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martedì 10 marzo 2015

FULVIO CASTELLANI INTERVISTA PASQUALE BALESTRIERE

IL SALOTTO DEGLI AUTORI
L’intervista
PASQUALE BALESTRIERE: ” CREDO FERMAMENTE NELLA POESIA COME FONTE DI BELLEZZA E DI ELEVAZIONE”
Fulvio Castellani (UD)
Pubblicata sul n. 49 de "Il salotto degli autori", rivista della casa editrice Carta e Penna

La presenza di Pasquale Balestriere, nel contesto della letteratura contemporanea di casa nostra, vive soprattutto per il linguaggio esemplarmente lucido e ricco di immagini che si concretizza nella poesia, una poesia che si caratterizza (come è stato a più riprese rilevato) “per un’acuta e approfondita visione dell’uomo e della natura, nonché per l’intrinseco rapporto tra questi due mondi.” È evidente, pertanto,  che il suo percorso scritturale  ha catturato a sé l’attenzione dei critici più qualificati e di addetti ai lavori di prim’ordine. Citiamo, tra gli altri, Luigi Pumpo (“Le immagini sono sempre ricche di una coralità meravigliosa”), Walter Ciapetti (“...una voce destinata ad affermarsi per la robustezza del mito lirico”), Donato Valli, Umberto Vicaretti, Alberto Mario Moriconi, Giorgio Barberi Squarotti,  Elio Andriuoli, Lorenza Rocco, Luciano Nanni, Antonio Spagnuolo, Anna Di Meglio (“Balestriere è, nella sua modernità, un classico: umilmente genuino ed eminentemente magistrale è il suo approccio al mondo, naturalità e sacralità del gesto quotidiano, del lavoro e della soddisfazione che nasce da esso”), Raffaele Urraro  (“... una versificazione attenta e sorvegliata”), Ciro Cenatiempo, Paolo Ruffilli, Nazario Pardini ...                  In una forte poesia, in cui parla del padre “Ulisse contadino / d’America e d’Algeria”, Pasquale Balestriere evidenzia in maniera brillante e nostalgica le sue origini: “ Appartengo alla nazione contadina / che riposa all’abbeveratoio / dove la mucca trangugia / follie di stelle e scherzi della luna.” In questi versi c’è l’uomo e il poeta, il tempo e la natura, il lavoro e il sogno; un po’ la sintesi, se così si può dire, del suo trasferire in versi, caldi e modernamente classici,il suo io, la sua forza interiore, il suo saper guardare al di là del recinto allo scopo di spalancare lo sguardo e il pensiero in direzione di una realtà da conquistare  e da trasmettere al meglio avendo sempre presente la prima memoria (“... si viveva nell’erba / furente, nell’urlo del sole / dove la biscia / tramava risse d’inganni all’arguta / lucertola.”).                                                                                                                          Fin qui ha pubblicato sei sillogi poetiche ( E il dolore con noiEffemeridi pitecusaneProve d’amore e di poesia; Del padre, del vino; Quando passaggi di cometeIl sogno della luce), e ha ottenuto numerosi primi premi (Città di Quarrata, Città di Rufina, Poseidonia-Paestum, Alessandro Contini Bonacossi, Il Portone, Napoli Cultural Classic, Milano-Streghetta ...).  Si occupa anche di narrativa e saggistica,di studi su usi, costumi e dialetto dell’isola d’Ischia, nonché collabora a testate culturali con recensioni e articoli di varia cultura.

DomandaLa sua, ha avuto modo di rimarcare Paolo Ruffilli,  è “una poesia che è volta ad opporre il segno della parola alla sorda indifferenza della natura”.  Ne è veramente convinto e perché crede nel potere magico della parola poetica?                                                                     Risposta - Il mondo classico ha avuto un ruolo predominante nel mio processo formativo, anzi lo ha decisamente orientato: degli autori antichi - impareggiabili maestri -  ho assorbito l’humanitas leggendo pagine grandi e belle;   e ne ho coltivato i valori e i miti, compreso quello della poesia che è innanzitutto verbum/lògos, quasi parola divina, la quale  evoca,  e svela - al poeta in primo luogo, poi agli altri- una realtà normalmente sconosciuta. E credo fermamente nella poesia perché credo nell’arte come forma di riscatto e di elevazione, come fonte di bellezza, di salvezza, di sopravvivenza.
D. – Lei dà molto spazio nella sua poesia alle figure della madre ( “Sei tu la pace, madre, eterno porto / dove si spengono tumulti ed ire / e tace la guerra”) e al padre (“ C’è un tempo / per la vita, dicesti: / il resto è niente. Tienilo / da conto”). Ma quale è l’immagine più bella che ha dei suoi genitori?                                                                                                                                                    R. - Quella della quotidianità, dei piccoli gesti apparentemente senza storia, delle parole che hanno messo radici nel cuore. Famiglia contadina, la mia. Indissolubilmente legata alla terra, ai suoi tempi e ritmi, ai valori della fatica e della religione, ma soprattutto alla speranza. Che riposava negli occhi sereni e celesti della devota madre e in quelli mobili e  verdi del padre che si accordava alla natura.
D.-  Cosa significa per lei il mare, l’orizzonte azzurro che si allunga in direzione del nulla, dell’immenso?                                                                                                                                                  R. - Per uno che, come me, abita su un’isola, e per di più piccola, il mare è innanzitutto qualcosa che, a seconda delle occasioni, divide e unisce, facilita e impedisce, attira e intimidisce. Una presenza “avvolgente” con cui fare i conti; ma pure invito all’avventura, al sogno, alla scoperta e, in ultima analisi, alla vita. Ma è ancora, nella sua vastità, metafora e insieme sintesi di un universo sconosciuto e  sterminato,  di fronte al quale l’uomo avverte in modo ancora più acuto e dolente il senso della sua minimità, del precario e incerto passaggio sulla terra.
D. – Nel suo diario di uomo e di poeta trovano una posizione di rilievo i ricordi, la bellezza e l’asprezza della natura, il rapporto con gli altri, l’amore. Ma qual è il ricordo che si affaccia con maggiore frequenza e freschezza sul palcoscenico della quotidianità?                                                                 R. - I ricordi legati al distacco, alla sofferenza, alla morte. Chissà perché i momenti di gioia  perdono nel tempo gran parte della loro intensità,mentre non accade la stessa cosa per il dolore (o almeno non così rapidamente come per la gioia). I distacchi sono stati, nella mia vita, un vero angoscioso stillicidio. A dieci anni fui mandato in seminario e tornavo in famiglia solo per le vacanze estive, soffrendo molto la lontananza dai miei. Ancora più dolorosa, anche se in apparenza normale, la partenza per il servizio militare, a causa dell’età avanzata dei miei genitori, in particolare di mio padre, in difficoltà nel governo delle nostre proprietà agricole e per le sue condizioni di salute. Poi i distacchi veri e definitivi. Finali. Ma ricordo anche con un sorriso le prime prove di poesia, verso i quattordici anni: tentativi rudimentali e scolastici, e gare di scrittura con i compagni di studio, che però  davano soddisfazione. E le sere d’estate, noi e i vicini, a chiacchierare tutti insieme sul terrazzo, alla luce delle stelle e delle lucciole.


D. -  È nel giusto Nazario Pardini (un attento e scrupoloso lettore critico della sua poesia) quando dice: “È una presenza-assenza ad alimentare la poesia di Balestriere, e la sua poesia  è tanto liricamente vitale da sconfiggere l’assenza”?  I motivi.                                                                 R. -  L’amico Nazario Pardini, oltre ad essere un bravo poeta e critico letterario,  conosce molto bene la mia poesia, ne è, come lei giustamente dice, “un attento e scrupoloso lettore”, e perciò la sua affermazione  coglie nel segno. Felicemente.  In effetti in me (e certamente anche  in altri) la poesia nasce spesso dall’assenza, talvolta da un senso di privazione, un po’  come accadde a Leopardi quando scrisse L’infinito. Così mi capita di risarcire l’assenza con l’evocazione o la rievocazione, in ogni caso con la creazione poetica dove i due elementi ( assenza/presenza)- si compongono in sintesi pacificante che, sia pure provvisoriamente, colma un vuoto; sicché la poesia in qualche modo assume anche una funzione lenitiva e terapeutica.
D. -  Tra gli ormai numerosi e importanti premi che fin qui ha ottenuto, quale considera il più significativo e che le ha dato maggiore notorietà? Ne parli.                                                                   R. - Premetto che, essendo sostanzialmente un isolano/isolato, poeta di frontiera, fuori quindi da ogni schema, scuola o conventicola letteraria, ogni premio da me ottenuto è stato pienamente guadagnato. E ciò è per me motivo di grande soddisfazione. Se poi si considera che, per il mio carattere schietto, deciso e forse un po’ ruvido, ma onesto, mi sono procurate varie inimicizie, sparse per l’Italia,  allora si capisce bene che è già un miracolo aver ottenuto un discreto numero di riconoscimenti in premi letterari. I quali fanno girare i nomi dei poeti in ambiti per la verità molto ristretti e per lo più specialistici e settoriali. E pur se un gran numero di premi letterari lascia molto a desiderare, per incompetenza o corruzione delle commissioni giudicatrici o per difetti organizzativi, ci sono diversi concorsi degni di tal nome. Bisogna saperli individuare, ma esistono. Ne cito uno per tutti: il premio “Città di Quarrata”, che ha una giuria seria e competente e un’organizzazione di buon livello. In ogni caso tali appuntamenti sono un’ottima occasione d’incontro con scrittori, che altrimenti non si conoscerebbero mai, ed anche con altre persone di grande cultura.
D. -  Perché, a suo avviso, in Italia ci sono tanti poeti, più o meno validi, e pochi lettori di poesia al punto che (e non è assurdo pensarlo) sembra quasi che ognuno scriva esclusivamente per se stesso?                                                                                                                                                                R. - In realtà la divaricazione tra autore e pubblico, esistente già nell’Ottocento, si radicalizza ancora di più nel Novecento, sia perché gli scrittori, e i poeti in particolare, generalmente si chiudono nei limiti di un linguaggio quasi incomprensibile a livello popolare (si pensi agli ermetici e a certi sperimentalismi), sia perché lo stesso pubblico si è, in qualche modo e per una serie di motivi,  rassegnato ad una fruizione linguistica di pura quotidianità. A ciò si aggiunga un’evoluzione della vita in senso consumistico e materialistico. E il gioco è fatto,anche per il collaterale cedimento di istituzioni come scuola e famiglia. Per non dire d’altro.  Conseguenza: in Italia si legge al massimo il quotidiano preferito o un po’ di prosa. Per la poesia non c’è spazio: mancano cuore e mente adatti a recepirla. Per giunta oggi proliferano tanti poetastri...
D. -  Ha mai pensato di scrivere un romanzo? E cosa sta bollendo nel suo shaker creativo?            R. -  Sono nato per la poesia. Tuttavia, sì, ho pensato molte volte di scrivere qualcosa in prosa. Forse non un romanzo, la cui stesura è stata sempre da me reputata  molto impegnativa. Ho scritto così alcuni racconti. In più mi dedico abbastanza alla saggistica e alla critica letteraria. Collaboro con un quotidiano, con riviste e blog letterari. E su questi binari, almeno per il momento, intendo continuare a muovermi. Per il resto   - come si dice?-  il futuro riposa sulle ginocchia di Zeus.
                                                                                                                          



8 commenti:

  1. Un'intervista a tutto tondo, a 360 gradi, dove Balestriere evidenzia le sue notevoli doti di saggista. Uno scritto prezioso da cui fuoriesce tutta la complessa personalità dello scrittore ischitano. Tutta la sua piena maturità poetica nel concepire questa simbiotica fusione fra ispirazione, natura, linguaggio, e assenza-presenza di empatie che non sfugge mai alla morsa delle sue intuizioni e delle sue esplosioni emotive. Tradurre il tutto in guizzi e impennate di rara fattura per Balestriere è pane di ogni giorno, considerando il pozzo verbale di cui si nutre la sua poesia. Ma è quando afferma “… E credo fermamente nella poesia perché credo nell’arte come forma di riscatto e di elevazione, come fonte di bellezza, di salvezza, di sopravvivenza.” che Pasquale mi trova pienamente consenziente. E ancora di più quando si distacca dal concetto di correlativo oggettivo di stampo eliotiano, facendo notare l’importanza delle vicissitudini personali nell’atto creativo.

    Complimenti sinceri, carissimo Pasquale

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  2. Grazie, carissimo Nazario. La tua parola è sempre puntuale e rivelatrice, il tuo senso critico perennemente allertato, la tua amicizia preziosa.
    Pasquale

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  3. Se qualcuno desidera e vuole trovare qualcosa di veramente genuino, di sapido, di autenticamente umano, legga più di una volta questa intervista, che nasce da un poeta autentico. Io vi trovo non solo il poeta, ma l'uomo vero, l'amico, lo studioso attento che riesce sempre a penetrare nel fondo dell'animo umano. Vi trovo la passione e l'amore per la bellezza e la semplicità, che è fonte di autentica lettura del mondo e delle cose semplici, ma vere, in cui ognuno può ritrovarsi ogni volta che si accosta all'opera di Balestriere. Complimenti, Pasquale, non ti esprimo la lode, ma il giusto riconoscimento alla persona ed al poeta, con tutta la stima che meriti.

    Umberto Cerio

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    1. Le parole degli amici fanno il cuore felice. Dopo Nazario, anche Umberto traccia un commento nel quale duellano alla grande il fine letterato e l'amico affettuoso. L'esito è incerto, perché non si sa se vince l'amico o il letterato. Ma, comunque vada, tu, Pasquale, cosa vuoi di più?
      Pasquale Balestriere

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  4. Ricordiamo l'indovinello veronese dell'VIII-IX secolo? E' un noto incunabolo della lingua italiana, dove si paragona l'aratura alla scrittura, evidenziando affinità di cui l'amico Pasquale è ben consapevole. Come consapevole ne è il sangue più arcaico e profondo della classicità, legato agli elementi e tutt'altro che teso ad "opporre il segno della parola alla sorda indifferenza della natura". La sacralità della terra e della madre; la venerazione per il sangue contadino; l'amore per la vita, che è dolore e gioia (assenza e presenza, come acutamente osserva Pardini), sono valori ben diversi dai sofismi tragici con cui un'altra anima dell'umanesimo (che non appartiene a Balestriere) si è voluta distanziare ed affrancare, nel corso dei secoli, dalla natura. Complimenti vivissimi a Pasquale ed al suo acuto intervistatore.
    Franco Campegiani

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  5. Devo dire che sono molto contento dei miei amici: per la cultura, la competenza, l'intelligenza che li contraddistingue. Oltre che per l'affetto, ricambiato, di cui mi gratificano. Prendiamo Franco Campegiani: non si smentisce, non delude; nei suoi commenti c'è sempre qualche contributo che amplia il contesto, qualche riflessione che, per la sua acutezza, è foriera di ulteriori sviluppi.
    Grazie, Franco. La tua penna arricchisce.
    Pasquale

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  6. L’intervista di Fulvio Castellani a Pasquale Balestriere offre un ventaglio di notevolissimi spunti. Illuminanti, come sempre, le testimonianze critiche di Nazario Pardini, Umberto Cerio, Franco Campegiani. A me qui piace brevemente riprendere il passaggio introduttivo, con i versi di Balestriere a ricordare suo padre, quell’ “Ulisse contadino / d’America e d’Algeria”, versi con cui il poeta rivendica anche le sue origini: “Appartengo alla nazione contadina / che riposa all’abbeveratoio / dove la mucca trangugia / follie di stelle e scherzi della luna.”, frammenti di serenante panismo, lo snodo lirico finale a regalare squarci d'indicibile malia. Qui è la terra (una terra di spighe e viti e sole, di Angelus e di silenziose, interminabili attese) a segnare il tratto distintivo, forse il più peculiare, del mondo poetico di Balestriere. E con la terra e la natura, superbamente egli canta sudore e fatica, il volgere delle stagioni e il miracolo delle messi, del pane e del vino, elevando a religione quel rito quotidiano dei campi che prodigiosamente fonde e confonde uomo e natura, dubbio e fede, disperazione e speranza, tristezza e gioia, albe e tramonti, finendo per santificare, insieme a loro, persino il dolore.
    Una poesia, quella di Balestriere, che si nutre del Mito e dei Lari, della terra e del mare, di classicità e modernità, e dove la pietas e l'humanitas hanno radici antichissime e, insieme, sorprendentemente nuove, che dei suoi versi fanno un canto di assoluta, redentrice bellezza.

    P.S. Anche se con notevole ritardo (Nazario e Pasquale carissimi, ho “marinato” Leucade per troppo tempo…), aggiungo ai tantissimi altri il mio gioioso ‘magnificat’ per la ‘Laurea Apollinaris’ (essa sì, in imperdonabile ritardo!) assegnata all’amico Pasquale. Non considerandola un traguardo, ma solo un nuovo inizio, continuerò tenacemente a consigliare agli addetti ai lavori, parafrasando il celebre detto evangelico: date ai verseggiatori quel che è dei verseggiatori, e a Pasquale Balestriere quel che è del Poeta...

    Umberto Vicaretti

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  7. Ti sei preso una bella responsabilità, carissimo Umberto, con quel tuo P.S., in particolare dal terzo rigo in poi. Forse verranno a prenderti con i forconi, ma tu, come Valeriuccio nostro, "obstinata mente perfer, obdura". Anzi, capatosta marsicano come sei, avresti anche l'ardire di passare bellamente al contrattacco, senza neppure attendere le truppe ausiliarie dei ... Balestrieri con i loro volanti quadrelli.
    A parte gli scherzi, tu hai brillantemente colto (c'era forse da dubitarne?) gli aspetti salienti della mia poesia, illustrandoli da par tuo.
    Non aggiungo altro: sprecherei parole. Il tuo commento parla da solo. Parla alto.
    Grazie, amico carissimo
    Pasquale

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