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sabato 27 luglio 2024

Floriano Romboli legge :" A mio figlio Paolo " di Franco Colandrea


 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro:

 

A MIO FIGLIO PAOLO di FRANCO COLANDREA

con prefazione di Floriano Romboli

 

 

Pubblicato il libro dal titolo “A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore” di Franco Colandrea, con prefazione di Floriano Romboli, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Non credo che sia necessario impiegare molte parole per descrivere il dolore cocente e insuperabile, la terribile deprivazione affettiva e intellettuale-morale provocati nell’animo di un genitore dalla morte di un figlio, evento difficilmente concepibile e quindi razionalizzabile nella sua innaturalità.

Un maestro del pensiero antico, nonché grande scrittore, Lucio Anneo Seneca, nella Consolatio ad Marciam – un testo databile intorno al 40 dopo Cristo – si accinse a confortare la madre, figlia del senatore Cremuzio Cordo, la quale aveva perduto il suo Metilio, ricorrendo ai luoghi consueti della dissertazione filosofico-letteraria; riuscì tuttavia a focalizzare soprattutto la pena tenace e tormentosa («Tertius iam praeterit annus, cum interim nihil ex primo impetu cecidit: renovat se et corroborat cotidie luctus et iam sibi ius mora fecit eoque adductus est ut putet turpe desineret», 1 («Ormai sono passati tre anni, e ancora niente dell’originario sgomento è venuto meno: piuttosto si rinnova e rinvigorisce ogni giorno e la durata si è fatta diritto, sino a spingersi a ritenere disonorevole desistere, traduzione mia»), e a indicarne la causa precipua: «Nihil enim ad rem pertinent anni, quoniam nullum non acerbum funus est quod parens sequitur», 17 («Perché al riguardo non contano nulla gli anni, in quanto non c’è funerale, che abbia al suo seguito un genitore, che non sia prematuro»).

Franco Colandrea, nell’intento di definire la propria condizione etico-sentimentale, si affida alla rappresentazione accorata dell’analoga situazione psicologica di una “signora senz’anima”, tramite la felice soluzione narrativa della corrispondenza speculare, dell’individuazione di una “microstoria” entro la “storia” principale, secondo lo schema inventivo che i critici professionali chiamano mise en abîme: «Ogni pomeriggio giravi con la bicicletta ed una signora molto magra ti salutava sempre, il suo volto era molto scavato dalla disperazione. Un giorno mi domandasti cosa avesse quella donna e perché fosse sempre triste, ti risposi che aveva perso il suo unico figlio per un incidente stradale (…) Mi abbracciasti ed esclamasti: “Povera donna, papà!” Ora sono io che cammino nella stessa piazza» (La signora senz’anima, il secondo corsivo è mio).

L’episodio appena menzionato costituisce altresì un interessante momento di svolta nell’organizzazione strutturale-compositiva del racconto, ne precisa l’equilibrio formale e stilistico. La parte iniziale del testo, che lo comprende, è caratterizzata infatti dall’essenzialità e dalla nettezza del discorso, dominato da una simmetria basata sulle frequenti cadenze iterative e come bloccato da scoperte preoccupazioni cronistiche connesse all’obiettività di un accadimento tragico e ineluttabile, che ha imposto uno stato sconvolgente di mancanza, di sottrazione e quindi di autentica amputazione spirituale: «Ti ho voluto in vita con la forza della vita. Mi hai fatto vivere con quella magica forza della vita. Ti ho cresciuto con la potente forza dell’amore. Ci siamo tenuti in vita e siamo cresciuti insieme con la forza dell’amore e della vita (…) Appena viene a mancare la forza della vita, anche quella dell’amore lentamente passa nel buio dell’orizzonte» (A Paolo con forza, corsivo mio, come sempre dopo); «Di sera, nei momenti in cui ci vedevamo, il tuo sorriso mi caricava. Di giorno, al telefono, vedevo sempre il tuo silenzioso sorriso, era energia invisibile per tutti e due. Di notte la parte conscia del mio cervello comunicava con la parte inconscia, sorridevo col tuo sorriso. Mi manca il tuo sorriso» (Il tuo sorriso); «Sui Monti Ausoni – ricordo che avevi dieci anni – insieme abbiamo esplorato gli impenetrabili boschi di lecci, eravamo felici (…) Adesso non troverò più niente di simile, ma quello che manca veramente è il tuo sorriso» (Appunti di gioventù).

Il ricordo è straziante, e la terribile, profonda lacerazione suggerisce di conseguenza correlazioni antitetiche: «Avevi otto anni e la febbre che sfiorava i quaranta gradi (…) Era notte ed avevi paura del buio. Trovammo tre candele strette e lunghe (…) Era una luce flebile ma piena di calore. Ora quel pagliaio è vuoto e senza luce» (Il pagliaio).

In seguito però – grazie anche all’aiuto “terapeutico” della “scrittura” (mi sembra invero interessante lo spunto meta-letterario costituito dal capitoletto intitolato Amica penna: «Non ti stanchi mai, sei sempre disponibile, alle volte hai delle pause di riflessione, ogni tanto vieni buttata con rabbia nel pennaiolo, ma poi vieni ripresa e così sei di nuovo pronta a dare una mano») – il respiro sintattico si amplia, la costruzione dei periodi si fa più complessa, e l’ossessione memoriale diventa occasione per una sublimazione ideale, per un meditato trascendimento catartico del cupo animus luttuoso, attraverso un percorso lucidamente deliberato nella sua alterità qualitativa, carica di rigeneranti implicazioni emozionali e cognitive: «Non riesco ad avere pace, ma devo accettare il fatto compiuto. La strada che intendo intraprendere per comunicare con te attraverso il corpo eterico è nel campo della metafisica e spero tanto un giorno di riuscire a comunicare con te attraverso uno di questi canali» (La rassegnazione).

Così il rapporto padre/figlio riprende e si rinnova attraverso il sogno, un’esperienza che gli antichi greci ritenevano un dono della divinità (« Ὄναρ ἐκ Διός ἐστιν », si legge nel primo libro dell’Iliade): «In sogno, davanti al caminetto acceso che riscalda anche le più remote cellule del corpo, il pensiero è sempre costante verso di te, e ora riesco a vederti, ti vedo con gli occhi della mente nell’altra dimensione (…) Mentre ti volti, accenni ad un sorriso di compiacimento e durante il ritorno verso il tuo Paradiso sussurri alcune parole che sembrano dire: «Ba (Papà), io sono con te, sono sempre vicino a te» (Il sogno di ri…nascita).

È questo il cuore del libro di Colandrea: la comunicazione consentita dall’attingimento di un’altra dimensione, dall’ “oltrepassamento” dei “confini dell’Universo” (v. il racconto L’amore) non può che rivoluzionare ogni misura interiore, rivelando la grave inadeguatezza di ogni concezione relativistico-empirica ispirata al materialismo positivistico. Auspice pure l’influsso della sapienza vedica, la mente del genitore, che ora da maestro si trasforma in scolaro («Dopo la giornata lavorativa non vedo l’ora di andare a letto a dormire con la speranza di rivederti in sogno e ascoltarti ancora perché ho tanto da imparare da Te, figlio mio. Come vedi, ora i ruoli si sono invertiti» (L’ascolto), si apre al mistero, all’idea dell’anima immortale, alla prospettiva dell’incontro liberatorio e gratificante con una Presenza d’amore, la quale assicura infine uno scopo positivamente orientativo alle dinamiche dell’intero ordine vitale, datoché è convinzione conclusiva dell’autore che «tutto vada ‘come se’ il mondo fosse diretto a un fine da una volontà intelligente e superiore» (Il cervello del mondo).

Floriano Romboli

 

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L’AUTORE

 

Franco Colandrea, nato a Vallecorsa (FR), vive a Monfalcone (GO). Ha svolto il lavoro di Finanziere nelle Fiamme Gialle e poi dipendente pubblico alla Regione Friuli Venezia-Giulia. La sua vita è cambiata dopo la dipartita prematura del figlio Paolo. Oggi ha quattro lauree e si occupa di Naturopatia. Ha pubblicato i volumi: Le parole che ti ho detto e non ti ho detto in vita (2005), Dialogo inconscio da dimensioni diverse tra figlio e padre (2006), Dialoghi onirici tra padre e figlio - Paolo l’Immortale (2006), Senza Dio sono niente (2018), Rinascere a nuova vita dopo aver subito un dolore impossibile (2023).

 

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Franco Colandrea, A mio figlio Paolo – Dialoghi d’amore, prefazione di Floriano Romboli, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-40-0, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 


giovedì 18 luglio 2024

Premiazione premio letterario internazionale :"L'Azalea"

Si è svolta nell’ampia sala della Fondazione Museo “Venanzo Crocetti” a Roma, alla presenza di oltre centosettanta persone, la cerimonia di premiazione del Concorso Letterario Internazionale “L’ Azalea” – II edizione 2024 –, di cui sotto vediamo alcune immagini. Si è trattato di un grande e partecipato evento di cui voglio sottolineare in particolare   il Premio Speciale della Poesia a “Saffo di Erèso” il cui titolo richiama la nostra meravigliosa isola. Un meritato encomio vada oltre che ai partecipanti tutti anche a tutto lo staff organizzativo

Nazario Pardini

 


 







lunedì 15 luglio 2024

POESOGNI di TOMMASO TOMMASI


 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie e prose:

 

POESOGNI di TOMMASO TOMMASI

con prefazione di Michele Miano

 

 

Pubblicata la raccolta di poesie e prose dal titolo “Poesogni” di Tommaso Tommasi, con prefazione di Michele Miano, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Io con Tommaso Tommasi mi sento in colpa per due motivi. Primo motivo: mi occupo di editoria da trent’anni; ho iniziato verso la fine anni degli anni Ottanta ancora studente liceale con i primi articoli su riviste locali e con i preziosi consigli di mio padre Guido che dirigeva la nostra Casa Editrice. Confesso anche di avere stilato centinaia di prefazioni, saggi, monografie su autori e artisti contemporanei; e tenuto conto della mediocrità dei tempi di oggi, si tratta spesso di espressioni artistiche ormai livellate su canoni estetici e formali consueti e scontati. Mai come in questo caso mi sono imbattuto in un autore sui generis che mescola brani (forse derivano da sogni interrotti?) o meglio brandelli di racconti di vita vissuta spesso dal sapore autobiografico con stralci di liriche in un vortice caotico apparentemente senza senso. E solo ora mi rendo conto della complessità del dettato poetico di Tommaso Tommasi.

Sepolto dalle urgenze redazionali, mi accingo a scoprire un autore di caratura unica. Una scrittura, la sua, che si avvale di un mosaico di frammenti, episodi, immagini, brevi accadimenti slegati tra loro. Pensieri e riflessioni in un magma di sentimenti e osservazioni, racconti e aneddoti spesso senza una logica consequenziale. Lo stesso titolo della raccolta Poesogni è frutto della fantasia dell’autore come i titoli Ripamaro (2020) e Lamodeca (2022) pubblicati da questa Casa Editrice (e non prefate da me ma dal nostro valido e storico collaboratore Enzo Concardi) e che costituiscono una sorta di triade. Tre volumi che racchiudono un percorso di vita e sperimentazione linguistica già intrapreso con la pubblicazione del primo volume Il vento dell’anima nel 1977.

Come giustamente ha notato da Enzo Concardi nella prefazione a Lamodeca «…ne risulta una sorta di zibaldone di motivi, temi, generi letterari, stili i quali sono tuttavia uniti da un principale filo conduttore: stralci di vita dell’autore tratti dalla memoria e proposti oggi come una retrospettiva di vissuti tradotti in forma letteraria in cui vi sono occasioni perdute, esperienze giovanili, prove narrative e sogni interrotti da risvegli».

Proprio in Poesogni (G. Miano Editore, 2024), in uno stato di immaginario dormiveglia, il nostro poeta alterna brani lirici con sogni o meglio brandelli di sogni in una girandola di riflessioni, episodi di vita, memorie macerate intimamente. La dimensione del sogno sempre presente nella sua produzione, qui diventa elemento catalizzante e se vogliamo un processo di “catarsi” dai mali del mondo.

Il rifiuto di una società sempre più alienata e disumanizzata con i suoi falsi miti del progresso e con le sue idolatrie lo portano a isolarsi e a costruire un’interiorità sensibilissima per cui la poesia diventa l’unico approdo “al mal di vivere”; la poesia come tutta l’arte in generale diventa l’unica corazza per difendersi da un monde ostile e nel quale non si ritrova.

La massificazione della società moderna con la distruzione dei valori più autentici rende il mondo dominato dal caos senza più una gerarchia di valori o principi morali. Il poeta percepisce questo disagio, si sente sopraffatto e questa dolorosa osservazione del mondo rende ancora più difficile il dialogo con l’umanità. Ma Tommaso Tommasi rimane impassibile a volte; la realtà continua a conservare il carattere dell’enigma, dell’illusione, le cose rimangono prive di chiari contorni e di colori. Quasi un caos calmo, un ossimoro di morettiana memoria, dove in una dimensione caotica il poeta trova quasi una rassegnazione senza via di fuga.

La sua complessa e articolata personalità ci induce a una particolare valutazione dell’opera letteraria; oltre a dedicarsi alla poesia, Tommaso Tommasi si dedica al teatro, alla fotografia e alla pittura. Poesia sintetica nell’espressione, dotata di una notevole cadenza ritmica, che non ignora certo la frequenza con i classici, strutturata sostanzialmente tra l’immagine lirica e un ripiegarsi acuto e dolente nell’interiorità; un’interiorità che è resa più aspra dalla solitudine e dallo scorrere del tempo.

Perciò al primo impatto sembra essere una poesia caratterizzata da una visione fatalista e pessimistica della vita dove regna il caos o il disordine e i sogni aiutano ad evadere da questa realtà dolente: «I sogni non sono inutili / se poni tra le mani / un sipario di vetro. / E l’abisso risale / verso volti di uomini / che nascondono la rabbia / della palla del mondo».

Ma anche nella cupa disperazione e sensazione di angoscia si apre uno spiraglio: «Mi hai incantato col tuo caldo corpo / verso confini sconosciuti. / Suonerò il tamburo della mia vita / come il bambino che è in me. / Quel giorno sarà un sogno / e come il sogno sarà senza dimensioni. / Non potrà essere collocato / nello spazio e nel tempo. / Come un sogno / non potrà avere né un inizio né una fine. / Quel giorno sarà come una vita intera».

Ma cos’è poi l’arte, se non un tentativo di recupero del mito di quell’innocenza perduta a cui noi tutti tendiamo e di cercare di scovare negli abissi della propria coscienza quel poco di pace che tutti cerchiamo e che solo pochi raggiungono. E Tommaso Tommasi questo lo sa bene: «Libero, avrei voluto / confessare la mia malinconia. / ma il mondo lontano / abbandona le case del povero / senza graniglia di marmo / o finestre colorate di luce; / e le braccia ricadono stanche / senza le parole incantate / di un mago di bottega».

Il suo non è un canto illusorio poiché sogno, realtà e illusioni si fondono in una identità presente con il pensiero e l’azione. La poesia del nostro autore rivela anche la preoccupazione per quanto dell’uomo rimane di ciò che egli ha vissuto e sofferto nell’iter terreno e comprende che solo l’opera del pensiero individuale può continuare a vivere dopo l’annullamento fisico. Ma ecco che forse «(…) ci sarà sempre / un sorriso di donna / che guarderà felice / lontani orizzonti». Il che non è poco e lascia aperto comunque qualche barlume di speranza. Ed è in questo che risiede l’intima essenza della poesia per Tommaso Tommasi. Il secondo motivo per cui mi sento in colpa è non avere letto prima gli altri suoi volumi precedenti.

Michele Miano

 

 

 

 

 

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L’AUTORE

 

Tommaso Tommasi è nato a Ripatransone (AP) nel 1948 e vive a Seriate (BG). Laureatosi a L’Aquila, ha insegnato teatro, fotografia, poesia, lingua italiana. È stato bibliotecario presso il Liceo Scientifico di Bergamo. Ha collaborato come pubblicista con giornali e riviste; ha pubblicato varie raccolte di poesie. Tommasi è anche pittore ed ha allestito diverse mostre personali e collettive. Nel concorso “Opera Uno 2011” si è classificato tra i vincitori.

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Tommaso Tommasi, Poesogni - Poesie e sogni, prefazione di Michele Miano, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 80, isbn 979-12-81351-36-3, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


giovedì 11 luglio 2024

Giusy Frisina legge :" Monte Stella "



 SALITA AL MONTE STELLA

Elea non dev’essere molto distante da Salerno, provincia d’origine del poeta Luigi Fontanella, di cui ho letto con emozione la raccolta dal suggestivo titolo “Monte Stella”, riferito a un luogo chiave della memoria. Una raccolta divisa, quasi ritmicamente, in quattro tempi (più un epilogo), con una trama sospesa tra memoria e immaginazione. Il Monte Stella è il vertice di questa memoria, per cui mi piace immaginare qui di percorrere una “salita al Monte Stella” (simile, laicamente, alla salita al Monte Carmelo di Giovanni della Croce) , dove ritrovare le origini metafisiche di questa poesia.

Ma siamo in Magna Grecia ed Elea ad ogni modo era la sede, intorno al VI-V secolo avanti Cristo, di una importante scuola filosofica fondata dal venerando - e terribile, si diceva - Parmenide. Questo filosofo è noto per essere stato il fondatore del “principio di non contraddizione”, secondo cui A è uguale ad A e non è non A, ovvero del principio base della logica. Da qui ricavava che l’Essere è e non può non essere e che il non essere non è e non può essere, ed era difficile tenergli testa. Luigi Fontanella se fosse vissuto a quel tempo, molto probabilmente si sarebbe tenuto alla larga da quella scuola o, se ne avesse fatto parte, sarebbe stato sicuramente un eretico, come un certo geniale Zenone, inventore dei famosi paradossi costruiti per dimostrare tutto e il contrario di tutto. Perché per Fontanella, forse più vicino al pensiero di Eraclito e come per la poesia che si rispetti, il principio di non contraddizione non esiste, o meglio si capovolge facilmente nella contraddizione, se ogni fenomeno fluttua continuamente tra essere e non essere, tra verità e sogno, tra realtà e immaginazione appunto, senza mai trovare una sua veste stabile e definitiva. Nei suoi versi incontriamo infatti uomini e fantasmi allo stesso modo incerti tra sostanzialità e trasparenze, soltanto per un attimo intrappolati nel tempo e liberi di vagare tra un luogo e una suggestione, tra un passato irrecuperabile e un presente precario, ma con la forza di chi ha fatto della memoria, mescolata con i colori dell’immaginazione, il proprio vessillo, ovvero il salvacondotto che apre le

porte della mente e del cuore (soprattutto), mentre ci trasporta nei percorsi surreali del nostro passato.

Perché di ragioni del cuore si tratta, come direbbe Pascal, di affetti profondissimi vissuti dal singolo autore, eppure universali, nella parola che evoca le immagini più strane e insolite, eppure così intime e familiari, come un cortile, una piazza, un gioco, o “un richiamo di capelli e sorrisi, da un balcone all’altro” …

E questo anche quando la biografia dell’autore ci trascina da un continente all’altro, cambiando improvvisamente scenario, perché di sentimenti sempre si tratta, in ogni tempo e in ogni luogo, declinati dal linguaggio risonante della parola evocativa che emerge con la memoria, quando si è immersa nel mare dell’immagine. Ma che rapporto c’è tra memoria e immagine se non quello creato dalla stessa immaginazione che trasforma e trasfigura ogni cosa o persona, pur rimanendo assolutamente fedele all’attimo che l’ha suscitata?

Ed ecco che sfilano i volti di persone care scomparse o quanto mai vive e fonte di gioia ( come la figlia Emma), oppure solamente note - ma che hanno toccato l’anima del poeta (come Marilyn) - anzi girano come su una giostra, come nella” vita in cerchio”, titolo suggestivo del secondo tempo della raccolta, dove si affaccia forse l’ipotesi dell’eterno ritorno, dove nulla ha inizio ma nemmeno fine e sia la vita che la morte appaiono come un’illusione interminabile o come un presente dove tutto confluisce.

Così ogni cosa si sfuma e si alleggerisce, e le stesse ginocchia si fanno d’aria e le parole stesse si sciolgono con la pioggia che sostituisce le lacrime, come in quelle notti in cui finalmente si comprende che” la vita, non più ombra che cammina, altro non sia che amare” (A Irene).

Oppure sognare, quel “sognare smerigliato” che si volge al volo di un uccello ed in quel volo identificarsi con lo spazio, quello spazio che è respiro, o talvolta anche un pensarsi al di là dello

spazio e del tempo, dove è possibile immaginare anche l’incontro tanto aspettato, quello col padre amato e indecifrabile, scomparso troppo presto.

E allora il nostro impagabile poeta può anche ripassare da Elea e riprendere a dialogare con Parmenide, quando si accorge di aver scoperto che nulla scompare veramente e che, come ricorda Emanuele Severino, “Tutto è eterno" ossia che “anche alle cose e alle vicende più umili e impalpabili compete il trionfo che si è soliti riservare a dio.” Forse semplicemente perché il mistero umano ha in sé il divino. E di questo non può occuparsene solo la filosofia ma anche e soprattutto la poesia.

Giusy Frisina

8 INFINITO 8 – L’ARRIVO DEL GABBIANO di ADRIANA DEMINICIS


GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie:

 

8 INFINITO 8 – L’ARRIVO DEL GABBIANO

di ADRIANA DEMINICIS

con prefazione di Enzo Concardi

 

Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “8 Infinito 8 – L’arrivo del Gabbiano” di Adriana Deminicis, con prefazione di Enzo Concardi, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

Dopo la pubblicazione de La gemma di giada nel 2023 – che ha visto sempre la mia prefazione – ecco ora l’apparizione de L’arrivo del Gabbiano, seconda opera di Adriana Deminicis, appartenente al ciclo dedicato all’Infinito: ne è sicuramente la prosecuzione poetica ed ideale, riprendendone i motivi di fondo e la tecnica letteraria. La poesia incipitaria del libro cerca di illustrare al lettore il lungo cammino che l’aspetta per raggiungere mete e traguardi di spiritualità e benessere, nell’unione con il Tutto: porta lo stesso titolo simbolico della raccolta ed è una sorta di dichiarazione programmatica del significato della presenza dei gabbiani, ovviamente metafora da svelare. I versi chiave mi sembrano i seguenti: «… Il Gabbiano in volo rappresenta / il mio pensiero che ha trovato la via / per poter uscire ed intraprendere / il cammino, nel respiro liberato / che fluttua nell’Aria, ondeggia / ed a ogni batter d’ali / fa imprimere parole sentite, / sgorgano fluttuanti senza remore e paure / e dicon ogni cosa, / tutto quello che il mio cuore in questo momento sente...».

La mente e il sentimento della poetessa agiscono quindi all’unisono, investendo tutta la personalità, l’essere l’anima, i sensi per compiere un cammino di liberazione e di guarigione, simile alla funzione dell’antica “vis medicatrix naturae. Qui potremmo già citare - come esemplificazione – le liriche Il quarzo citrino («Non era un vezzo / senza significato / portare un ciondolo / di quarzo citrino /…/ lo vedevo luccicare / lo tenevo a me vicino / e i suoi effetti e benefìci / si imprimevano ben presto / sul mio corpo…»; La gemma di giada («Scompariva il dolore dal corpo / grazie alla preziosa gemma di giada /…/ erano il cielo stesso, l’aria, le acque del mare / a volere tutto questo...»; La gemma corniola («... / indossavo una collana al collo / avvertivo una energia diversa /…/ per non parlare della carnagione / che assumeva un colore diverso ringiovanito / grazie anche alla gemma corniola, / che portavo al collo»).

Gli elementi della Natura sono quindi protagonisti in questa poesia i cui contorni vanno gradualmente definendosi nel suo sviluppo e che incontreremo nell’analisi critica, elementi che sempre interagiscono con l’io dell’autrice, svolgendo un ruolo di alter-ego nel dialogo colloquiale, immaginato e vissuto nell’interiorità ed esternato attraverso il linguaggio poetico. Si tratta dunque di una poesia soggettiva, in definitiva auto-centrata sull’universo personale, una sorta di lunga confessione, un monologo che letterariamente assume la forma di una poesia-fiume che scorre nelle sue vene, trasformandosi in poesia-narrazione e sublimandosi in poesia visionaria, dove la realtà fa solo capolino, in attesa di trasfigurarsi in altro da sé.

In certi frammenti è come l’osservare i particolari di un quadro impressionista, poiché taluni versi ricreano quel tipo di atmosfere: «Vidi passare un fiore di canna rosso / nel cestino di una bici, / ho visto ancora un gioiello rosso / nella via del mercato ed un occhio blu, / si respirava finalmente un sorriso / nel viale del pigneto /.../ C’era anche una farfalla bianca, / quell’abitino senza maniche / mi faceva ancora sognare…» (La via del pigneto).

Ovviamente i richiami alla presenza dei gabbiani nei testi della Deminicis sono numerosi, per cui non possiamo esimerci dal proporne alcuni anche al lettore. Dapprima ci soffermiamo su Entrare nel flusso, lirica nella quale tutto è teso alla ricerca dell’armonia, della comunione vitale con l’energia dell’universo, dove l’arrivo del gabbiano porta al superamento delle contraddizioni, crea alchimie con tutte le creature viventi: la poetessa si alza in volo con lui e sogna l’isola immaginaria, ovvero il regno dell’Amore, la possibilità di un nuovo benessere. Significativa anche Il gabbiano, dove assistiamo ad un flusso ininterrotto di immagini legate ad associazioni di ricordi liberamente rivissute ed espresse, e dove i luoghi concreti si trasformano in contesti irreali senza nomi, tempi, storie, come se la poetessa si fosse seduta sul lettino di uno psicanalista e parlasse a ruota libera dei suoi sogni; così il mare ed il cielo l’avvolgono completamente fino a godere la pienezza del vivere, una completa felicità e le altezze dello spirito, grazie alle lezioni impartite dal gabbiano.  Ne I Gabbiani. Arrivarono in tanti, accogliamo un altro messaggio d’infinito e di rinascita, poiché – dice il testo – i loro sguardi andavano oltre i limiti del tempo, presagivano l’arcobaleno all’orizzonte dopo i tuoni del temporale, indicavano la ricchezza della gamma dei colori naturali.

Ed ancora La baia dei Gabbiani, tecnicamente un acrostico basato sul vocabolo poesia, con il chiaro incipit: «Nella baia dei Gabbiani si viveva di poesia…». Un altro sito onirico dove si attendeva la metamorfosi della vita, ma dove: «... Dovevamo essere aiutati, / dovevamo aiutarci perché qui vigevano / ancora la malattia e la vecchiaia / e c’era ancora tanta dipendenza / così da annullare le proprie ricchezze personali...». La poetessa usa il verbo al passato in quanto si tratta di sogni o visioni e quindi eventi già avvenuti, oppure perché sono stati esistenziali preesistenti ed ora superati: vige la legge della dinamica nel nostro vivere.

Nel complesso la poetica del libro sembra rispecchiare talune acquisizioni della filosofia conosciuta come New Age (“Nuova Era”), vasto movimento culturale che comprende diverse correnti psicologiche, sociali e spirituali di natura alternativa sviluppatesi negli ultimi decenni del secolo scorso, come certi concetti e pratiche quali la meditazione yoga, il ‘channeling’, la cristalloterapia, la medicina olistica, l’ambientalismo, l’astrologia, la cabala, la teosofia, le sincronicità numeriche... Tale visione sovente accomuna gli elementi della Terra, del Mare, del Sole, della Luna, dei Pianeti, e degli altri corpi celesti come fonti di energia per la vita umana. Le liriche della Deminicis che rispondono a queste caratteristiche sono numerose ed è interessante scoprire dai loro versi le affinità esistenti; ne segnalo alcune al lettore.

Leggiamo L’energia di Gaia (Gea, la Terra) e vi troviamo il desiderio di connessione con l’energia universale, guaritrice e benefica, apportatrice – dice la poetessa – di quel grande Amore che ha sempre ricercato nella sua vita. Visitiamo L’orizzonte e il mare dove si dispiegano vaste dimensioni spirituali, ontologiche, oniriche – e conosciamo l’influsso positivo del mondo delle acque, degli oceani con la voce del mare che parla a lei con tutta la sua forza. Così anche in Una conchiglia emergono i bisogni dell’anima, la necessità di una rigenerazione antropologica, dell’incontro con l’amore vero, di una sconfitta della solitudine perché siamo fatti per vivere evangelicamente riuniti ed accedere al Tutto. Ecco poi la divinizzazione del grande astro (L’amore del Sole) che ci regala la vita con i suoi raggi, ai quali non si può rimanere indifferenti: essi parlano e la loro voce ha molte cose da dirci. Il tema è ripreso e sviluppato anche in Una canoa. In tali visioni scontato è uno sguardo diverso verso la Luna: non la gelida ed ostile luna leopardiana, ma la calda, amica e benefica luna, poiché «...Luna eri venuta / per rimanere con me per sempre…». Accanto alla Luna ecco Marte, pianeta bellissimo che, come tutti gli altri corpi celesti, richiama il pensiero dell’Infinito. Infine la poesia astrale dell’autrice si sofferma su Gli anni dei Numeri, dai poteri magici e taumaturgici: «... Ogni numero mi avrebbe accompagnato / con il cuore in mano, ogni numero / mi avrebbe portato giorni generosi / pieni di Amore e di Felicità».

Per consegnare ora al lettore ulteriori chiavi di lettura chiare e sintetiche, ovvero fuor di metafora, come si suol dire, de L’arrivo del Gabbiano, ne enunciamo le più importanti. L’umanità, la vita, l’universo, il cosmo, sono spiritualmente interconnessi per cui partecipi della stessa energia: Dio è uno dei nomi di questa energia. La mente umana ha poteri profondi e vasti che possono modificare la realtà: ognuno crea la sua realtà. Ciascun individuo ha uno scopo sulla Terra e una lezione da imparare: la lezione più importante è l’amore. C’è un nucleo mistico comune in tutte le religioni, orientali ed occidentali: i dogmi, l’identità religiosa, l’intolleranza sono ostacoli al progresso della specie. Tutto ciò che accade ha uno scopo: in ogni momento siamo nel posto giusto per imparare la propria lezione. Il nostro obiettivo è diventare capaci di amare tutto ciò con cui entriamo in contatto, scoprire il divino in ogni cosa e l’unione dell’Uno con il Tutto.

Il poemetto finale dal titolo Un occhio blu vuole insegnare tutto ciò con il risveglio del terzo occhio, la guarigione interiore, dopo la prigionia kafkiana in un castello e l’alienazione psicanalitica con un dottore in camice bianco: l’incubo finisce e nella storia – che sembra un sogno sconnesso – il protagonista ritrova se stesso e la propria felicità.

Enzo Concardi

 

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L’ATRICE

 

Adriana Deminicis è nata a Montegiorgio (FM) nel 1958. È docente nella Scuola Secondaria di II grado. Attualmente insegna presso l’I.T.T. Montani Fermo. Ha pubblicato le raccolte di poesie: Il mio tempo a che ora è arrivato? (2012), Il mio domani non è mai uguale (2013), Oggi così, domani in altro modo (2013), Momenti di vita quotidiana (2013), Quando (2015), Da un Poemetto alla Luna. I fiori di gelsomino (2022), 8 Infinito 8 – La gemma di giada (2023). Altre sue poesie sono pubblicate in vari volumi antologici.

 

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Adriana Deminicis, 8 Infinito 8 – L’arrivo del Gabbiano, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 152, isbn 979-12-81351-33-2, mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

martedì 9 luglio 2024

OGGETTI PREZIOSI di Vincenzo Meo


 

GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE

 

È uscito il libro di poesie:

 

OGGETTI PREZIOSI di VINCENZO MEO

con prefazioni di Michele Miano e Romeo Iurescia,

e nota critica di Vincenzo Bendinelli

 

Pubblicata la raccolta poetica dal titolo “Oggetti Preziosi” di Vincenzo Meo, con prefazioni di Michele Miano e Romeo Iurescia, nella prestigiosa collana “Alcyone 2000”, Guido Miano Editore, Milano 2024.

 

La poesia di Vincenzo Meo, dotata di semplicità compositiva, assume i connotati di un atteggiamento introspettivo continuo e di analisi della propria dimensione meditativa. Affronta la scrittura letteraria come affronta la vita di ogni giorno con forza, dignità e fiducia e con lo sguardo pulito e profondo dell’artista che non teme di scontrarsi con lo squallore della violenza, della degradazione dei valori etici, di una società ormai alla deriva. La sua ispirazione artistica si snoda attraverso i binari dell’angoscia esistenziale dove alla solitudine e alla precarietà dell’esistenza umana non sembra esserci rimedio se non ripiegarsi in se stessi. È consapevole che solo la poesia e l’arte nella sua accezione generale può e deve essere strumento salvifico per le future generazioni. Si legga la breve e incisiva lirica Un poeta: «…Un poeta… / qualcosa in più, / qualcosa di diverso». E la lirica L’Artista: «È un uomo senza forma, / senza dimensione, / senza struttura, senza età, / senza confini».

In altri testi il poeta canta gli affetti familiari, l’amore per i genitori, e la famiglia le bellezze del Creato. Il sentimento del-la natura si direbbe poi essere un altro elemento catalizzante della sua ispirazione con la descrizione di felici e delicati quadretti agresti della sua Trivento e della terra d’origine. Il poeta soffre per l’amara consapevolezza dell’aridità dei tempi odierni, soffre per le guerre fratricide, per i soprusi, per le ingiustizie.

Rimpiange il tempo perduto, una vita agreste povera e sincera. Rimpiange gli insegnamenti del padre e dell’adorata madre: «…Mi avevi insegnato / a credere in qualcosa…/ Ora, tutto è cambiato! / Non c’è più giustizia; / i valori sono stati distrutti, / la favola è finita. / Ed io, / che ti avevo sempre / dato retta… / oggi devo lottare / in un mondo / corrotto». (Tuo insegnamento. I suoi versi si ispirano spesso alla memoria di malinconiche suggestioni del passato, a rievocazioni e rimpianto di una civiltà patriarcale e agricola. Prevale nei suoi testi la ricerca nostalgica e struggente di un’epoca perduta, di certe idealità, e valori ormai dissacrati dalla civiltà tecnologica e da un mondo sempre più individualista (…).

Michele Miano

 

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Di fronte all’angoscia del vivere umano, alle tremende vicende cui l’uomo assiste quotidianamente Vincenzo Meo contrappone il suo peso interiore, anzi propone la sua intima personalità fatta di azioni, sentimenti e immagini genuine, pure, semplici, che calmano il cuore del lettore in ogni suo più nascosto anfratto.

Il suo pensiero, che tramuta in azione morale, rappresenta il suo iter comunicativo, la pace interiore ed esteriore che ognuno dovrebbe ricercare per “vivere” i giorni di questa vita terrena. L’autore di queste liriche sintetiche, chiare, precise vuole porgere all’umanità la speranza di un mondo migliore, le sue intime emozioni con una soavità, una delicatezza di spirito stupefacente, rivestita al tempo stesso di una corazza talmente coriacea che respinge i soprusi, le violenze, la guerra ed è permeabile al dolore, alle grandi sofferenze dell’umanità, alla solidarietà, al vero amore che solo potrà salvare e riscaldare l’uomo in questa valle di lacrime (…).

Romeo Iurescia

 

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Poeta della meditazione e dei ritorni Vincenzo Meo, poiché si immerge nei ricordi denunciando una certa tristezza di fondo, tristezza di un tempo che passa, un tempo che lo ha deluso perché simbolicamente legato al concetto del bene e del meglio, della morale e quindi dell’onestà che per una vita lo ha reso integro ai propri principi educativi lasciandolo però povero di mezzi e di soddisfazioni che invece altri riescono ad ottenere. Tormento d’uomo questo, ma un giusto come Vincenzo Meo ha in sé la più grande conquista: il mondo spirituale, che non ha limiti di ricchezza e di gioia profonda.

Da questi presupposti si diparte una poesia carica di forza a riscattarlo da quel dolore sordo che lo fa fortunatamente reagire, riuscendo a scrivere il proprio testamento spirituale in una chiave di tutto riguardo letterario. La qualità della sua poesia porta il marchio della migliore ispirazione; infatti il poeta è sorretto da una chiarezza mentale eccezionale, in quanto le immagini che formano i versi appaiono di un nitore formale e di un pensiero veramente incredibile. Anche se descrittiva la sua poesia assurge a trasfigurazione metaforica, questo significa che egli ha compreso che la poesia è tale se la forza del verso la qualifica nel contenuto e nella carica emotiva, carica impressa da un attimo che trascende la stessa realtà che il poeta intende enunciare. Soltanto così è possibile una realizzazione consona ai canoni che sostengono il concetto di poesia, anche se i modi per realizzarla possono essere diversi e legati alla sensibilità individuale (…).

Vincenzo Bendinelli

 

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L’AUTORE

 

Vincenzo Meo è nato a Trivento (CB) dove attualmente risiede. Ha iniziato a scrivere poesie dall’età di sedici anni; ha pubblicato le raccolte di liriche: Cielo grigio squarci azzurri (1979), Una luce diversa (1985), e il libro di pensieri in versi: Riflessioni (1993). Ha partecipato a rassegne letterarie ricevendo consensi e segnalazioni. Sue poesie sono inserite in numerose antologie letterarie.

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Vincenzo Meo, Oggetti Preziosi, prefazioni di Michele Miano e Romeo Iurescia, Guido Miano Editore, Milano 2024, pp. 128, isbn 979-12-81351-35-6, mianoposta@gmail.com.