Gian Piero Stefanoni, collaboratore di Lèucade |
I poeti gallo-italici di Piazza Armerina
Nella
meraviglia delle stratificazioni storiche, culturali e linguistiche del nostro
paese un posto d'eccellenza spetta certamente ad una fra le più belle delle
nostre regioni, la Sicilia. Abbiamo avuto già modo di addentrarci tra le perle
della poesia Arbereshe, della minoranza albanese tramite la poesia di Giuseppe
Schirò Di Maggio, oggi è la volta dei poeti gallo-italici di Piazza Armerina
nella parlata che ha avuto origine nell'isola durante la dominazione normanna
tra XI° e XII° secolo dalle migrazioni dall'Italia settentrionale, non solo
lombarda ma anche emiliana, piemontese e ligure, per contrastare l'invasione
araba. Come sottolineato da Salvatore Trovato, ordinario di linguistica
generale e glottologia all'Università di Catania, si tratta di una lingua di
substrato celtico con elementi francesi e siciliani uniti alla fonetica lombarda:
"Non è ovunque lo stesso dialetto, però, in alcune zone
dell'isola è più annacquato mentre in altre si può ancora trovare
proprio quello autentico". Alla salvaguardia di tale autenticità ma
soprattutto nell'impegno al suo mantenimento, nello splendido comune di Piazza
Armerina (uno dei tredici in cui ancora è in uso) un intreccio di autori si è
adoperato negli anni tramite un'attività letteraria ricchissima in un passaggio
generazionale che non ha fine, lasciato ai giovani come latte materno, "
smarav'gghiosa 'nfina nu d'lor" ("Meravigliosa sino nel dolore")
nella suggestiva immagine di Pino Testa. Padre riconosciuto è quel Remigio Roccella, (1829-1916), autorevole
figura di notaio, consigliere comunale e sindaco, il cui Vocabolario della lingua parlata in Piazza
Armerina uscito nel 1875 ebbe il merito di indicare quelle regole a cui poi si attennero tutti gli
autori seguire, oltre di quei Poesia
piazzese (1872) e Poesie e
prose nella lingua parlata piazzese in cui il racconto popolare (nel
riporto anche di proverbi locali) è segnato da una forte vena satirica (si veda
ad esempio in "Pâ mort' d'
n-Vësch'"-"Per la morte di un vescovo"- la fine terribile di chi
"Nër', tënt', gulù, scruccöngh' e viu", "nero, cattivo,
scroccone e vile", al momento della
morte subisce secondo i patti la presa dell'anima dal diavolo). Sempre nel
filone satirico-umoristico, noto soprattutto per i ritratti dei compaesani, nel
quadro di un efficace bozzettivismo locale, si staglia la figura di Carmelo
Scibona (1856-1939),
artigiano del legno che amava scrivere a matita nel fuoco dell'ispirazione
direttamente sulle tavole (si dice poi che finito di declamare li riducesse poi
in trucioli). Di lui si ricorda, del 1935, U'
cardubu (Il calabrone), pubblicata poi in edizione critica nel 1997 col
titolo originario I mì fssarì (Le mie stupidaggini), con inediti, per
la cura proprio del Professor Trovato. In lui colore e affettuosità dei toni si
unisce alla sferzosità dei colpi (come
nei versi per "Lariu u Mancös", "Ilario Mancosu", oggetto di
salace ironia per il suo credersi un cacciatore, in realtà non sapendo
distinguere nemmeno tra gli oggetti delle sue incursioni: "Tutt' cuntent' s-a ment' nei mai/A va mustrann'
a tutt' i v'ddai"- "Tutto
contento la prende in mano/la va mostrando a tutti i contadini"). A
seguire bene ricordare i nomi di Gaetano Marino Albanese,
(1889-1958), ebanista mai stampata nessuna raccolta ma restando pochi foglietti
volanti poi raccolti dal figlio Liborio nel 1982 nella raccolta postuma Ricordando mio padre e l'opera più
recente di Giacchino Fonti, 1926, professore di educazione artistica alle
medie, uscito per la sua cura un
altro vocabolario del dialetto di Piazza
Armerina. Parra ciazza e U sbrims Paisangh- poesie e prose in idioma
gallo-italico (edizioni Orizzonti 1991) le opere in versi invece di cui si
ricorda la non banale riflessione attorno ai limiti della condizione umana (in
questo simile a quel Giuseppe Ciancio di Faiddi,
1971). Tra tutte ci si
perda in "E n-autr' amicu s' n' va" ("E un altro amico se ne
va") in cui nella perdita del caro, "cugghjuit' a strata dû radungh'" ("percorso il cammino del raduno"), a fronte del
nulla possibile di fronte alla morte l'amarezza venata di rabbia finisce col
levarsi al dolore di chi rimane: "Ma
fuss' mpuru giust' ch' l-es'stenza/Non canusciss' amör'. Sta p'n'tenza/L-à-da
paiè dè voti cö ch' resta" ("Ma
sarebbe pure giusto che l'esistenza/non conoscesse amore. Questa penitenza/la
deve pagare due volte chi resta"). Gli ultimi autori che è bene segnalare sono il
citato Pino Testa, da poco scomparso (2019), cantore popolare e
celebrativo, satirico, autodidatta nonché incisore pittore disegnatore
anch'egli amato per i suoi ricordi di vita paesana di cui val la pena invitare alla lettura del volume Sfanfùgghiuli (Trucioli) e infine Ernesto Caputo Bottari, (1925-1990), uomo
appassionato e ricco di temperamento, militante separatista, amante della
musica e pittore e scultore oltre che poeta, nei versi come da migliore
tradizione la presa di mira di personaggi piazzesi, soprattutto politici nella
densità di una "satira sferzante e impietosa"(come su di lui ebbe a
scrivere "Orizzonti di Sicilia"). Nel 2015 per "Terre sommerse
edizioni" ebbe a uscire il postumo Vösg d' ciazza. Infine,
per chi volesse approfondire, come noi può abbeverarsi alle fonti dei bei siti
"PiazzaArmerina.org", "Cronarmerina. blog spot".
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