Mi è arrivato oggi il bel libro della scrittrice Edda Conte e di Isabella Conte. Un libro che porta una dedica affettuosa e di grande prestigio. Il testo si dipana su un tracciato di 14 narrazioni accattivanti e intime (Rosina, I giorni di Rosa, Margherita, Giorni parole e silenzi, Rosa Margherita e Fiore, Fiore,
E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
Pagine
venerdì 30 dicembre 2022
EDDA CONTE E ISABELLA CONTE. ROSA E GLI ALTRI FIORI DEL SUO GIARDINO, EDIZIONI HELICON;
sabato 24 dicembre 2022
LAURA BARONE:DISTOPIE
- Titolo del Libro: Distopie
- Autore: Laura Barone
- Editore: Maurizio Vetri Editore
- Collana: Poesia , Nr. 35
- Data di Pubblicazione: 2022
- Genere: letteratura italiana: distropie80
- Dimensioni mm: 210 x 0 x 0
- ISBN-10: 8899782970
- ISBN-13: 9788899782979
Paerte sexonda Distopie:
Distopie. In tutto tutto sono 50 . composizioni a tema. Il libro si suiddivide in parte prima. 36 distopie. e si chiude con una una nota criticao-biograficaitica dell'autrice
ROBERTO MESTRONE: PERLE DI SAGGEZZA
Ho ricevuto stamani il dono dell'amico Roberto, un libro articolato
Perle di saggezza. Brevissime favole, fiabe, filastrocche di ieri e di oggi in versi, per ragazzi promettenti e adulti coscienziosi. Chiude il testo una serie di nomi di scrittori in ambito letterario conosciuti: Rizzi, Pardini, Mestrone, Forfori, Guerrieri, Cinti. Caratteristica del libro sono le diverse immagini che fanno da commento alle composizioni. Da apprezzare la mano di tale artista che con i suoi interventi rende appetibile l'insieme. Qui si può senz'altro segnalare la creatività di Mestrone, la sua intelligenza costruttiva, e la sua elaborazione dei contenuti, cosa non facile da adattare ad un modo scribendi proprio dell'autore. Libro interessante, e per la novità del testo e soprattutto per la maestria di Mestrone che in questo caso si dimostra un vero cesellatore
pubblicato da L'Oceano nell'Anima
martedì 13 dicembre 2022
CARMELO CONSOLI "INVITA"
Gentilissimo/a
Sabato 8 maggio ore 17,00 ti aspettiamo in diretta facebook alla pagina Selfbrand (pagina pubblica aperta a tutti) (invito in allegato)
https://www.facebook.com/drampado
Per la Rubrica "Ti presento una penna"
Modera Rodolfo Vettorello
Autori presenti Carmelo Consoli Presidente della Camerata dei Poeti di Firenze e Michele Pansini Assessore alla cultura e Vice Sindaco
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Un cordiale saluto
Anna Montella
Responsabile della Segreteria La Camerata dei poeti,
grafica e tecnologie applicate alla rete
ALFONSO ANGRISANI: "CANTO IRREGOLARE"
Canto irregolare
ALFONSO ANGRISANI: "COME STAI?"
Carissimo Nazario,
è un bel po' che non mi faccio sentire, e quasi te ne chiedo scusa, quasi perché in realtà non sono veramente colpevole del mio essere così "orso", che fa di me uno che non frequenta circoli letterari se non i casi sporadici, non si accredita presso nessuno e vive molto molto ai margini della "società letteraria".
Mi preme molto sapere come stai.
Ti mando questa composizione, sei l'unico destinatario (almeno per il momento), perché scrivo sempre meno e solo se c'è qualcuno o qualcosa che - con insistenza - bussa alla mia porta interiore.
Un abbraccio, Alfonso
CINZIA BALDAZZI: " PRESENTAZIONE DEl LIBRO: "SCRIU DESPRE OAMENI SI INGERI" SCRIVO DI UOMINI E ANGELI, In VERSIONE BILINGUE (ITALO-RUMENA)
Caro Nazario, presso la galleria Arte Sempione a Roma ho organizzato la presentazione del libro Scriu despre oameni și îngeri / Scrivo di uomini e angeli, raccolta poetica in versione bilingue italo-rumena della poetessa Lăcrămioara Maricica Niță (Gambini Editore).
Come mia consuetudine di quest’ultimo periodo, ho cercato di estendere il discorso allo scambio interculturale all’interno di alcune lingue neolatine (italiano, rumeno, spagnolo). Ne sono stata testimonianza le performance delle cantanti Steluta Floristean, interprete di musica tradizionale della Romania, e di Margot Palomino, nel cantare i versi del poeta peruviano César Vallejo.
Con Loredana Manciati e Piero Marsili è stato esaminato il campo figurativo, a proposito della copertina del libro eseguita dalla disegnatrice Roberta Annucci. Da critica letteraria e linguista, non vorrei dimenticare il carattere informativo dei molteplici interventi di poetica programmatica e di storia letteraria offerti dai numerosi ospiti presenti.
Il link sottostante rinvia a un mio post su Facebook contenente una dettagliata galleria fotografica dell’evento.
Grazie come sempre, caro professore, per l’ospitalità concessa dalla tua isola.
Cinzia Baldazzi
martedì 6 dicembre 2022
ANITA MENEGOZZO: "RICORDO UN CESTINO DA PORTA LAVORO"
Ricordo un cestino da porta lavoro
Si apriva in un volo al bisogno
con ali di legno
sabato 3 dicembre 2022
TONINO GUERRA: "PASSA E RAGLIA ANCHE OGGI"
PASSA E RAGLIA ANCHE OGGI
a Sante, che mi ha aiutato a scrivere e a
vivere
Passa
e raglia anche oggi l'uccello
nel
sogno d'asino ricordando
il
discorso dell'anima paziente.
Da
questo ho capito allora
la
favola di Guerra, di chi possedendo
solo
la chiave vede la casa.
E' uscito i libro di poesie: Era segno sicuro di Pasquale Ciboddo
GUIDO MIANO EDITORE
NOVITÀ EDITORIALE
È uscito il libro di poesie:
ERA SEGNO SICURO di PASQUALE CIBODDO
con prefazione di Enzo
Concardi
Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Era segno sicuro” di Pasquale Ciboddo, con prefazione di Enzo
Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano
2022.
Preponderante in quest’ultima, singolare opera poetica di Pasquale
Ciboddo è la realtà tragica della pandemia che ha colpito l’umanità intera,
causando morti, lutti, sofferenze, crisi sociali e personali. Il poeta,
diversamente da molti altri nella nostra società, non vuole chiudere
disinvoltamente tale capitolo, anzi ne rimarca in continuazione le conseguenze,
dimostrando la sua pietas per i devastanti avvenimenti. Egli attribuisce
le cause del fenomeno pandemico ad una nemesi divina e naturalistica per gli
errori umani. Spiega le perdite di vite che ancora non cessano, all’interno di
una visione mistico-provvidenziale, affidandosi ad un sogno iniziale
premonitore delle disgrazie successive: Era segno sicuro - il titolo
della raccolta - nasce da un evento onirico in cui egli, vedendo la Madonna
sofferente, presagisce ciò che ci avrebbe colpiti.
A fianco di tale grande accadimento storico, che paragona alle
pestilenze del passato, l’autore, attraverso motivi reiterati, costruisce
liriche che toccano i temi a lui più cari: il tramonto e la rovina degli stazzi
della Gallura, sua terra amatissima; la nostalgia accorata di quella civiltà in
cui si viveva duramente ma serenamente; la condanna della società industriale,
tecnologica, metropolitana, non a misura d’uomo; il contrasto campagna-città,
dove il primo termine rappresenta la salute della vita e la simbiosi benefica
con la natura, mentre il secondo racchiude solo vite tristi e alienate;
l’indugiare attraverso la memoria sui ricordi del passato non più revocabile.
L’autore registra la drammaticità della realtà, mentre egli conserva la
speranza fiduciosa nel futuro:
l’insistenza sulla presenza della morte tra di noi e sul destino
morituro degli umani, costituiscono senz’altro un retaggio vetero-testamentario
di biblica discendenza.
Nel libro il pensiero della pandemia assume ritmi ossessivi,
coinvolgenti anche per il lettore più distaccato: alcune esemplificazioni sono
necessarie per rendere comprensibile più da vicino il pathos dell’uomo
Ciboddo, oltre che dell’aedo epicedico. L’incipit è costituito da una
lirica che dà il titolo alla silloge, Era segno sicuro, la quale nell’epilogo ci
introduce al canto funebre: «… L’umanità trema / e in silenzio muore». Si
succedono altre liriche - Squarcia il cielo, E non c’è medicina, A volte pregare, E se vuole - dove
i due temi fondamentali sono la punizione divina e l’invocazione a Dio e alla
Madonna sotto forma di preghiera per la salvezza dell’umanità: «… I nostri
nemici / profanano le Tue leggi / e Tu ci condanni con pestilenze…» (Squarcia il cielo); «…E non c’è medicina
a combattere il male. / Non rimane che pregare / e in bene sperare» (E non c’è medicina); «La storia è
pietrificata / nel silenzio. / Si muore di peste. /…/ Solo la Madonna, / nostra
madre divina, / se invoca / il Signore suo Figlio / può salvare l’umanità…» (A volte pregare). Personalmente il poeta
si sente «intimorito e solo» (Ma la gente) ed essendo disorientato sul
da farsi, si dedica alla poesia, mentre la malattia imperversa: «… ci frusta ai
fianchi / e ci punge con spine / conficcate negli occhi / nel cuore e nei
polmoni /…/ e ci nega l’esistenza» (A mitigare il male). Le forze della
natura sono scatenate contro di noi: «…Ed è pena / che tormenta anima e cuore»
(Ed è pena). Il poeta teme quindi che nemmeno la scienza medica sia in
grado di combattere la pandemia.
Tuttavia, oltre l’evento contingente - anche se straordinario -
della pandemia, la visione esistenziale di Ciboddo non si discosta da quella
emergente dai testi finora analizzati. Prendiamo la leopardiana Questa la
nostra sorte, dove è possibile ipotizzare un accostamento ad alcuni versi
del grande recanatese: «C’è sofferenza / nel nascere e nel morire. /
L’esistenza umana / vive solo una primavera / dolce di giorno e di sera. /
Segue la decadenza / col mite autunno / e poi il gelido inverno / che conduce
alla morte. / Questa la nostra sorte». Il futuro dell’umanità è insidiato anche
dal continuo incremento demografico, un altro rischio mortale per il nostro
genere: «…L’Umanità, / come un’anima in pena, / se non rallenta / la corsa alle
nascite / vedrà la fine di tutti / e di tutto il creato» (L’Umanità). La
condizione umana, se ancora sopportabile nella giovinezza (simboleggiata dalla
primavera), diviene un macigno enormemente pesante nella vecchiaia ed allora
stanchezza, isolamento, mancanza di relazioni, di gioia, di entusiasmo e quindi
di vita, trasformano le giornate in amara noia (Ed è tristezza).
La quasimodiana E si sta soli è anafora di tutti questi
concetti, che il poeta siciliano aveva espresso nelle immagini sintetiche ed
ermetiche di Ed è subito sera;
l’autore replica con la sua denuncia dell’aridità della vita
moderna: «Oggi / ognuno è isolato / in mezzo a tanta gente / che è indifferente
/ verso tutto e tutti. / E si sta soli sulla terra / alquanto spaesati...». In
altri componimenti Ciboddo è ancora più drastico e radicale, poiché afferma che
la morte è già in noi lo stesso giorno in cui si nasce e che nessuno conosce la
verità sull’al di là, mistero, enigma mai svelato (Questa l’amara sorte).
Una possibile via d’uscita a tale situazione scoraggiante e
deprimente, viene individuata dal poeta nell’incontro con la Natura, in modo
che l’ungarettiano «…La morte / si sconta / vivendo», possa essere superato.
Egli - in La vera salvezza - pone un domanda in merito: «…È forse il
ritorno / alla natura abbandonata / dove sono le nostre radici / la vera
ricchezza / che ci salva pure / da tale pestilenza?». Domanda chiaramente
retorica, dal momento che la sua visione è sicuramente indirizzata verso un
pensiero fisiocratico, e ciò è dimostrato dal suo anti-industrialismo e
dall’avversione verso le metropoli moderne: per Ciboddo, come per Quesnay, la
base dell’economia era, è, e dovrà restare sempre l’agricoltura. Ecco i versi
testimonianze inequivocabili di ciò: «La natura reclama / i suoi diritti. /
Guai a trasgredire / le proprie leggi. / L’uomo di oggi / attratto dalla vita
di città / abbandona la terra di nascita / e di crescita nella natura / e si
perde così / in un mondo senza valori, / pensando solo alla corsa / di ricchi
tesori. / Ma la terra offesa / si vendica» (Ma la terra…). Inoltre -
scrive ancora nella poesia È vita limitata - la città è una
prigione di catrame e cemento, dove non si respira l’aria salubre della
campagna e dove la vita è monca per mancanza del rapporto con la Natura. La sua
filosofia di vita centrata sull’attaccamento alla terra lo porta a vedere raggi
di sole nel buio del presente solo e proprio nel mondo naturale, il cui simbolo
più dolce e benefico risiede negli avventi primaverili. Tuttavia anche la terra
corre rischi mortali – se non si pone rimedio – ancora una volta per
responsabilità dell’uomo inquinatore.
Ed eccoci ora a quella che possiamo considerare una vera e propria
civiltà contadina a se stante, sviluppatasi sulle alture e nelle campagne della
Gallura, mondo del quale Pasquale Ciboddo è rimasto innamorato. Qui troviamo
solo alcune liriche - come Erano il tempio, Tempi così cari, È stata una grave sventura, Ed è
danno ed è pena, Oggi il mondo, In un baleno, Ricordi di
tempi e luoghi, Era una civiltà - ma in altre pubblicazioni
egli tratta a lungo di ogni aspetto di quel microcosmo particolare: gli
stazzi. Nel suo ricordo essi erano il tempio della natura, ora è rimasto un
deserto. Evoca le stagioni della vendemmia, delle feste, dei balli, che ora può
solo sognare. Sono stati abbandonati per i miraggi consumistici del Continente
e così è morta una lunga tradizione. Alla ricchezza d’un tempo s’è sostituito
il vuoto del presente. C’era solidarietà tra proprietari, contadini e
forestieri: poi il mondo ha preso altre strade. La gente degli stazzi, con
famiglie patriarcali, è scomparsa in un baleno. La conclusione sconsolata del
poeta è commossa ed accorata: una civiltà ricca di vita, benessere, relazioni,
affetti, lavoro, emozioni… s’è dissolta ed oggi v’è una solitudine da far
paura.
Nei suoi versi sciolti Pasquale Ciboddo inserisce spesso rime
varie per imprimere maggior melodia alla metrica: solo l’ultima lirica - Una
vera visione - è un sonetto (14 versi, due quartine e due terzine in
sequenza con rime alternate).
Enzo Concardi
_________________
L’AUTORE
Pasquale Ciboddo è nato a Tempio Pausania (SS), in Gallura,
nel 1936; già docente delle scuole elementari, è uno dei poeti sardi più noti,
e ha al suo attivo numerose pubblicazioni poetiche e di narrativa con
prefazioni e introduzioni di prestigiosi critici.
________________
Pasquale Ciboddo, Era segno sicuro,
prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 122, isbn
978-88-31497-92-3, mianoposta@gmail.com.
PATRIZIA STEFANELLI: "LA POESIA E' LOCUS MOBILIS"
La poesia è Locus mobilis? Forse, per fortuna.
Massimo rispetto per ogni poesia, amici
miei, purché essa sia. La ricerca di nuove forme che attualizzino la poetica,
cioè l'insieme delle forme espressive-contenutistiche, è sempre apprezzabile.
Occorre essere pronti e aperti alle intuizioni poco riconoscibili perché, come
in fisica, ciò che si riconosce è una conferma, ciò che non si riconosce è una
scoperta. La poesia può essere ancora centrale nella cultura odierna, ma
soltanto se riesce a conservare il valore del verso. Detto questo, tenendo
conto del fatto che amo molti stili poetici e, soprattutto, amo sorprendermi,
ciò che possa o non possa definirsi poesia, è alla base di una discussione
sulla quale molti teorici si dibattono da sempre. Così è anche per il teatro
che nel ‘900 ha visto una grande rivoluzione. Teatro è locus mobilis, scrive il
mio ex prof. universitario Raimondo Guarino, storico del teatro; poesia è locus
mobilis allo stesso modo? mi chiedo. Un poeta ispirato, spesso scrive un
testo come fosse sotto dettatura. All’improvviso, dal
silenzio interiore, la partenogenesi poietica ha inizio. La poiesis è quanto di
più complesso possa esserci: un dialogo tra il poeta e il mondo. Tutto, dagli
elementi naturali alle pulsioni istintive del sistema rettile, diventa una
rivelazione, invenzione che non ha un prima né un dopo. La parola poetica è
locus mobilis. Sì. E' un operaio, il poeta, che ha imparato il valore
della duttilità della parola e la forgia secondo la sua visione, il suo
sentire. Accade a pochi fortunati, magari ignari di tanta eleganza ma un
critico "deve" rintracciarne la struttura fonica e metrica (se c'è la
voglio vedere riconosciuta bella o brutta che sia poiché incontrovertibilmente
ci dà il ritmo esatto, l'andamento fonico che il poeta vuole). La musicalità
non è solo la rima (facile farla saltare all'occhio), ma l'uso di assonanze e
consonanze, allitterazioni ecc. che sicuramente risaltano anche in una
composizione eterometrica, in un verso lungo alla Whitman, per intenderci. Un
critico sa distinguere frammenti, metafore, anafore, correlativi oggettivi,
metonimie, personificazioni... e molto di più. Non basta certo dire: bella
poesia, arrivante! Emozionante! No, da un critico vorrei sentire cosa ha
scritto il poeta e come. Se ha usato una struttura ipotattica o paratattica,
qual è il suo scarto linguistico, il valore semantico delle parole che assumono
infiniti significati armonici. Questo è insegnare, questo il commento che ci si
aspetta da chi comprende. Positivo o negativo non importa, aiuta a crescere ma,
che sia sostanziale, didattico. Cosa mi ha trasmesso il poeta, al di là delle
parole? Questo occorre che ci si chieda. Cosa mi resta del testo? E allora
serve andare dentro al testo, trovarne i sottostrati, le concatenazioni, la
prima la seconda e la terza lettura. Se,
per un critico, un fiume che scorre è un fiume che scorre, è finita.
Poesia
è soprattutto ciò che riusciamo a condividere con il lettore. Per la sua
proprietà legata alla parola scritta, al ritmo, al suono, al verso, a
differenza del teatro di parola, la poesia, che nasce per la musica, fa del
linguaggio ordinario qualcosa di straordinario. Le immagini e i suoni sono
diegetici al testo, sono un tutt’uno. La parola scritta conduce la lettura,
l’andare a capo di un verso conduce alla pausa, all’attesa. La lettura ad alta
voce, consente l’ascolto del fonema, il ritmo (metrico come da canoni o libero)
consente alla parola scritta di rendere il significato esatto dell’intenzione
timbrica dell’autore. Dal ritmo, cioè dall’armonia che è propria della poesia,
capiamo il tono solenne o ironico o martellante, ecc. di un testo poetico. La voce che si appoggia in maniera naturale
sugli accenti tonici, ci dà l’esatta lettura di un testo. Quando una poesia è
ben scritta, si lascia leggere così com’è, rispettando le pause, la
punteggiatura, gli enjambement. A differenza della prosa, poetica o no, la
poesia si consente frammenti, visioni diverse nel tempo, sintassi personale.
Come in teatro, giorno e notte stanno in clic. Suono, ritmo e significato sono un
tutt'uno, e se hanno la forza di coinvolgere il lettore, si attualizzano e
diventano poesia. Certamente conta il contesto umano sensibile al testo, la
cultura di riferimento, la capacità del testo di essere condivisibile.
Purtroppo le traduzioni delle poesie dei poeti stranieri hanno portato molti a
pensare che basti scrivere bei pensieri per fare poesia. Basterebbe, invece,
leggere i testi originali per accorgersi di ampie sonorità e onomatopee. Anche
le vocali hanno la loro importanza. Da noi si direbbe in dialetto: Pure glie puce tènne la
tosse.
Pur
lasciandosi andare alle sensazioni spontanee che sorgono immediate alla
percezione dello scrittore attraverso metafore ardite e sinestetiche visioni,
il testo poetico ha necessità dell'arte “messa da parte” per la costruzione di
una forma che sia coinvolgente. Comunque, ogni tempo ha dileggiato
la poesia che non riconosceva. I fattori sono tanti, da quelli sociologici a
quelli legati a un’editoria di costume che illude la massa.
La
forma da sola conta poco, così come conta poco un buon contenuto in assenza di
una buona forma. In verità anche la forma è contenuto. È bello emozionarsi per
armonia. Mi viene in mente X agosto
del Pascoli. Pascoli è un Maestro senza pari. In questa sua poesia il ritmo è
franto e singhiozzante grazie ai versi spezzati da punti, punti e virgole, due
punti; e, senza addentrarci troppo nelle intense figure retoriche del testo,
vogliamo dire dell’iconismo fonosimbolico del
dodicesimo verso che riproduce il cinguettio degli uccelli: “pigola”,
“più”, “piano”? mentre la
metrica del verso alterna decasillabi anapestici o manzoniani (accenti
principali in terza, sesta e nona sillaba) a novenari dattilici con attacco
giambico (accenti principali in seconda, quinta e ottava sillaba). Versi
parisillabi e imparisillabi insieme (apparentemente) che continuano in
enjambement; da leggere ad alta voce per gustare l’appoggio della stessa sugli
accenti tonici principali. Che spettacolo di ritmo! La cadenza ricorsiva lo
rende armonioso. Vi riporto la terza strofe, con lo schema mutuato dalla
metrica classica, rappresentata da una ripetizione del piede anapesto (dattilo
ascendente - al contrario) che si compone di due
sillabe brevi, che formano l'arsi del piede, e di una sillaba lunga, che ne è la tesi: ∪∪— . In metrica italiana l’anapesto
indica una successione di due sillabe atone e una
tonica. Da notare come nella lirica il primo e il secondo verso, e il terzo e il
quarto di ogni strofe, si leghino in continuum. La
rima è alternata. La musica assicurata.
Anche un
uomo tornava al suo nido:
∪∪— ∪∪— ∪∪— ∪
l'uccisero: disse:
Perdono;
∪— ∪∪— ∪∪— ∪
e restò negli aperti occhi un grido:
∪∪— ∪∪— ∪∪— ∪
portava due bambole in dono...
∪— ∪∪— ∪∪— ∪
Va bene, quanto ci sarebbe da dire e studiare! C’è anche
altro, molto altro; ma la bellezza di una vera poesia sta nella semplicità con
cui infine si dona al lettore col suo messaggio subliminale. La poesia evoca
quando l'io poetante diventa chi si fa risuonatore, quando è armonia anche
dissonante, quando trasmette una poetica emozionale: unico lascito interessante
per il mondo. Il resto è grafomania, un nonsoché, magari con una metrica
superlativa, ma senza poesia; oppure con strampalate stranezze, senza costrutto
né forma.
In fondo, mi viene da pensare che siamo il frutto di
negazioni; le poesie lo sono, imbastite di quanto chi comanda ci propina
insieme a
un’editoria di costume che illude la massa. Noi
tutti siamo l’interpretazione del personaggio che siamo, convinti di essere
liberi. Come diceva Proust, è necessaria la netta separazione tra l’io
artistico e l’io mondano. O forse dovremmo superare l’io? Oggi questa moda fa
tendenza: dunque non vale. Pazienza.
Vi propongo di leggere, tenendo conto dei limiti delle
traduzioni (quella di Paolo Statuti mi pare molto buona) la poesia di
Majakovskij dedicata a Esènin, alla sua morte da suicida. I due non si
apprezzavano. Il primo era un rivoluzionario politico, il secondo un romantico
lirico naturalista. Ho cercato di seguire, nella lettura, le pause dell’autore.
Egli va a capo spessissimo, il ritmo è frammentato, martellante, ricco di
punteggiatura ad aumentare la pausa; la sonorità è altissima: voleva che così
si leggesse e, a mio modesto parere, il segno regge, non lo avrei mai detto, ma
regge: è diegetico. Majakovskij morì cinque anni dopo ‘l’odiato’ Esènin, allo
stesso modo: suicidio/omicidio.
Da “ In morte di Esènin” una breve pericope:
Ebbene,
si fosse trovato
l’inchiostro all’ “Angleterre”,
non avreste avuto motivo
di tagliarvi
le vene.
Si sono rallegrati i plagiari:
bis!
Poco è mancato
che litigassero
tra loro.
Perché mai
aumentare
il numero dei suicidi?
Meglio
produrre
più inchiostro!
Il filosofo tedesco Adorno nella “Teoria estetica” scrive che la poesia di un autore è sempre in rapporto di ostilità con la poesia di un altro autore. Comunque, ogni tempo ha dileggiato la poesia che non riconosceva. Così è e così sarà, per fortuna
Patrizia
Stefanelli