IL
SALOTTO DEGLI AUTORI
L’intervista
PASQUALE
BALESTRIERE: ” CREDO FERMAMENTE NELLA POESIA COME FONTE DI BELLEZZA E DI
ELEVAZIONE”
Fulvio Castellani (UD)
Pubblicata sul n. 49 de "Il salotto degli autori",
rivista della casa editrice Carta e Penna
La
presenza di Pasquale Balestriere, nel contesto della letteratura contemporanea
di casa nostra, vive soprattutto per il linguaggio esemplarmente lucido e ricco
di immagini che si concretizza nella poesia, una poesia che si caratterizza
(come è stato a più riprese rilevato) “per un’acuta e approfondita visione
dell’uomo e della natura, nonché per l’intrinseco rapporto tra questi due
mondi.” È evidente, pertanto, che il suo
percorso scritturale ha catturato a sé
l’attenzione dei critici più qualificati e di addetti ai lavori di prim’ordine.
Citiamo, tra gli altri, Luigi Pumpo (“Le immagini sono sempre ricche di una
coralità meravigliosa”), Walter Ciapetti (“...una voce destinata ad affermarsi
per la robustezza del mito lirico”), Donato Valli, Umberto Vicaretti, Alberto
Mario Moriconi, Giorgio Barberi Squarotti,
Elio Andriuoli, Lorenza Rocco, Luciano Nanni, Antonio Spagnuolo, Anna Di
Meglio (“Balestriere è, nella sua modernità, un classico: umilmente genuino ed
eminentemente magistrale è il suo approccio al mondo, naturalità e sacralità
del gesto quotidiano, del lavoro e della soddisfazione che nasce da esso”),
Raffaele Urraro (“... una versificazione
attenta e sorvegliata”), Ciro Cenatiempo, Paolo Ruffilli, Nazario Pardini
... In una forte poesia,
in cui parla del padre “Ulisse contadino / d’America e d’Algeria”, Pasquale
Balestriere evidenzia in maniera brillante e nostalgica le sue origini: “
Appartengo alla nazione contadina / che riposa all’abbeveratoio / dove la mucca
trangugia / follie di stelle e scherzi della luna.” In questi versi c’è l’uomo
e il poeta, il tempo e la natura, il lavoro e il sogno; un po’ la sintesi, se
così si può dire, del suo trasferire in versi, caldi e modernamente classici,il
suo io, la sua forza interiore, il suo saper guardare al di là del recinto allo
scopo di spalancare lo sguardo e il pensiero in direzione di una realtà da
conquistare e da trasmettere al meglio
avendo sempre presente la prima memoria (“... si viveva nell’erba / furente,
nell’urlo del sole / dove la biscia / tramava risse d’inganni all’arguta / lucertola.”).
Fin qui ha pubblicato sei sillogi poetiche ( E il dolore con noi; Effemeridi pitecusane; Prove
d’amore e di poesia; Del padre, del
vino; Quando passaggi di comete; Il
sogno della luce), e ha ottenuto numerosi primi premi (Città di Quarrata, Città di
Rufina, Poseidonia-Paestum, Alessandro Contini Bonacossi, Il Portone,
Napoli Cultural Classic, Milano-Streghetta ...). Si occupa anche di narrativa e saggistica,di
studi su usi, costumi e dialetto dell’isola d’Ischia, nonché collabora a
testate culturali con recensioni e articoli di varia cultura.
Domanda – La sua, ha avuto modo di rimarcare Paolo
Ruffilli, è “una poesia che è volta ad
opporre il segno della parola alla sorda indifferenza della natura”. Ne è veramente convinto e perché crede nel
potere magico della parola poetica? Risposta
- Il mondo classico ha avuto un ruolo predominante nel mio processo formativo,
anzi lo ha decisamente orientato: degli autori antichi - impareggiabili maestri
- ho assorbito l’humanitas leggendo
pagine grandi e belle; e ne ho
coltivato i valori e i miti, compreso quello della poesia che è innanzitutto verbum/lògos, quasi parola divina, la
quale evoca, e svela - al poeta in primo luogo, poi agli
altri- una realtà normalmente sconosciuta.
E credo fermamente nella poesia perché credo nell’arte come forma di riscatto
e di elevazione, come fonte di bellezza, di salvezza, di sopravvivenza.
D.
– Lei dà molto spazio nella sua poesia
alle figure della madre ( “Sei tu la pace, madre, eterno porto / dove si
spengono tumulti ed ire / e tace la guerra”) e al padre (“ C’è un tempo / per
la vita, dicesti: / il resto è niente. Tienilo / da conto”). Ma quale è
l’immagine più bella che ha dei suoi genitori?
R. - Quella della
quotidianità, dei piccoli gesti apparentemente senza storia, delle parole che
hanno messo radici nel cuore. Famiglia contadina, la mia. Indissolubilmente
legata alla terra, ai suoi tempi e ritmi, ai valori della fatica e della
religione, ma soprattutto alla speranza. Che riposava negli occhi sereni e
celesti della devota madre e in quelli mobili e
verdi del padre che si accordava alla natura.
D.- Cosa
significa per lei il mare, l’orizzonte azzurro che si allunga in direzione del
nulla, dell’immenso?
R. - Per uno che,
come me, abita su un’isola, e per di più piccola, il mare è innanzitutto
qualcosa che, a seconda delle occasioni, divide e unisce, facilita e impedisce,
attira e intimidisce. Una presenza “avvolgente” con cui fare i conti; ma pure
invito all’avventura, al sogno, alla scoperta e, in ultima analisi, alla vita.
Ma è ancora, nella sua vastità, metafora e insieme sintesi di un universo
sconosciuto e sterminato, di fronte al quale l’uomo avverte in modo
ancora più acuto e dolente il senso della sua minimità, del precario e incerto
passaggio sulla terra.
D.
– Nel suo diario di uomo e di poeta
trovano una posizione di rilievo i ricordi, la bellezza e l’asprezza della
natura, il rapporto con gli altri, l’amore. Ma qual è il ricordo che si
affaccia con maggiore frequenza e freschezza sul palcoscenico della quotidianità? R.
- I ricordi legati al distacco, alla sofferenza, alla morte. Chissà perché i
momenti di gioia perdono nel tempo gran
parte della loro intensità,mentre non accade la stessa cosa per il dolore (o
almeno non così rapidamente come per la gioia). I distacchi sono stati, nella
mia vita, un vero angoscioso stillicidio. A dieci anni fui mandato in seminario
e tornavo in famiglia solo per le vacanze estive, soffrendo molto la lontananza
dai miei. Ancora più dolorosa, anche se in
apparenza normale, la partenza per il servizio militare, a causa dell’età
avanzata dei miei genitori, in particolare di mio padre, in difficoltà nel
governo delle nostre proprietà agricole e per le sue condizioni di salute. Poi
i distacchi veri e definitivi. Finali. Ma ricordo anche con un sorriso le prime
prove di poesia, verso i quattordici anni: tentativi rudimentali e scolastici,
e gare di scrittura con i compagni di studio, che però davano soddisfazione. E le sere d’estate, noi
e i vicini, a chiacchierare tutti insieme sul terrazzo, alla luce delle stelle
e delle lucciole.
D.
-
È nel giusto Nazario Pardini (un attento e scrupoloso lettore critico
della sua poesia) quando dice: “È una presenza-assenza ad alimentare la poesia
di Balestriere, e la sua poesia è tanto
liricamente vitale da sconfiggere l’assenza”?
I motivi.
R. - L’amico Nazario Pardini, oltre ad essere un
bravo poeta e critico letterario, conosce molto bene la mia poesia, ne è, come
lei giustamente dice, “un attento e scrupoloso lettore”, e perciò la sua
affermazione coglie nel segno.
Felicemente. In effetti in me (e
certamente anche in altri) la poesia
nasce spesso dall’assenza, talvolta da un senso di privazione, un po’ come accadde a Leopardi quando scrisse L’infinito. Così mi capita di risarcire
l’assenza con l’evocazione o la rievocazione, in ogni caso con la creazione
poetica dove i due elementi ( assenza/presenza)- si compongono in sintesi pacificante che, sia pure
provvisoriamente, colma un vuoto; sicché la poesia in qualche modo assume anche
una funzione lenitiva e terapeutica.
D.
- Tra
gli ormai numerosi e importanti premi che fin qui ha ottenuto, quale considera
il più significativo e che le ha dato maggiore notorietà? Ne parli.
R. - Premetto
che, essendo sostanzialmente un isolano/isolato, poeta di frontiera, fuori
quindi da ogni schema, scuola o conventicola letteraria, ogni premio da me
ottenuto è stato pienamente guadagnato. E ciò è per me motivo di grande
soddisfazione. Se poi si considera che, per il mio carattere schietto, deciso e
forse un po’ ruvido, ma onesto, mi sono procurate varie inimicizie, sparse per
l’Italia, allora si capisce bene che è
già un miracolo aver ottenuto un discreto numero di riconoscimenti in premi
letterari. I quali fanno girare i nomi dei poeti in ambiti per la verità molto
ristretti e per lo più specialistici e settoriali. E pur se un gran numero di
premi letterari lascia molto a desiderare, per incompetenza o corruzione delle
commissioni giudicatrici o per difetti organizzativi, ci sono diversi concorsi
degni di tal nome. Bisogna saperli individuare, ma esistono. Ne cito uno per tutti:
il premio “Città di Quarrata”, che ha una giuria seria e competente e
un’organizzazione di buon livello. In ogni caso tali appuntamenti sono
un’ottima occasione d’incontro con scrittori, che altrimenti non si
conoscerebbero mai, ed anche con altre persone di grande cultura.
D.
- Perché,
a suo avviso, in Italia ci sono tanti poeti, più o meno validi, e pochi lettori
di poesia al punto che (e non è assurdo pensarlo) sembra quasi che ognuno
scriva esclusivamente per se stesso? R.
- In realtà la divaricazione tra autore e pubblico, esistente già
nell’Ottocento, si radicalizza ancora di più nel Novecento, sia perché gli
scrittori, e i poeti in particolare, generalmente si chiudono nei limiti di un
linguaggio quasi incomprensibile a livello popolare (si pensi agli ermetici e a
certi sperimentalismi), sia perché lo stesso pubblico si è, in qualche modo e
per una serie di motivi, rassegnato ad
una fruizione linguistica di pura quotidianità. A ciò si aggiunga un’evoluzione
della vita in senso consumistico e materialistico. E il gioco è fatto,anche per
il collaterale cedimento di istituzioni come scuola e famiglia. Per non dire
d’altro. Conseguenza: in Italia si legge
al massimo il quotidiano preferito o un po’ di prosa. Per la poesia non c’è
spazio: mancano cuore e mente adatti a recepirla. Per giunta oggi proliferano
tanti poetastri...
D.
- Ha
mai pensato di scrivere un romanzo? E cosa sta bollendo nel suo shaker
creativo? R. - Sono nato per la poesia. Tuttavia, sì, ho
pensato molte volte di scrivere qualcosa in prosa. Forse non un romanzo, la cui
stesura è stata sempre da me reputata
molto impegnativa. Ho scritto così alcuni racconti. In più mi dedico
abbastanza alla saggistica e alla critica letteraria. Collaboro con un
quotidiano, con riviste e blog letterari. E su questi binari, almeno per il
momento, intendo continuare a muovermi. Per il resto - come si dice?- il futuro riposa sulle ginocchia di Zeus.
Un'intervista a tutto tondo, a 360 gradi, dove Balestriere evidenzia le sue notevoli doti di saggista. Uno scritto prezioso da cui fuoriesce tutta la complessa personalità dello scrittore ischitano. Tutta la sua piena maturità poetica nel concepire questa simbiotica fusione fra ispirazione, natura, linguaggio, e assenza-presenza di empatie che non sfugge mai alla morsa delle sue intuizioni e delle sue esplosioni emotive. Tradurre il tutto in guizzi e impennate di rara fattura per Balestriere è pane di ogni giorno, considerando il pozzo verbale di cui si nutre la sua poesia. Ma è quando afferma “… E credo fermamente nella poesia perché credo nell’arte come forma di riscatto e di elevazione, come fonte di bellezza, di salvezza, di sopravvivenza.” che Pasquale mi trova pienamente consenziente. E ancora di più quando si distacca dal concetto di correlativo oggettivo di stampo eliotiano, facendo notare l’importanza delle vicissitudini personali nell’atto creativo.
RispondiEliminaComplimenti sinceri, carissimo Pasquale
Grazie, carissimo Nazario. La tua parola è sempre puntuale e rivelatrice, il tuo senso critico perennemente allertato, la tua amicizia preziosa.
RispondiEliminaPasquale
Se qualcuno desidera e vuole trovare qualcosa di veramente genuino, di sapido, di autenticamente umano, legga più di una volta questa intervista, che nasce da un poeta autentico. Io vi trovo non solo il poeta, ma l'uomo vero, l'amico, lo studioso attento che riesce sempre a penetrare nel fondo dell'animo umano. Vi trovo la passione e l'amore per la bellezza e la semplicità, che è fonte di autentica lettura del mondo e delle cose semplici, ma vere, in cui ognuno può ritrovarsi ogni volta che si accosta all'opera di Balestriere. Complimenti, Pasquale, non ti esprimo la lode, ma il giusto riconoscimento alla persona ed al poeta, con tutta la stima che meriti.
RispondiEliminaUmberto Cerio
Le parole degli amici fanno il cuore felice. Dopo Nazario, anche Umberto traccia un commento nel quale duellano alla grande il fine letterato e l'amico affettuoso. L'esito è incerto, perché non si sa se vince l'amico o il letterato. Ma, comunque vada, tu, Pasquale, cosa vuoi di più?
EliminaPasquale Balestriere
Ricordiamo l'indovinello veronese dell'VIII-IX secolo? E' un noto incunabolo della lingua italiana, dove si paragona l'aratura alla scrittura, evidenziando affinità di cui l'amico Pasquale è ben consapevole. Come consapevole ne è il sangue più arcaico e profondo della classicità, legato agli elementi e tutt'altro che teso ad "opporre il segno della parola alla sorda indifferenza della natura". La sacralità della terra e della madre; la venerazione per il sangue contadino; l'amore per la vita, che è dolore e gioia (assenza e presenza, come acutamente osserva Pardini), sono valori ben diversi dai sofismi tragici con cui un'altra anima dell'umanesimo (che non appartiene a Balestriere) si è voluta distanziare ed affrancare, nel corso dei secoli, dalla natura. Complimenti vivissimi a Pasquale ed al suo acuto intervistatore.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Devo dire che sono molto contento dei miei amici: per la cultura, la competenza, l'intelligenza che li contraddistingue. Oltre che per l'affetto, ricambiato, di cui mi gratificano. Prendiamo Franco Campegiani: non si smentisce, non delude; nei suoi commenti c'è sempre qualche contributo che amplia il contesto, qualche riflessione che, per la sua acutezza, è foriera di ulteriori sviluppi.
RispondiEliminaGrazie, Franco. La tua penna arricchisce.
Pasquale
L’intervista di Fulvio Castellani a Pasquale Balestriere offre un ventaglio di notevolissimi spunti. Illuminanti, come sempre, le testimonianze critiche di Nazario Pardini, Umberto Cerio, Franco Campegiani. A me qui piace brevemente riprendere il passaggio introduttivo, con i versi di Balestriere a ricordare suo padre, quell’ “Ulisse contadino / d’America e d’Algeria”, versi con cui il poeta rivendica anche le sue origini: “Appartengo alla nazione contadina / che riposa all’abbeveratoio / dove la mucca trangugia / follie di stelle e scherzi della luna.”, frammenti di serenante panismo, lo snodo lirico finale a regalare squarci d'indicibile malia. Qui è la terra (una terra di spighe e viti e sole, di Angelus e di silenziose, interminabili attese) a segnare il tratto distintivo, forse il più peculiare, del mondo poetico di Balestriere. E con la terra e la natura, superbamente egli canta sudore e fatica, il volgere delle stagioni e il miracolo delle messi, del pane e del vino, elevando a religione quel rito quotidiano dei campi che prodigiosamente fonde e confonde uomo e natura, dubbio e fede, disperazione e speranza, tristezza e gioia, albe e tramonti, finendo per santificare, insieme a loro, persino il dolore.
RispondiEliminaUna poesia, quella di Balestriere, che si nutre del Mito e dei Lari, della terra e del mare, di classicità e modernità, e dove la pietas e l'humanitas hanno radici antichissime e, insieme, sorprendentemente nuove, che dei suoi versi fanno un canto di assoluta, redentrice bellezza.
P.S. Anche se con notevole ritardo (Nazario e Pasquale carissimi, ho “marinato” Leucade per troppo tempo…), aggiungo ai tantissimi altri il mio gioioso ‘magnificat’ per la ‘Laurea Apollinaris’ (essa sì, in imperdonabile ritardo!) assegnata all’amico Pasquale. Non considerandola un traguardo, ma solo un nuovo inizio, continuerò tenacemente a consigliare agli addetti ai lavori, parafrasando il celebre detto evangelico: date ai verseggiatori quel che è dei verseggiatori, e a Pasquale Balestriere quel che è del Poeta...
Umberto Vicaretti
Ti sei preso una bella responsabilità, carissimo Umberto, con quel tuo P.S., in particolare dal terzo rigo in poi. Forse verranno a prenderti con i forconi, ma tu, come Valeriuccio nostro, "obstinata mente perfer, obdura". Anzi, capatosta marsicano come sei, avresti anche l'ardire di passare bellamente al contrattacco, senza neppure attendere le truppe ausiliarie dei ... Balestrieri con i loro volanti quadrelli.
RispondiEliminaA parte gli scherzi, tu hai brillantemente colto (c'era forse da dubitarne?) gli aspetti salienti della mia poesia, illustrandoli da par tuo.
Non aggiungo altro: sprecherei parole. Il tuo commento parla da solo. Parla alto.
Grazie, amico carissimo
Pasquale