Da Domestic Violence – 2007 –
In over own country – Nella nostra stessa terra.
Stanno creando una Irlanda
nuova
al finire della nostra strada
proprio sotto i nostri occhi,
sotto le lampade ad arco che
colpiscono
le superfici che irradiano,
negli spazi dove una volta
abbiamo vissuto,
negli sfondi per noi ora
irriconoscibili.
Presenti qui coi nostri
sguardi
siamo ora alla ricerca di
nuove conoscenze.
In ogni stagione, sono stati
lì a lavorare
distruggendo la strada che
portava al nostro villaggio,
ponte, sentiero, fiume,
tutto quello che ci
apparteneva, perduto
sotto l’assalto distruttivo
dell’acciaio.
Una vecchia Europa
è giunta a noi come uno
straniero nella nostra città,
ha dimenticato la sua musica
tradizionale, guerre,
trattati,
è ora soltanto una macchina
dall’Olanda e dal Belgio
che trascina, scuote, spacca
in più parti la terra argillosa
nella quale, la nostra trepida
primavera era solita mostrarsi
con le sue giunchiglie in una
sola fila ricurva.
Ricordi il battello dei migranti?
Il loro sembiante sperso che
si consumava in un ultimo bagliore?
L’aria nel suo lento
dissolversi: nel nulla, nel nulla, nel nulla.
Noi tiriamo strettamente il
bavero intorno al collo
ma il vento, rigido e rapace,
scopre la nostra gola.
Noi ce ne andiamo a casa. E
questo è tutto ciò che sappiamo.
Noi ora siamo e saremo sempre
da ora nel futuro.
E per quello che ne so, lo
siamo sempre stati
esuli nella nostra stessa
terra.
Da The lost land – 1998 –
Mother Ireland – Madre Irlanda
All’inizio
terra sdraiata sul dorso
divenuto campi
e quando mi volsi sul fianco
divenni collina.
Sotto stelle di gelo
Io non vedevo
ma ero vista.
Sia di notte che di giorno
le parole cadevano su di me.
Sementi. Stille di pioggia.
Scaglie di brina
Da una di queste
seppi il mio nome.
Mi alzai in piedi e ricordai.
Ora potrei raccontare la mia
storia
Era diversa
da quello che si raccontava su
di me.
E ora
al primo nascere della primavera
potrei vedere la ferita lasciata in me,
nella terra al momento
dell’abbandono.
Me ne andai verso l’ovest.
Giunta là
Ho volto lo sguardo colmo d’amore
ad ogni campo come lo stesso si allungava,
la sua ruota arrugginita e lo
chassis della carrozzina
e presso la ginestra spinosa
spazi ricolmi di luce
Io sono stata tutto questo.
Loro non compresero.
Torna indietro da noi
mi dissero.
abbiate fiducia in me,
sussurrai.
Domestic Violence 2007 – In
coming days – (Nei giorni che verranno)
Quanto prima
Io sarò vecchia come la Sham Van
Vocht[1]
Quanto prima
Io chiederò d’incontrarla al
lembo estremo di Kildare.
Freddo nell’aria
Il salice sarà bruciato dal
gelo
ai bordi della strada.
I senza nome della nostra
storia
marceranno con noi.
Difficilmente sapranno di due
donne lungo la strada.
Io parlerò con lei anche nel
convincimento
che lei parli soltanto con
parole non sue.
Io le dirò: Ti hanno ingannato
Riesci a capirlo?
Lei guarderà la logora
bandiera dietro di me
le lance di fortuna, i piedi
illividiti, le sue labbra profferiranno:
Nel Currach di Kildare
I ragazzi si rifugeranno[2].
C’è ancora tempo le dirò. Noi
potremo ancora crescere d’età
insieme.
E l’Irlanda sarà poi libera?
E l’Irlanda sarà poi libera?
Abbiamo amato le stesse cose,
Dirò –
e soltanto una di queste. Ne
parlammo una volta.
Si! L’Irlanda sarà libera,
dal centro al mare.
Ti ho quasi amata.
Da The Journey – 1987 –
Suburban woman A detail – Donna di periferia. Un dettaglio
I camini sono stati puliti
I giardini hanno il loro
taglio invernale
Gli arbusti alleggeriti delle
fronde, le siepi mutilate.
L’oscurità dilagante diffonde
la luce
delle auto che calano dalle
montagne di Dublino.
Le nostre bambine le credevano
stelle.
Non è questa la stagione
di quando la dea spuntò dal
seme, dal grano,
dall’acqua al suo sgelarsi
e confusa e spersa
andò a trovare le figlie.
L’inverno è prossimo,
spente gocce di pioggia,
rossastre e confuse distanze,
inverni con sfumature garofano
e penetrante olezzo di tappeto
erboso
quando porto dentro il latte
avviandomi verso la casa di
una vicina
con una gonna di cotone,
una bluse che prende i colori
dell’ultima luce.
Io sono determinata
a iniziare così
ma la luce è declinante,
si sfumano i contorni della
siepe,
lo stesso sentiero, i suoi
margini.
Guarda verso di me dice
l’albero
sono una donna come te
con indosso una gonna ampia,
umana.
All’improvviso mi viene il
dubbio
del cammino intrapreso
e verso dove ritornerò
solo in qualcosa
che potrebbe essere soltanto
oscurità
a indebolire le linee
del mio corpo, lasciando che
tutte le ansie, gli orrori
della carne mutino le arie
e le forme della quiete
autunnale
gridando: “ricordati di noi”.
Da The lost land – 1998 – The
lost land – La terra perduta.
Ho due figlie.
Loro sono tutto quello di cui
ho sempre avuto bisogno
dalla terra
o quasi tutto
Ho avuto anche bisogno di una
parte di terra.
Una città intrappolata dalle
colline. Un fiume nella città.
Un’isola il suo elemento.
Potrei dire mia – proprio mia.
Cosa d’appoco. Io intendo
questo.
Ora loro sono cresciute e
andate via
e la stessa memoria
è diventata un migrante
che vaga in un luogo dove
l’amore simula un paesaggio
Dove le colline
hanno il colore degli occhi
dei bambini,
dove i miei figli sono
lontananza, orizzonti.
A sera,
al limite del sonno,
posso vedere il lido della
baia di Dublino,
la sua distesa rocciosa e la
banchina di granito.
È questo, io dico
come loro devono averla vista
uscendo a ritroso sul postale
al crepuscolo
al calare dell’ombra
su ogni cosa che hanno dovuto
lasciare?
Avrebbero potuto amare per
sempre?
Poi immagino me stessa
alla barra verso terra di
questo battello
alla ricerca di una mano per
l’ultima volta.
Io vedo me stessa
Sul lato di quell’acqua che
non appartiene
ai vivi
al calare veloce del buio,
dire
tutti i nomi da me conosciuti
per una terra perduta.
Irlanda, assenza, figlia.
Moths – Falene
Stasera l’aria profuma d’erba
recisa.
Mele color ruggine sui rami.
Ormai estate è
un luogo dimenticato tra
attesa e ricordo.
Questa è una estate delle
falene.
Attimo di verità si manifesta
dopo il buio.
Poi compaiono nel bordo delle
nostre finestre
e davanzali come punte di
spillo. Un barlume.
I libri che leggo su di loro
sono pieni di leggende:
falene, fluttuanti fantasmi
che si assembrano al crepuscolo.
In qual modo alcune varietà si
manifestano
allo spuntare della luna.
La luna è alta. Le finestre
spalancate sul retro.
La luce a metà luglio si
diffonde all’intorno.
Io sono accanto alla siepe.
Ancora una volta sono prossime
al davanzale,
fluttuanti oltre la fuxia e la
lavanda
Che arriva fino al ginocchio e
troppo blu
per allontanarle;
cadranno senza rendersene
conto;
il loro muoversi
improvvisamente,
quello che avrebbero voluto
evitare avveniva,
un crepitare e un bruciare da
ogni parte.
Loro periranno.
E io sto morendo – sullo
spigolo e sulla soglia del
momento che tutta la natura
teme e tende verso
la privazione della luce.
Ingegnoso faxsimile
E la lampadina della cucina
che le attira,
allunga l’ombra di mio figlio
che è più lunga della mia.
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