NAVIGARE
di
Edda Pellegrini Conte
…tutto ricordi
e tutto dimentichi
che in mare aperto navighi
animo fiducioso
è il vento che ti porta…
suadente il pensiero
per quante vie percorri
e quanti volti
unico sempre a rispecchiarti
negli occhi dell’altro.
A Cura di Nazario Pardini
Una fede che, sofferta e forte dentro, mantiene la rotta della navigazione
Trascorre Autunno
tutto di ruggine
avvolto
come animo
logorato
non più appagato.
Inquietudine
ovunque origina ed
effonde.
Ottobre
la sua esistenza
breve…
il grigiore è alle
porte
Iniziare da questi versi incipitari significa andare a fondo, da subito,
nella poetica di Edda Conte: autunno, ruggine, animo logorato, non appagato,
ottobre, il grigiore. Un insieme di riferimenti emblematici che avviano il
percorso di lettura verso una plaquette
fortemente intimistica, e d’intensità epigrammatica.
Navigare il titolo di questa
silloge, i cui versi, di perspicua vis creativa, concretizzano immagini ed
impatti emotivi rimasti a decantare in un animo fecondo di latebre meditative.
Un prodromico inizio che presuppone un fiume, un mare. Presuppone una barca zeppa di tutti i congegni per una lunga
navigazione; presuppone un faro che ferisca la notte: un faro che dallo scoglio
illumini quegli orizzonti tanto vasti quanto misteriosi con una scia luminosa a
indicare quell’approdo che noi umani cerchiamo e simboleggiamo in questo piano
azzurro. Un sentire che sa di libertà, di apertura, di spazio, di speranza, di
un infinito in cui spesso smarriamo i nostri slanci contemplativi. Di una fede
che, sofferta e forte dentro, mantiene la rotta della navigazione. E dire
quanto l’abisso si addica alle cospirazioni intime della Conte è come rimandare
il pensiero ad Alfredo Panzini che definì i poeti “simili al faro del mare”; ad
una luce che rompa la notte e le brume
di un domani verso cui azzardiamo i nostri sguardi. Quali immagini più vicine
alla vita, al suo scorrere, al suo dipanarsi veloce e impietoso; al miraggio
ultimativo, oracolare, speranzoso che ognuno si pone. C’è in questa silloge
tutto il vivere fatto di passato, presente e futuro che si fondono indissolubilmente
per dare forza al logos del poièin. Un’anima tutta volta a incidere la sua
vicissitudine esistenziale in versi concisi, folti, energici, apodittici che
facciano delle loro misure alloritmiche lo specchio di un vissuto e di un
auspicante futuro pregni di essere e di esistere. E ci si affida alle memorie:
“Commiati remoti/ nell’ora vespertina del Paese/ ritorni
d’infanzia/ tra il verde dei monti/ il bianco delle case/ il ponticello sul
Canale/ il nespolo dell’orto…/ Un cartello scolorito/ sul sentiero tra gli
ulivi/ ricorda degli avi/ l’Eterno Riposo”; “Oltre andiamo/ coltivando la
mestizia dei giorni…/ Continua l’aria della sera/ a riportare voci/ che l’animo
trattiene a malincuore”.
Ci si
affida a un alcova che spesso fa da nirvana edenico; da ristoro alle aporie del
presente, alle sottrazioni del giorno. Pur coscienti che nessuna Arte potrà mai
dar vita ad una realtà sfiorita. l’Autrice sente forte questo groviglio di
fatti e figure dentro sé che tanto dice di saudade, di melanconia; di
quietudine ritrovata, anche: “Memorie/
immagini in negativo/ che nessun’arte al mondo/ potrà più inverare./ In questo
cielo autunnale/ resta in attesa la pioggia/ sospesa/dubbiosa/ la città vuota/ come
giardino spoglio”. Immagini
in ansia di tornare al calore di un sole che le scaldi; immagini care e
rigeneranti in un autunno che passa senza risposte alle tante perplessità, e dove
i palpiti ottobrini sanno tanto di redde rationem, di conclusione, con tutto
ciò che essa comporta: inquietudine del vivere, senso del limite, coscienza
della precarietà del nostro esser(ci), ma anche tensione di rinascita, di
epifanico volo oltre il tempo, troppo terreno, vincolante per aperture
visionarie di un futuro che chiede armonie: “Un sentiero di luce/ riflesso di tramonto/ affaccia una speranza/ che
in armonia si scioglie; armonie che percorrono tutta la versificazione dandole
un’euritmica sonorità che rende piacevole la lettura da un lirismo che esplode
in arcature e guizzi”. Tante le iperboliche
allusioni, gli incisivi guizzi di metaforicità, le creazioni di assemblaggi
lessicali o di intensificazioni verbali in contenuti tesi a sottrarre la
bellezza all’ingordigia del tempo. D’altronde è dell’umano cercar di rompere le
nebbie del quotidiano, e il brumoso domani della vita; ed è dell’uomo,
cosciente di una breve esistenza, azzardare sguardi oltre orizzonti troppo
vasti per la nostra miopia; troppo ingenerosi per un’anima combattuta fra ciò
che è e ciò che dovrebbe essere, fra realtà e verità: “Inviteranno le stelle/ questa sera/ dalla volta
celeste ammiccando/ in classica danza./ Messaggio sublime/ nel tempo nuovo/ certezza
di un ordine divino/ eterno e immutabile”.
È qui
il nocciolo della silloge, il focus che sottintende una
melanconia domata da un andamento estensivo e contrattivo avulso da contorsioni
fonetiche; da sterili espedienti sperimentalistici; ma sorretto, al contrario, da esperita
sicurezza del ductus poetico, che tanto si rifà alla migliore tradizione della
nostra letteratura nel controllare, con strutture ben solide, il flusso emotivo
dell’esistenza e di tutto ciò che
comporta il rapporto della vicenda umana col tempo. Dacché la diatriba
pascaliana del fatto di essere umani è quella che ci vuole coi piedi a terra e
con l’animo volto al cielo: “L’homme c’est un milieu entre rien e tout”.
Un’operazione esistenziale che la
poetessa attua mediante una scelta di combinazioni verbali e di nessi tacnico-fonici
che denotano una assidua frequentazione culturale, resa spesso da endecasillabi
liberi alternati a misure più brevi per dare forza empatica al nobile verso.
Ma c’è
tanto sole, tanta luce, tanta speranza spirituale, ontologica in queste composizioni;
tanta natura che abbraccia l’animo di una Poetessa volta all’azzurro e alla
visione di un presente che dia voce al suo sentire: “Di nuovo stupore sorride la vita/ nel fiorire del
pruno/ che si accende di promesse…/ Arabesque di Primavera!/ Sul fiume solatio
dei miei pensieri/ danza una zattera di loto/ naviga lontano/ verso l’
Isola-che-c’è”.
Un’opera
di polisemica valenza, di plurale emotività, densa di ogni input umano, di ogni
abbrivo esistenziale: gioia e dolore, tempo e non tempo, notte e giorno. Una
miscellanea di contrapposizioni che dànno vigore al dipanarsi di pièces in cui
la Nostra, non di rado, va in cerca di
un luogo solitario per riconciliarsi col suo spirito; per rintracciare quella
parte di sé nascosta nella poesia: “Accompagnare il Tempo/ per non sentirsi sola./ Farsi
“casa”/ e chiudere fuori il mondo”.
Finché
un grido leopardiano dà netto segno del vivido amore di Edda Conte per questa
vicissitudine terrena che ci avvolge e sconvolge; che ci esalta e ci annulla,
facendoci meditare su quei perché che assillano l’uomo, l’unico animale
cosciente della morte: “Dorme il
colombo sotto la grondaia/ il capo nascosto sotto l’ala/ silenzioso compagno/ inconsapevole/
testimone dell’ora che passa”.
Nazario
Pardini
DA "NAVIGARE"
DA "NAVIGARE"
Fiume che porta i miei giorni…
acqua che scorre
e non è mai la stessa
incantesimo nel suo silenzio
la fantasia.
Ma già non è più fiume
alla sua foce
e non è mare.
Giunto al varco del mistero
si perde nel suo nulla
Trascorre Autunno
tutto di ruggine avvolto
come animo logorato
non più appagato.
Inquietudine
ovunque origina ed effonde.
Ottobre
la sua esistenza breve…
il grigiore è alle porte
Catturano il pensiero segni labili.
Ogni artificio e tecnica recede.
Voce dall’anima soltanto
questa solitudine
serale
che il giorno rispecchia
in un bisogno solo
di comunicare.
Un sentiero di luce
riflesso di tramonto
affaccia una speranza
che in armonia si scioglie
Ancora fioriscono i gerani
dove il pensiero accarezzava i sogni
e dolci sgorgavano parole
da realtà remote e misteriose.
Oltre quel varco torno
ad ammirare i fiori del plumbago
azzurro come azzurro è il cielo.
Il corso del mio fiume si è interrotto
inaridito l’alveo sassoso
il passo stanco accoglie
e mi ferisce il piede
Memorie
immagini in negativo
che nessun’arte al mondo
potrà più inverare.
In questo cielo autunnale
resta in attesa la pioggia
sospesa/dubbiosa
la città vuota
come giardino spoglio
Brucia il presente l’assenzio del tempo
malevolo ammicca il tramonto
rumori segni indelebili
sulla lavagna dei giorni.
Respira di rancore globale
una società perduta
tra gli smarrimenti dell’io.
Se quello che chiamiamo cuore
non fosse sasso in teca di cristallo
più lieve il passo
segnerebbe i sentieri della vita
Voce di poesia
che in silenzio muori..
Stelle mute
spiano il tuo fiore sciupato
che dette profumo al mondo.
Lo brucia il sole
lo guasta la pioggia
il piede lo calpesta degli uomini
Mani stanche
inaridite
tuffiamo nella pozzanghera dei giorni
sognando sorgenti pure
lontane nel tempo.
Soffoca l’afa estiva ogni valore antico.
Nella notte delle stelle cadenti
soltanto luci a intermittenza
corrono il cielo di Agosto
(...)
Poesia ricca, con impellenti richiami al luogo, al tempo, alle questioni del'amore e della morte; un lungo navigare che tiene bene il timone dell'intonazione metrica e del suo ancoraggio.
RispondiEliminaProf. Bozzi
La poesia di Edda Conte con l'accorto “Navigare” ha trovato il suo approdo designato da quella provvidenziale scia luminosa di cui parla Nazario Pardini. É con fermezza, evitando di imprimere movimenti bruschi al proprio vascello, e senza lasciarsi influenzare dalle enfatiche apparenze, che la Conte riesce a mantenere la rotta seppure perigliosa. “Uscito (a) fuor del pelago a la riva”-cantava Dante. Strumenti di bordo sono la maestria prosodica e linguistica, la consapevolezza di possedere una grande conoscenza di sé e del mondo, la convinzione di saper conciliare esperienze, attese, gioie, amarezze, “ le voci che l'animo trattiene a malincuore” essendo in grado di convertirle poeticamente in immagini e forme ricche di senso. Edda Conte sa di essere Poeta!“Un sentiero di luce/ riflesso di tramonto/”, un testimone lucido e appassionato del suo tempo, anche quello custodito gelosamente nella memoria. Ubaldo de Robertis
RispondiEliminaNell’ultima silloge di Edda Conte , “Navigare”, ritrovo un fluire armonioso della parola , come il fiume che scorre naturalmente verso il mare. I riferimenti al tramonto , all’autunno, al tempo, alla memoria, non sono mai indice di sfiducia e vera tristezza, semmai di una malinconica consapevolezza dell’esistenza (leggera come ape su fiore la memoria di lontane stagioni).
RispondiEliminaEdda celebra la bellezza che si rinnova nella natura , l’energia che sa farsi luce e penetrare l’essenza delle cose. Ringrazio la poetessa per la serenità e la forza dei suoi versi, che curano l’anima e riescono ad illuminare i giorni futuri, anche in questo tempo di crisi.
Nadia Chiaverini