POMEZIA-NOTIZIE. MARZO 2015 |
(a
cura di Liliana Porro Andriuoli)
1 Hai
alle spalle un lungo iter poetico, che ha dato luogo a più di venti libri di
poesia; qual è la linea che ti ha sorretto e che hai seguita negli anni?
Posso
parlare di evoluzione della mia linea, ma non certo di stravolgimento. Di
sicuro, misurando la cifra poetica dei primi volumi - Foglie di campo. Aghi di pino. Scaglie di mare, L’ultimo respiro dei
gerani, Il fatto di esistere, Elegia per Lidia, Gli spazi ristretti del
soggiorno, La cenere calda dei falò, Suoni di luci ed ombre,… - con le
ultime produzioni, penso che da un verso libero, pur tendente sempre alla
musicalità (uno dei principi cardini della mia poetica), mi sia sempre più
orientato verso una struttura classica, in cui il mito, fortemente umanizzato
ed attualizzato, ha sempre giocato un ruolo determinante nel processo
ispirativo che mi riguarda. Il mito come simbologia degli intrighi delle
vicissitudini umane. Mito come ipostasi della vita. Anche se la ricerca di un
equilibrio classico fra figurazioni significanti e abbrivi emotivi è sempre stata nelle mie corde; magari su un
tessuto più narratologico con impiego di endecasillabi spezzati a centro verso
e inanellati da ripetuti enjambements a evitare il rischio di una lettura cantilenante
a cui si va incontro con quel metro. I contenuti sono sempre stati più o meno
gli stessi: meditazione, memoriale, panismo simbolico, input
emotivo-esistenziali sui perché dell’essere e dell’esistere, coscienza della
caducità del luogo e del tempo, immaginazione,
azzardi iperbolici oltre il limen in cui siamo racchiusi, eros e
thanatos, inquietudine e saudade, realismo lirico. Sì, il rapporto con la morte
mi ha sempre coinvolto in maniera misterica e inquietante. Ma su tutto una
grande simbiotica fusione con la natura, quella dei miei posti, quella che
contiene tutte le mie primavere, vista come decantazione e concretizzazione dei
miei stati d’animo. Sentimento, però, traslato in oggettivanti motivazioni.
Penso che quest’ultimo sia il filo conduttore che determina, in qualche
maniera, l’organicità delle mie opere con una evidente icastica presenza. Una
cosa è sicura. Ho sempre creduto nel sentimento e in una poesia nata da forti
subbugli emotivi, controllati però da argini ben solidi di ricerca verbale e
stilistica. Non credo ad una poesia intoccabile, ma in un lavoro continuo di
limatura della parola e dei suoi nessi.
E che alla base del canto ci siano proprio le emozioni, senza ordine, libere, sbrigliate così come
nascono, senza bisogno né di limiti né di restrizioni. Semmai è la ragione agli
antipodi della poesia. È essa che toglie spazio all’immaginazione e che cerca
di limitare e frenare le cospirazioni di un cuore e di un’anima vòlti oltre gli spazi delle ristrettezze
umane.
2 Fai parte di numerose giurie di premi
letterari qualificati: cosa puoi dirci di questa tua esperienza ? La ritieni
ancora oggi utile per le sorti della poesia?
Ci sono
valanghe di premi, ed ogni giorno ne nascono di nuovi. Quello che hanno di
positivo è che invogliano i poeti a scrivere, a misurarsi, a lavorare, a
studiare, anche la metrica, a leggere, e a conoscere per un continuo viaggio
odisseico. Bisogna però che alla base del tutto ci sia il rispetto per questi scrittori;
lo chiedono con la loro partecipazione; i componenti di giurie devono mettersi
nel capo di leggere seriamente i lavori, di valutarne con competenza il valore
semantico-allusivo e compositivo. In questo sta il rispetto. Sotto questo punto
di vista è una esperienza utile anche per gli stessi giurati, sia umana che
socio-culturale. Hanno la possibilità di venire a contatto con le più svariate
forme di scrittura e leggendo le molteplici espressioni, dalle più semplici
alle più complesse, ne ricevono importanti contaminazioni, motivo di ulteriori
riflessioni e approfondimenti stilistici e innovativi. La poesia non può
restare isolata, chiusa in un mondo a parte. I premi dànno luogo ad incontri, a
confronti, e credo che tutto ciò significhi crescita, soprattutto parènesi ad
approfondire e studiare. Solo conoscendo le regole si è in grado di
destrutturarle. Anche se la scintilla iniziale del poièin è un misterioso
dilemma. La dobbiamo avere innata in noi, forse; poi, certamente, la si deve
affinare con tanto lavoro.
3 La tua
è una poesia di stampo classico, dai ritmi ampi e distesi: quale importanza
attribuisci al rapporto col passato e in particolare con quello greco-romano?
Senza
passato non c’è futuro. Non si deve escludere niente, ma bisogna dare continuità
e consistenza al nostro bagaglio culturale. Dacché sarà quel bagaglio con il
suo peso etimo-fonico e memonico a costituire la plurivocità del canto, il
nerbo sostanziale del dire artistico. La Poesia con la “P” maiuscola non ha
tempo, un canto di Saffo è tanto Bello quanto un idillio del Leopardi, o una
poesia di Montale. E credo che la lirica dei poeti prepericlei sia alla base di
tutta la cultura estetica occidentale. Dico di un Alceo, di un Anacreonte, di
un Alcmane, di uno Stesìcoro, di un Ibico, Saffo… Senza dimenticare, naturalmente, la grande
schiera di poeti, oratori, e storici della letteratura greco-latina, come
Eschilo, Sofocle, Euripide, Esiodo, Catullo, Cicerone,Virgilio, Tibullo, Orazio.
Apprezzarne le odi, le elegie, i poemi, le orazioni, i drammi o altro; leggerli
e rileggerli, meditare e riflettere sulla forma e i contenuti, significa
vedervi quella modernità che, poi, si ripete nel tempo: si tratta sempre del
rapporto dell’uomo con la morte, con l’amore, con la vita. Del rapporto
dell’uomo con se stesso e con il mondo che lo circonda. Cambiano i mulini ma i
venti sono sempre gli stessi. Dum loquimur fugerit invida aetas: l’uomo ha
sempre sofferto della sua posizione scomoda di fronte all’infinito e proprio
nel tentativo di elevarsi alle vette che più si avvicinano all’inarrivabile sta
il nocciolo della vera poesia. Si sente se in un canto c’è la misura e la
cognizione della parola; si percepisce da subito se questa assolve alla
funzione di abbracciare le motivazioni dell’anima; quel bagaglio creativo che
ti prende per mano fino ad affiancare il tuo sentire. La missione della parola
è difficile e cosa dura. Ci possono essere grandi emozioni, ma se il dizionario
è scalzo, se lo studio deficitario, si il n’y a pas de connaissance, per dirla
alla francese, viene meno quello che è il nerbo del “poema”: quell’equilibrio desanctisiano fra dire e
sentire, indispensabile paradigma di
ogni attività estetica.
4 La
musica del verso è propria della tua poesia: quale rapporto c’è a tuo parere
fra poesia e musica che sono arti sorelle?
I
principi basilari di una buona resa poetica sono la musicalità, il sentimento,
l’immaginazione, il memoriale, e il panismo simbolico, che dà corpo agli input
emotivi. Non c’è poesia in un verso che stride all’orecchio e all’anima. La
musica è nata con l’uomo che, fin dagli albori, ha mosso i primi passi ad un
ritmo in lui innato. L’ha fatto inventando strumenti primordiali, battendo ossa
di animali su pietre o legni essiccati; è stata quella sonorità, quell’armonia
di cui ebbe ed avrà sempre bisogno a farlo umano. Chi tradisce questa sinfonia
tradisce ogni forma di attività artistica. Il verso non si può permettere di
andare a capo a piacimento. O di copiare la realtà così com’è. La creatività
sta tutta nella rivisitazione che la traduce in immagine.
5 Come
giudichi la “rivoluzione novecentesca” nel campo della poesia? Cosa pensi che
essa ci abbia dato di valido?
Nel contesto antecedente la Grande Guerra l’arte in generale
viene vissuta come elemento di svago e gli artisti perdono il ruolo che avevano
nel secolo precedente. A questa svalutazione reagiscono Baudelaire e les
poètes maudits (Verlaine,
Rimbaud, Mallarmé), ma anche quelli, tipo D’Annunzio, che fanno della vita
un’opera d’arte. Situazione confermata anche negli scritti di autori europei
come O. Wilde.
Il poeta così da vate si fa interprete di una natura sempre più
vicina. Di una natura che gli serve per scavare nella psiche fino ad approdare
ad una inquietudine esistenziale che si attorciglia su se stessa allontanandolo
dalla realtà. E nasce così quel malum vitae e quello spleen che saranno
gli elementi portanti di una letteratura poetica che reagisce ad un mondo
meccanizzato e spersonalizzato, naufragando spesso in solitudine esistenziale.
Secondo Gozzano, la poesia può solo parlare delle piccole cose, essendo
scomparsi i valori di una società non più presente.
È a seguito delle grandi dittature che il poeta sente di nuovo
la necessità di impadronirsi di una funzione sociale: nascono così le numerose
riviste fiorentine che segneranno, coi confronti dei diversi intellettuali, le
inquietudini del tempo. È il momento delle rivoluzioni linguistiche e contenutistiche
con le “Avanguardie” che nella loro diversità si caratterizzano per la contrapposizione al passato. Come
l’Espressionismo che disegna una società sperduta nelle città caos,
industrializzate. Il Futurismo che, al contrario, esalta la velocità e il
progresso a scapito di biblioteche e musei. E lo fa con parole in confusione
senza rispetto alcuno della morfosintassi. Il Surrealismo, di grande influenza
freudiana, secondo cui la poesia deve
esprimere l’inconscio al di fuori dei tempi, mescolando presente passato e
futuro. Ma è l’Ermetismo che deve essere veduto, nella sua totalità, come uno
dei momenti più interessanti e innovativi del panorama letterario novecentesco:
Ungaretti, Quasimodo, Gatto, Sinisgalli, Cardarelli, Luzi e il primo Montale. Fino
ad una esasperazione fuorviante, ad un parossistico intendimento di stesure
liriche come escrescenza della corrente. Questi in sintesi i punti cardinali: rinnovare l’endecasillabo,
fare della esperienza bellica un “Allegria”, ricercare l’essenzialità della
parola. Il suo verseggiare è stato paragonato al gorgoglio affannato di un
liquido che esce da una fiasca rovesciata: una poesia intricata e poco
comprensibile, per questo trae il nome da Ermeste Trismegisto, personaggio
leggendario dell’Ellade, le cui opere erano famose per la loro densità
concettuale.
È Saba che fa dell’eros e del quotidiano la musicalità di un
Canzoniere.
Altro apporto innovativo di cui tener conto è costituito dalla
concezione eliotiana de Il correlativo
oggettivo, che avrà una certa influenza sulla poetica dei postmoderni. Vale
a dire la spersonalizzazione del messaggio; non far sentire la presenza del
soggetto nella confessione sentimentale; distacco dal sentire, con allegorie e
metafore di un diverso campo semantico. Influenza Montale degli Ossi di seppia.
Cercando di avvicinarsi il più possibile a noi scopriamo che il
post-moderno incarna la crisi culturale della globalizzazione. La rivista
Officina di Pasolini si oppone al Novecentismo e propone nuovi linguismi
sperimentali. Ma il fatto sta che la poesia
non viene letta e forse lo dobbiamo, anche, ai linguaggi confusi e
complicati di cui ci siamo abbondantemente serviti con azzardi immotivati che
hanno oscurato il più delle volte il Bello, il canto inteso come puro lirismo,
quello che con la sua musicalità riporta a
memoria romanze tipo il coro muto della Butterfly di Puccini. Ed io
credo che la poesia non debba ricorrere all’abuso di campi figurati che ne
complicano la comprensione; ma debba avere come fine quello di trasmettere con
immediatezza il messaggio; e che lo debba fare con l’intenzione di rivolgersi
ad una platea varia e articolata, che chiede di capire. Insomma il novecento è
stato un secolo di grandi tragedie che
hanno costituito un immenso e doloroso patrimonio per la poesia. Le
grandi avventure belliche, le lotte sociali, i terrorismi: materiale importante
per la narrativa cinematografica del neorealismo… Ma la vera rivoluzione consiste proprio nel
trasferimento dell’anima poetica dal malum vitae e dallo spleen ad una finestra aperta sul mondo; anche la forma
poetica ha cercato di svincolarsi da schemi fissi per seguire con la massima
libertà semantica queste ipotetiche visioni di realtà migliori. Certamente l’ha
fatto a volte con interventi parossistici in cui la parola ha preso il
sopravvento sui contenuti e tutto si è trasformato in una sonorità vuota e
sgangherata, o intricata, tipo quella
della voce di un Sanguineti del “Gruppo 63”, per fare un nome. Ma in generale
la rivoluzione del novecento è quella di aver capito che la vera poesia è più
legata alla tradizione che alle finalità che aveva sperimentate. Il poeta, gira
gira, ha ripescato, dopo sperdimenti di carattere parainnovativo, la normalità,
il vero valore del canto; quell’equilibrio di cui abbiamo parlato, alla base del quale c’è tutta l’urgenza schietta e
sincera di un aveu con cui ogni autore sente il bisogno di liberare la sua
intima vicissitudine. Per cui non vedo grandi rivoluzioni nel secolo in
oggetto, sennonché quella di ricredersi.
6 Qual è
secondo te il rapporto tra arte e sentimento, tra ragione e emozione?
L’arte
vive di sentimento, di impulsi emotivi, di voli oltre gli orizzonti che ci
limitano. È umano, fortemente umano ambire all’eccelso, e non lo si può fare
certamente con la ragione, dato che la razionalità frena questi azzardi
emozionali. Si può dire che la ragione ha il potere di aiutare a far confluire
questa interiorità entro canali dagli argini ben robusti a che non cada in
sentimentalismo eccessivo, che creerebbe squilibrio nella produzione artistica.
7 Qual
valore ha per te il “correlativo oggettivo” di stampo eliotiano? Ritieni che
esso trovi posto nella tua poesia?
Credo di
avere già risposto a sufficienza a questa domanda. Comunque non sono del tutto
d’accordo con la teoria estetica eliotiana. Le figure retoriche servono per
creare certe punte creative, certi slanci poetici, certi azzardi iperbolici, ma
non devono arrivare alla totale spersonalizzazione dell’autore. Condanno questo
trasferimento dell’ego in un oggettivismo neutro. A volte sentiamo il bisogno
di scrivere in prima persona e di farlo quando, nei momenti di intenso lirismo,
ci sentiamo presi in modo strettamente personale e autobiografico. Il tutto,
poi, sta nell’essere semplici. Nel raggiungere il maggior grado possibile di
semplicità nell’esporre la complessità del nostro sentire.
8 Quali
sono i poeti italiani che preferisci? E quali gli stranieri?
Naturalmente Dante e Leopardi. Quindi Umberto Saba,
Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Leonardo Sinisgalli, Guido Gozzano. Fra gli
stranieri Baudelaire, i poeti maledetti, John Keats, Philip Larkin, Thomas
Gray, Pablo Neruda, Ezra Pound, Paul Valéry, André Gide.
9 Dove va
secondo te la poesia?
Per quanto mi riguarda non esiterei a sottoscrivere la poetica
di un manifesto che rifiuti, con tutto il suo potere critico, il materialismo,
il consumismo, la globalizzazione, l’industrializzazione, il condizionamento ad
un comportamento omologante, il telecomandismo. Tutto a favore di un tipo di convivenza drogata di
schopping e infarcita di disvalori a cui si contrappone un postmodernismo con una visione completamente opposta a quella
conservatrice. Opposta ad un mondo in cui l’industrializzazione e l’omologazione
al consumismo hanno creato una società piatta, condizionata e senza spinte
creative che affonda le radici nell’Illuminismo; in tutta la cultura
ottocentesca del pensiero
modernista che riconosce un'importanza suprema a ideali come la razionalità, l'oggettività, il positivismo ed il realismo. Ora ci si interroga sulla veridicità di tali ideali.
D’altro lato non sottoscriverei di
sicuro una poetica che volesse ingabbiare la poesia nella rete di un mero
realismo spersonalizzato e senza anima; nell’oggettivismo più crudo, vòlto solo
ai problemi della questione sociale. Si tratterebbe di una poesia condizionata,
a senso unico. Di una poesia che si fa ancella di una questione, pur giusta,
limitante, restrittiva per la resa creativa. La poesia richiede libertà,
pluralità, totalità; ed ogni argomento è adatto a nutrirla, purché filtrato da
un sentire che possa essere trasferito in arte. E credo che vadano evitati gli
eccessi sia da parte di chi vuole rinnovare che di chi vuole conservare. Però
una cosa è certa: il futuro ha sempre avuto bisogno della storia per
crescere. Come è certo che in gran parte di ogni produzione artistica, quello che conta è
la generosità emotiva del singolo. La
sua energia immaginifico-intellettiva. Si può fare poesia ispirandoci
all’ambiente in cui viviamo; digerendone le contaminazioni; traducendole in
esperienze personali che si possono trasformare agevolmente in
memoriale-serbatoio per il nostro dire. E credo che il verso debba essere
movimentato da quel senso di musicalità baudelairana che ha influenzato gran
parte della poesia contemporanea. Musicalità che chiede e detta; e che non
permette al verso di andare a capo a piacimento. D’altronde col tardomodernismo
c’è il pericolo di cadere in un oggettivismo invasivo che rischia di riprodurre
le stesse limitazioni estetiche della società dei consumi. Senza contare che taluni sostengono che la stessa
postmodernità sia già finita, dacché definiscono l'attuale periodo come post-postmoderno (Alan Kirby, nel saggio The Death of Postmodernism,
and Beyond,
definisce la cultura odierna "pseudo-modernismo").
Quindi
dove andrà questa benedetta antica arte? La poesia è immortale, o perlomeno
durerà quanto l’uomo. I poeti non fanno niente e non servono a niente, ma la
loro poesia, pur non essendo utile, è un mezzo tramite il quale possono
staccarsi da terra e respirare uno sprazzo di cielo. Di quel cielo o di
quell’azzurro di cui sentono un forte
bisogno senza spiegarsi il perché. E prende sempre più corpo quanto più l’uomo
si divide dallo spirito. Perché è lei a richiamarlo alla funzione di anima
eletta.
10 Hai in
cantiere nuovi libri? Quali progetti hai per il futuro?
Ho una
silloge che penso di pubblicare il prossimo anno. Contiene una ventina di
poemetti in endecasillabi; endecasillabi sperimentali, di ampio respiro
narrativo. Il titolo: “Poemetti onirici”.
11 Si
delinea qualcosa di nuovo, a tuo parere, nella poesia del terzo millennio?
Credo che
la poesia seguirà immancabilmente le vicende che sempre ha vissuto: vale a dire
le contrapposizioni fra schieramenti: minimalismo, esistenzialismo, poesia
civile, materialismo naturalistico, misticismo spiritualistico, classicismo,
post-post-modernismo, e chi più ne ha più ne metta. Ma sono convinto, anche,
che, dalla dialettica dei contrapposti,
sortirà come vincitrice della contesa, e me lo auguro, la Poesia.
12 Pensi
che la misura del poemetto andrà affermandosi su quella del frammento, che è
stato tipico della poesia novecentesca?
In verità
penso che il poemetto prenderà sempre più piede. Dacché offre maggiore
possibilità di narrare, di raccontare, di trasferire sul foglio l’anima a tutto
tondo. È meno criptico è più espanso, più disponibile ad accogliere una
narrazione poetica. Visto il bisogno che l’uomo sente sempre più impellente di
raccontarsi. Perlomeno è quello che io sto provando con le mie ultime
esperienze.
L'intervista rivela saggezza, acume, competenza. E contiene una bella dichiarazione di poetica. Ma soprattutto Nazario ha fede nella poesia come forma di riscatto da ogni oppressione e subalternità. Come incanto estetico. Come coltivata speranza nel domani.
RispondiEliminaBravo Pardini!
Pasquale Balestriere
Grazie, amico, delle tue illuminanti parole. Sei un severo e scrupoloso critico, ma sai essere anche un generoso e sensibile Autore di perlustrazioni poetiche e non solo. Grande è il tuo verbo!
EliminaNazario
L'intervista è un compendio dell'idea alta di Poesia di Nazario Pardini, convincimento che ha sempre illuminato il suo esemplare percorso poetico. Complimenti vivissimi.
EliminaUbaldo de Robertis
Grazie, carissimo Ubaldo, per le tue incisive parole.
EliminaNazario
Cosa dire, caro Nazario, del tuo favoloso “racconto” della poesia, dell’arte e della storia, della letteratura, del sentimento, della ragione e della vita stessa?; e delle sue misteriose corrispondenze?
RispondiEliminaMentre con saggezza visionaria idealmente tu ci liberi e ci affranchi, rendendoci più umani, insieme ci arricchisci e ci togli le parole.
Umberto Vicaretti
Proprio! Cosa aggiungere, caro Umberto, alle tue "schioppettate" che arrivano dritte al cuore e che tanto dicono della magica funzione della parola. Di quel verbo di cui tu sei grande maestro e impareggiabile cesellatore.
EliminaNazario
Una grande lectio magistralis questa intervista di Pardini, con grande acume e competenza sa affrontare i temi vari e i correlativi oggettivi di una Letteratura alta, luminosa che passerà alla Storia come saggezza di valori e Concetto di universalità culturale e di vita artistica. Bravo Nazario, complimenti vivissimi, hai raggiunto il livello Superiore dei Grandi, le tue parole arricchiscono ed emozionano, questa funzione maieutica si trova solo nelle alte sfere del sapere e...tu ci racconti la ragione stessa del linguaggio, la virtù impareggiabile del saper incidere le parole a fuoco...
RispondiEliminaNinnj Di Stefano Busà
Grazie, carissima Ninnj, "tu ci racconti la ragione stessa del linguaggio". parole che non possono lasciare indifferenti, considerando, soprattutto, che provengono da un immenso personaggio, da una grandissima scrittrice quale tu sei.
EliminaNazario
A mio modo di leggere, che significa sottolineare, ripromettermi di verificare, studiare, approfondire, quello che abitualmente scrive N. Pardini è estremamente stimolante, ricco di ipotesi e di partecipazione intellettiva. La parte che più mi ha interessata della ricca intervista è stata quella in cui l’Autore esamina la “rivoluzione novecentesca”- le avanguardie- nel campo della poesia.
RispondiEliminaUn’ottima lezione di letteratura contemporanea di cui penso che molti potrebbero usufruire con profitto, non solo con entusiasmo, ma con interesse letterario e curiosità intellettuale.
La galleria degli “ismi” è tratteggiata in modo magistrale…: futurismo, surrealismo, espressionismo, ermetismo, novecentismo …le riviste, il gruppo 63, il post-moderno: un interro corso universitario!.
E il giudizio, limpido e severo: “credo che vadano evitati gli eccessi sia da parte di chi vuole rinnovare che di chi vuole conservare. Però una cosa è certa: il futuro ha sempre avuto bisogno della storia per crescere…” L’attenzione è d’obbligo, poichè il rischio è che … “ tutto si è trasformato in una sonorità vuota e sgangherata, o intricata…. per cui non vedo grandi rivoluzioni nel secolo in oggetto, sennonché quella di ricredersi.…Condanno questo trasferimento dell’ego in un oggettivismo neutro.”
Le forme letterarie ed i relativi generi hanno i loro strani e a volte indecifrabili momenti di gloria e di caduta. La poesia non ha un oggetto all’infuori di se stessa.
M.Grazia Ferraris
"A mio modo di leggere, che significa sottolineare, ripromettermi di verificare, studiare, approfondire, quello che abitualmente scrive N. Pardini è estremamente stimolante, ricco di ipotesi e di partecipazione intellettiva. La parte che più mi ha interessata della ricca intervista è stata quella in cui l’Autore esamina la “rivoluzione novecentesca”- le avanguardie- nel campo della poesia...". Un'analisi metodologica di grande interesse filologico: tappe essenziali da seguire in una riceca storico-letteraria: indagare, verificare, studiare e conoscere. Un climax che Maria grazia conosce bene e che applica ad ogni suo scritto offrendoci sempre risultati di grande interesse umano, scientifico, ed umanistico.
EliminaGrazie delle tue preziose parole carissima Maria Grazia