Patrizia Stefanelli, collaboratrice di Lèucade |
Carissimo Nazario, non la festa ma il
rispetto per le donne che sanno essere madri, madri anche senza avere
figli del proprio sangue. Auguri alle donne che sono felici e a quelle
che soffrono. Alle donne invisibili al mondo, a quelle stuprate, alle donne che
fuggono dalle guerre e inventano favole di fanti e cavalieri per i bimbi. Alle
donne che camminano accanto a uomini veri, a quelle sole che
hanno bisogno di carezze e una voce amica che le consoli. Alle
donne infelici che hanno pagato l'essere state bambine nelle mani di
cattivi genitori, e portano il dolore come un marchio. Alle donne di
questo blog che vestono giornate di poesia. Alle donne che hanno
pagato per troppa colpa o troppo amore dato.
Auguri con questa mia poesia che reitera nella circolarità della parola rima,
quel che è stato e che è, ma che un giorno non sarà. Lo spero.
Tua amica Patrizia
Per
troppa colpa o troppo amore dato
In questa stanza chiusa eppure aperta
canto dolente con la gola secca
e il seno floscio di chi il latte ha dato
ai giorni suoi, sperando nel domani.
Nessuna eco ritorna dalla strada
se tace il vento del coraggio al pianto.
La voce erompe: sale mentre pianto
chiodi d’indifferenza sola; aperta
la porta dei miei sensi si fa strada
dalla coscienza ormai creduta secca.
Grido con forza, adesso e non domani,
che siamo donne e madri non il dato
statistico e violento per chi ha dato
morte e morte versando il nostro pianto
(inchiostro per giornali del domani)
nutrendo una ferita sempre aperta
come una terra di maggese secca
o il manto nero e rotto di una strada.
Uccise. Donne uccise anche su strada
per troppa colpa o troppo amore dato
nel chiuso della bocca amara e secca
mai sfiorata dal loro duro pianto;
nell’urlo muta, a denti stretti o aperta
al gesto di stupore del domani.
Cos’è davvero poi questo domani?
è quel che hai dentro? Un vicolo di strada
di paese, una vecchia chiesa aperta
alle voci bambine che hanno dato
carezze e baci a Madonne del Pianto?
o è questa nostra vita giunta in secca?
Nel cuore sfatto, legno nella secca,
stringiamo ancora i figli in quei domani
mai nati, figli annegati nel pianto
del mare o morti in guerra: mala strada,
miserrima realtà. E non è dato
saperci a nuova sorte. Ma più aperta
(e aperta è la speranza, ché mai secca
il bene dato) è la via del domani:
strada che, giusta, non conduca al pianto.
canzone-sestina
ABCDEF, FAEBDC, CFDABE, ECBFAD, DEACFB, BDFECA.
Patrizia
Stefanelli
Nelle intenzioni
dell’autrice questa canzone-sestina
replica, con la circolarità della parola-rima, il concetto della violenza sulle donne, del loro
dolore universale per i figli perduti, ma anche la loro forza e la speranza nel
domani.
Il componimento è formato da 6 stanze di 6
endecasillabi ciascuna
·
Nessun verso
rima all'interno della stanza
·
I versi che rimano
tra loro terminano con la stessa parola-rima
·
Nel congedo di
3 versi ricompaiono tutte e 6 le parole rima: 3 in fine di verso e tre
all'interno.
·
I versi sono
ordinati secondo la regola della retrogradatio cruciata, o
permutazione centripeta
Nella
poesia italiana questo particolare tipo di canzone è stata introdotta da
Dante con Al poco giorno
e al gran cerchio d'ombra che si rifece alla canso di Arnaut Daniel Lo ferm voler
qu'el cor m'intra. Francesco Petrarca nel suo Canzoniere ne inserì 9 (tra cui
una doppia) e si diffuse in seguito in tutta Europa. Appare nei canzonieri del Cinquecento e Seicento e nelle raccolte
dell'Arcadia. Essa viene usata dai
poeti tedeschi romantici e dal Carducci nell'Ottocento, e nel Novecento da Gabriele D'Annunzio, Giuseppe Ungaretti e Franco Fortini, dall'inglese Rudyard Kipling, dagli statunitensi Ezra Pound, Wystan Hugh
Auden e John Ashbery e dal catalano Joan Brossa.
.
Pat in questa eccellente pagina dai l'ennesima prova della tua conoscenza del metro classico adottando una canzone sestina, che la sottoscritta desidererebbe saper scrivere da una vita, ma soprattutto ci dedichi una delle tue liriche, che amo infinitamente, dedicata al valore della donna. Una canzone priva di retorica e di luoghi comuni. Ho serie difficoltà, da sempre, a considerare l'8 marzo una festa. Credo sarebbe giusto definire questa data 'la giornata della donna', non la festa, perché si tratta di un evento nato dal sacrificio, non di un momento mondano. Gli auguri non si possono rifiutare, ma stonano con il senso profondo del giorno. Tu , che possiedi la famosa chiave, forzi il lucchetto delle mie resistenze e componi i versi che danno il giusto significato al nostro giorno. Cito gli estratti che mi hanno trascinato nella tua vertigine: "Grido con forza, adesso e non domani,/che siamo donne e madri non il dato /statistico e violento per chi ha dato / morte e morte versando il nostro pianto /(inchiostro per giornali del domani)". Non ho mai amato il termine femminismo: sono convinta soltanto che le donne appartengano alla popolazione umana con gli stessi diritti di chiunque altro. Vi è una certezza: il grembo, dal quale si nasce e al quale si torna. Non importa essere madri, la tua poesia è rivolta al concetto di maternità, che appartiene anche alle donne che non hanno figli. L'importante è evitare l'omologazione. Non tutte possediamo il senso materno e non è giusto riempire le cronache con la violenza di genere, un'espressione abusata, che presupporrebbe che in ogni casa si nasconde un mostro. Esiste la violenza domestica, che è altra storia, quella delle guerra, che incredibilmente stiamo sperimentando, quella del passato dal quale ci siamo riscattate, ma non del tutto. La seconda parte della tua canzone, Patrizia mia, crea un nodo in gola e fa tremare ogni fibra... perché è la Storia, non la festa o la giornata della donna. "E non è dato /saperci a nuova sorte.": la grande verità che ci accomuna tutti, ma rende la donna madre nel senso superbo del termine. Il futuro le fa tremare il grembo e mette in discussione la vita che ha dato. Una poesia che scuote la coscienza e commuove. Se la mia Poetessa dell'anima. Ti ammiro e ti voglio un bene immenso. Baci al Nocchiero, al suo stare al mondo con apertura di vedute straordinaria.
RispondiEliminaMaria cara, hai ragione quando dici che l'omologazione non è auspicabile né giusta. Saperci a nuova sorte...magari. La speranza non la perderemo mai, la speranza di combattere contro ogni vittima di violenza. Grazie per le tue immense parole che tengo in grande considerazione.
EliminaNon conosco metro o misura degna di essere anima, la Tua è trasparente e luminosa e non chiedo di più. Il già saperti nel verso libero della conoscenza da un qualcosa in più all'amicizia, il tempo è impietoso ma non sradica dall'anima il verso che di poesia unisce ogni anima.
RispondiEliminaNicolò, amico caro e sincero, è da tempo che non ci vediamo, ma ci sentiamo dentro l'anima che ci unisce. Sempre. Grazie.
EliminaRingrazio il nostro amico Nazario per la possibilità che ci offre in questo suo blog che tanto ha dato a tutti. Ma questo non è solo un bolg, perché è il suo sogno, la capanna conviviale di un'isola che non è possibile avere davvero nella vita. Sarebbe bello trovarci a farci festa con gli occhi? Credo di sì. Ma non tutti. Intanto abbiamo le nostre parole e conoscendoci di persona, sappiamo perfino il tono con cui le diciamo, l'eco di voce che ci fa unici. Come tutti, anch'io ho avuto dispiaceri da chi credevo amico. Accuse insormontabili per grettezza: sono stata l'autrice di mail anonime infanganti, quella che creava disturbi nelle tecniche di FB, quella che non avendo favorito un pupillo al Mimesis (e come potrei farlo dato che è tutto all'attenzione dei giurati?)dalle stelle è passata alle stalle. Tutte situazioni in cui sono stata messa alla berlina anche in FB, e nelle chat noire private in cui chiedevano sostegno. Se chi si dichiara amico ha certi dubbi su di te, non è un amico o amica. Perciò, carissimo Nazario, approfitto del post per condannare anche queste forme di violenza che non sono da poco. I social possono essere fonte di bene, ma anche di molto male. Ci diciamo che occorre guardare avanti, qualcuno sorride amaramente, ma certe cose fanno male, inutile negarlo. Tu, però, Nazario, da tanto male avrai bene. Chi non vale, prima o poi si toglie di mezzo da solo. Maria Rita Parsi ha codificato "la sindrome rancorosa del benificato" e credo davero sia una situazione pscicologica grave e frequente. Grazie di tutto, Maestro.
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