lunedì 14 marzo 2022

GIAN PIERO STEFANONI: "I POETI GALLO-ITALICI DI PIAZZA ARMERINA"

 

Gian Piero Stefanoni,
collaboratore di Lèucade

 






I poeti gallo-italici di Piazza Armerina

 

Nella meraviglia delle stratificazioni storiche, culturali e linguistiche del nostro paese un posto d'eccellenza spetta certamente ad una fra le più belle delle nostre regioni, la Sicilia. Abbiamo avuto già modo di addentrarci tra le perle della poesia Arbereshe, della minoranza albanese tramite la poesia di Giuseppe Schirò Di Maggio, oggi è la volta dei poeti gallo-italici di Piazza Armerina nella parlata che ha avuto origine nell'isola durante la dominazione normanna tra XI° e XII° secolo dalle migrazioni dall'Italia settentrionale, non solo lombarda ma anche emiliana, piemontese e ligure, per contrastare l'invasione araba. Come sottolineato da Salvatore Trovato, ordinario di linguistica generale e glottologia all'Università di Catania, si tratta di una lingua di substrato celtico con elementi francesi e siciliani uniti alla fonetica lombarda: "Non è ovunque lo stesso dialetto, però, in  alcune zone  dell'isola è più annacquato mentre in altre si può ancora trovare proprio quello autentico". Alla salvaguardia di tale autenticità ma soprattutto nell'impegno al suo mantenimento, nello splendido comune di Piazza Armerina (uno dei tredici in cui ancora è in uso) un intreccio di autori si è adoperato negli anni tramite un'attività letteraria ricchissima in un passaggio generazionale che non ha fine, lasciato ai giovani come latte materno, " smarav'gghiosa 'nfina nu d'lor" ("Meravigliosa sino nel dolore") nella suggestiva immagine di Pino Testa. Padre riconosciuto è quel  Remigio Roccella, (1829-1916), autorevole figura di  notaio, consigliere comunale e sindaco, il cui Vocabolario della lingua parlata in Piazza Armerina uscito nel 1875 ebbe il merito di indicare quelle regole a cui poi si attennero tutti gli autori seguire, oltre di quei Poesia piazzese (1872) e Poesie e prose nella lingua parlata piazzese in cui il racconto popolare (nel riporto anche di proverbi locali) è segnato da una forte vena satirica (si veda ad esempio in "Pâ mort' d' n-Vësch'"-"Per la morte di un vescovo"- la fine terribile di chi "Nër', tënt', gulù, scruccöngh' e viu", "nero, cattivo, scroccone e vile",  al momento della morte subisce secondo i patti la presa dell'anima dal diavolo). Sempre nel filone satirico-umoristico, noto soprattutto per i ritratti dei compaesani, nel quadro di un efficace bozzettivismo locale, si staglia la figura di Carmelo Scibona (1856-1939), artigiano del legno che amava scrivere a matita nel fuoco dell'ispirazione direttamente sulle tavole (si dice poi che finito di declamare li riducesse poi in trucioli). Di lui si ricorda, del 1935,  U' cardubu  (Il calabrone), pubblicata poi in edizione critica nel 1997 col titolo originario I mì fssarì (Le mie stupidaggini), con inediti, per la cura proprio del Professor Trovato. In lui colore e affettuosità dei toni si unisce alla sferzosità dei colpi (come nei versi per "Lariu u Mancös", "Ilario Mancosu", oggetto di salace ironia per il suo credersi un cacciatore, in realtà non sapendo distinguere nemmeno tra gli oggetti delle sue incursioni: "Tutt' cuntent' s-a ment' nei mai/A va mustrann' a tutt' i v'ddai"- "Tutto contento la prende in mano/la va mostrando a tutti i contadini"). A seguire bene ricordare i nomi di Gaetano Marino Albanese, (1889-1958), ebanista mai stampata nessuna raccolta ma restando pochi foglietti volanti poi raccolti dal figlio Liborio nel 1982 nella raccolta postuma Ricordando mio padre e l'opera più recente di Giacchino Fonti, 1926, professore di educazione artistica alle medie,  uscito per la sua cura un altro  vocabolario del dialetto di Piazza Armerina. Parra ciazza e U sbrims Paisangh- poesie e prose in idioma gallo-italico (edizioni Orizzonti 1991) le opere in versi invece di cui si ricorda la non banale riflessione attorno ai limiti della condizione umana (in questo simile a quel Giuseppe Ciancio di Faiddi, 1971). Tra tutte ci si perda in "E n-autr' amicu s' n' va" ("E un altro amico se ne va") in cui nella perdita del caro, "cugghjuit' a strata dû radungh'" ("percorso il cammino del raduno"), a fronte del nulla possibile di fronte alla morte l'amarezza venata di rabbia finisce col levarsi al dolore di chi rimane: "Ma fuss' mpuru giust' ch' l-es'stenza/Non canusciss' amör'. Sta p'n'tenza/L-à-da paiè dè voti cö ch' resta" ("Ma sarebbe pure giusto che l'esistenza/non conoscesse amore. Questa penitenza/la deve pagare due volte chi resta"). Gli ultimi autori che è bene segnalare sono il citato Pino Testa, da poco scomparso (2019), cantore popolare e celebrativo, satirico, autodidatta nonché incisore pittore disegnatore anch'egli amato per i suoi ricordi di vita paesana di cui  val la pena invitare alla lettura del volume Sfanfùgghiuli (Trucioli) e infine Ernesto Caputo Bottari, (1925-1990), uomo appassionato e ricco di temperamento, militante separatista, amante della musica e pittore e scultore oltre che poeta, nei versi come da migliore tradizione la presa di mira di personaggi piazzesi, soprattutto politici nella densità di una "satira sferzante e impietosa"(come su di lui ebbe a scrivere "Orizzonti di Sicilia"). Nel 2015 per "Terre sommerse edizioni" ebbe a uscire il postumo Vösg d' ciazza. Infine, per chi volesse approfondire, come noi può abbeverarsi alle fonti dei bei siti "PiazzaArmerina.org", "Cronarmerina. blog spot".

 

 

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