rosso verso il mare/ neri
uccelli il casolare attraversano/ …”; ai buoi che ritornano alla stalla, e alla
brezza che scuote i panni; il paiolo “fumigante e annerito”, sono pennellate, visioni
che si ritrovano nei dipinti di Carrà ricondotti ai paesaggi di Versilia e
delle Apuane. Semplici composizioni di sobrietà crescente: di pineti, capanni,
barche, covoni, cavalli… C’è dentro un sentimento di vita e di luce.
E lo stesso può dirsi, riferendosi alle
donne con lo scialle nero, che mi riportano alla mente un disegno di Ottone
Rosai del 1922, che vidi alla Galleria Pananti di Firenze a venti anni dalla
morte di Rosai nel dicembre del 1976. Questo struggente percorso trova la sua
conclusione nell’ultima poesia della raccolta: Hoc mihi contingat.
Quello che resta al poeta della sua campagna: “… il ricordo mi resti dei meriggi…/ il sapore nei resti dei miei chicchi,/ che assieme a te gustavo nella vigna…/ Mi resti il volto impresso di mio padre…/ e l’immagine mi resti di una donna,/ Delia, del colore delle canne, del grano…”. È senz’altro un testo coinvolgente, scaturito dal cuore. Le immagini, i colori, i suoni ci accompagnano in una lettura che è anche visione. Seguono proverbi e detti raccolti nella campagna pisana in rima; che fanno sorridere e pensare. Poi, a conclusione Attorno al focolare. Racconti brevi tra il reale e il fantastico. Il poeta mette a nudo i suoi pensieri attraverso vari personaggi come Ricardo, il Santone e altri. Ha vissuto con intensità di pensiero “giorno dopo giorno… piccole cose, passioni, tristezza, grandi sentimenti, amore… Ammiro i tramonti, le albe, i mari, i boschi, i fiumi… gli affetti più cari”. In lui una lotta contro l’oblio: “Ogni sera ripercorrerò il tragitto del giorno, andrò sulla spiaggia del mare, per ascoltare i canti, per respirarne i profumi e perché resti sempre infitto in me il senso della vita e del mistero”. Della morte accetto la fine ma non accetto il nulla.
Anna
Vincitorio – Firenze – 4 marzo 2022
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