Davvero magnifica questa relazione di Franco
Campegiani (qui in veste soprattutto, ma non solo, di filosofo e saggista), che
mette a fuoco una serie di aspetti e problemi tra i più interessanti
dell’attuale passaggio di civiltà. Un’analisi ad ampio raggio, che affronta
diverse tematiche ed emergenze, tutte ricomprese in quella dimensione che fa,
dell’uomo, non solo il riconoscibile “faber fortunae suae”, ma lo innalza, in
armonica concorrenza con la natura, a (cor)responsabile artefice della civiltà
intera in cui egli interagisce. E’ questo il quadro in cui storicamente si
colloca l’agire umano, da sempre intento a trasformare, modellare, modificare
il mondo. Ma, nota Campegiani, “lo sviluppo abnorme delle tecniche che abbiamo
creato sta oggi rendendo irriconoscibile il mondo […]. Sta qui l’origine di
tutti i nostri mali. In pratica stiamo diventando delle macchine”. Se questo è
l’assunto, e se riferiamo la sua valenza all’ambito estetico ed artistico,
l’involuzione qui denunciata rappresenta, per Campegiani, una tacita
abdicazione che l’uomo compie rispetto alla sua capacità creativa, alla sua
sensibilità, quindi alla sua umanità. Perché fare della “macchina” e della
“Techné” non il mezzo, ma il fine della conoscenza e della ricerca, tutto ciò
rappresenta una resa, l’abbandono, la sconfitta. Proprio in quanto tale,
infatti, la macchina non sa “leggere” in profondità la realtà, non è in grado
di attingerne l’essenza, di penetrare dentro la verità, di individuare la
radice stessa delle cose e degli eventi, ma si limita a fermarsi in superficie,
a copiare, replicare la realtà, senza però trasformarla, plasmarla, elaborarla,
farne cioè materia viva, lievito per ulteriori e feconde rivelazioni. Gli
spunti per approfondire tematiche e problemi sarebbero molteplici, ma
l’esigenza della sintesi ci induce a limitare l’indagine all’arte e alla
poesia, intese queste come fonti primigenie di creatività e di invenzione. A
tale riguardo è chiara la condanna di Campegiani per lo strapotere delegato
alla tecnologia, con il conseguente progressivo stravolgimento del significato
di ’”homo technologicus”, un tempo perfettamente sovrapponibile all’ “homo
faber”, ma oggi sempre più cyber-dipendente e robotico, sempre meno
immaginifico e inventivo. E a suo parere è da contestare radicalmente il
significato attribuito oggi all’espressione “produrre arte”, o poesia, che
secondo l’opinione corrente starebbe a significare, sì, “inventare”, non però
nell’accezione di produzione creativa e ri-generatrice, ma “dando a questo
termine il significato improprio di una finzione, di una costruzione arbitraria
e artificiale della fantasia”. Niente di più fuorviante, sottolinea Campegiani,
“perché ‘inventare’ deriva da ‘invenire’, e invenire significa ‘scoprire’,
‘rinvenire’, ‘trovare’ cose che esistono […] e non sono frutto
dell’immaginazione”. Ma
proseguire nell’excursus di Franco Campegiani ci porterebbe lontano, dal
momento che gli spunti e le implicazioni di carattere filosofico-storico (ma
anche estetico, artistico, linguistico…) sarebbero millanta (le Muse, Platone e
la sua Repubblica, ’doxa’ ed ‘epistème’, ‘mythos’ e mitopoiesi; e ancora
spontaneismo e innatismo, individualismo e universalità, l’ego e il sé, gli
Archetipi, le monadi…). Mi limito qui a sottolineare come egli abbia
soprattutto voluto, con il suo intervento, metterci in guardia dal rischio di
una possibile, per così dire, deriva tecnocentrica della società attuale,
deriva che certo risulterebbe del tutto aberrante e disumanizzante. E che abbia
voluto responsabilizzare tutti, in particolare i poeti e gli artisti in genere,
sollecitandoli ad arginare quel pericolo e fare ritorno a quell’ “universale
che è dentro di noi”, così dando il decisivo contributo alla rinascita di una
società genuinamente antropocentrica, aperta alle più nobili relazioni
interindividuali: “Noi artisti dobbiamo tornare a farci ispirare dalle Muse,
ovvero dagli Archetipi, aprendo nuovi cicli di passioni e stagioni culturali”.
Si tratta di parole, proposte, scenari di grande impatto ideale. Prezioso canovaccio per il manifesto di un nuovo umanesimo.
Umberto Vicaretti
Si tratta di parole, proposte, scenari di grande impatto ideale. Prezioso canovaccio per il manifesto di un nuovo umanesimo.
Umberto Vicaretti
Un poeta e un umanista come Umberto Vicaretti non poteva non cogliere il nucleo centrale del pensiero da me espresso: l'esigenza ossia di un nuovo umanesimo che sappia contrastare gli eccessi e le involuzioni della robotizzazione in atto, facendo perno sullo sviluppo delle facoltà creative. Dove "creatività" significa capacità di cogliere l'"universale che è in noi". Un umanesimo pertanto "autocritico" ed "autocentrico", come io amo dire, che sappia contenere i pericoli di un "antropocentrismo" degenerato, inteso come dispotismo dell'uomo nei confronti del creato. Non posso che essere grato all'amico Umberto per avere messo a fuoco, con parole chiare e fluide, questo mio pensiero.
RispondiEliminaFranco Campegiani