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mercoledì 22 febbraio 2017

M. LUISA DANIELE TOFFANIN: "MATTEO E GIGETTO IL ROSPO DI MARE"

La Natura, i suoi reconditi misteri, i suoi trionfi cromatici, le sue figure simboliche, i tramonti, i mari, gli autunni, le albe, hanno sempre influenzato la scrittura della Toffanin. E’ in essa che la scrittrice ha voluto sempre concretizzare tutto il suo pathos, tutta la ricchezza del suo essere, tutto il magma del suo esistere; ed in questo racconto, dove un colloquio serrato tra un adulto (la scrittrice) e  un fanciullo vivacizza la fluidità ritmica e la ricchezza verbale del dire semplice, si snoda tutta la filosofia panica, tutto l’amore per un naturismo che le permette   di raggiungere punte di generoso lirismo ontologico ed anche didattico sia in prosa che in poesia. «Hai ragione, ma sono certa che non dimenticherai mai questa avventura». «Eh sì» conferma pensieroso «anche perché mi ha aiutato a comprendere che il voler bene ad un animale, in realtà, è volere soprattutto il suo bene. E poi so che è tanto grande il mio amore per la natura che sicuramente farò altri incontri in questi giorni al mare».

Nazario Pardini



Maria Luisa Daniele Toffanin Matteo e Gigetto il rospo di mare Illustrazioni di Milvia Bellinello Romano Valentina Editrice 2



Un mattino di sole, in pieno luglio, al Bagno Perla di Rosapineta, il mare brulicava di bambini impegnati in giochi, tuffi di grande refrigerio nella calura del giorno. Molti sul bagnasciuga costruivano castelli di sabbia accarezzati dalla brezza marina. Ma uno dei tanti, un biondino, usciva dall’acqua con un’aria stupita e insieme trionfante, tenendo stretto tra le mani qualcosa di misterioso.  «Sai» mi apostrofa d’improvviso «che cosa ho in mano?». «Un granchio» gli rispondo di getto fissando i suoi occhi color cielo ancora perlati di mare, curiosi e intelligenti. «No, ho un rospo. Vedi? Guardalo! Un rospo di mare!». «Ti dico la verità: non ho mai sentito parlare di rospi di mare ma di coda di rospo: l’ho proprio mangiata l’altra sera ed è molto buona». «In effetti» lui risponde con una prontezza diabolica «il rospo non vive nel mare perché è un animale d’acqua dolce. Anzi, io l’ho salvato perché lì poteva morire proprio a causa dell’acqua salata». «Scusa, non per intromettermi negli affari tuoi, ma non è che tu lo faccia morire adesso, sotto questo sole, soffocato dalle tue mani?». «Non sai» mi risponde lui un po’ maestro «che è un anfibio e che può vivere quindi sia in acqua che fuori? Beh, adesso ti saluto perché devo metterlo in un secchiello d’acqua dolce». «Un attimo, dimmi il tuo nome e quanti anni hai, dato che sai tutte queste cose». «Giusto! Mi chiamo Matteo e ho quasi 8 anni. Amo molto le scienze, guardo sempre Focus. Se vuoi, poi ti parlerò del buco nero». «Beh, grazie Matteo. Io sono una nonna e mi piacciono molto i bambini come te. Dopo ci rivedremo e intanto vai pure a ridare la vita a questo rospo». «Sì, sì perché deve purificarsi dall’acqua salata, mandarla fuori tutta per poter stare bene». «Vai, vai che continueremo dopo il nostro discorso». Veramente impensabili questi incontri marini con bambini prodigiosi, attenti, innamorati della natura. E si ritorna ai ritmi quotidiani della crema da sole e della ricerca dell’ombra, magari con un giornale o un foglio per scrivere, mentre Matteo compie le sue operazioni pensando già a quale nutrimento dare al suo rospo, aiutato anche da mamma e papà, nuovi vicini di ombrellone.  «Certo che la mia preoccupazione» dice una voce bambina dietro alle mie spalle, toccandomi la schiena con una mano in segno di amicizia e complicità «è il cibo da dargli oggi: delle formiche o altri insetti?». «è una bella idea nutrirlo! Ma, lasciando perdere il famoso buco nero, non ti chiedi in che modo il rospo sia finito nel mare? Va bene che è un anno particolare: all’inizio della villeggiatura ho visto tante di quelle meduse morte sulla battigia, come non mai». «Probabilmente» risponde Matteo, preso da questa domanda «abitava con la sua famiglia lungo la foce dell’Adige, qui vicino a noi, e la corrente lo ha strappato dal suo piccolo nido». «Chissà quante volte la sua mamma rospa gli avrà detto di stare attento perché se si alza il vento, il mare si gonfia, entra nel fiume e trascina via tutto». «Mah, potrà essere anche così, che non abbia ascoltato i consigli... ma la realtà è che le onde l’hanno spinto fino a me». «Oppure potrebbe essere arrivato qua attraverso le dune, alle nostre spalle, dal verde di un prato e accaldato abbia voluto fare un bagno. Chissà!». «Dai, non scherzare. Quello che conta per me» dice Matteo «è questo: ha capito che ho voluto salvarlo e ora si fida di me. Infatti, quando lo prendo in mano, non si agita più, come se avvertisse che gli voglio bene. Ma intanto lo porto a casa perché stia più all’ombra. Ormai è ora di pranzo e i miei stanno muovendosi». «Sì, ma pensaci... lui starebbe meglio vicino ad un fossato. Liberalo!». La spiaggia effettivamente si va svuotando, perché le famiglie con i bambini piccoli si avviano verso i loro appartamenti per il pranzo e per un riposino. E ora probabilmente Matteo, con questa nuova responsabilità, avrà il suo daffare. Al pomeriggio il mio nuovo compagno di avventure si precipita sotto l’ombrellone: «Oltre alle formiche, gli ho dato anche un nome. Si chiama Gigetto e mi si affeziona sempre più. Sa che sono suo amico perché l’ho accarezzato, gli ho cambiato l’acqua e sistemato in una vasca più grande: si sente come a casa sua! Solo mia sorella Anna non lo può vedere. Dice che le fa schifo, non vuole toccarlo, tantomeno baciarlo! Pensati che le ho proposto di baciarlo per vedere se si trasformava in un principe». E con gli occhi che mandavano scintille esprimeva una varietà infinita di sentimenti. «Ma allora hai ripensato alla favola del principe ranocchio? Perché è un po’ da favola questa situazione». «Sì, ma solo per poco. Solo perché Anna lo baciasse, ma si è rifiutata in tutti i modi. In realtà le favole non mi piacciono. Amo, invece, come ti ho già detto, le scienze, il contatto con gli animali». «Ma anche la tua maestra ti guida in questo desiderio di conoscere?». «Sì, ma io soprattutto faccio da solo, con libri, giornali e quel famoso Focus in tv. Sai piuttosto cosa ti dico? Che questo rospo in casa ha ricordato al papà che, quando era piccolo, andava a caccia di uova dirane per tenerle in un vaso e vedere i girini che nascevano». «Io, invece, abitavo vicino ad un fossato e da piccola raccoglievo in un barattolo proprio i girini e me li portavo anche in camera, sempre con la speranza di incontrare uno di quei famosi principi, insomma che la favola si realizzasse». E lui commosso: «Ad ogni modo l’ho fotografato e ho anche fatto un disegno perché è un’avventura che non dimenticherò mai». «Beh, giustamente hai un ricordo, una testimonianza di questo vissuto. Ma scusami, Matteo, sento che rifletti su ogni cosa, e quindi come pensi di risolvere questa vicenda col tuo Gigetto?». «Io lo terrei sempre con me, ma mio papà mi fa ragionare che starebbe meglio in un prato, magari a cercare la sua famiglia... mah, vedremo! Questa sera ci penserò. Ti dirò domani la mia decisione. Intanto è importante che stia bene e che si sia liberato dell’acqua salata». «Guarda che c’è anche una bella pineta qui attorno, con delle fontane vicine. Cerca il luogo più adatto per lui». «Sì, ho capito: ha subito uno stress e deve tornare al suo ambiente. Ma tu ti rendi conto che ora gli voglio bene? Che lui si fida di me perché gli ho salvato la vita?» quasi grida, emozionato. Il giorno dopo Matteo mi racconta l’epilogo di questa storia fluviale-marina. «Sai, dopo aver a lungo discusso con il papà e la mamma, ho anch’io capito che se volevo bene a Gigetto dovevo liberarlo. Così, in fila indiana, ieri sera siamo andati nel campo vicino alla casa. Io, dopo averlo baciato, l’ho adagiato sotto un arbusto, in mezzo all’erba tenera». «Ma perché l’hai baciato?». «Come un ultimo saluto, un segno d’affetto, non perché si potesse trasformare in un principe: credo solo in parte nelle favole e oltretutto sono un maschio». «Hai ragione, ma sono certa che non dimenticherai mai questa avventura». «Eh sì» conferma pensieroso «anche perché mi ha aiutato a comprendere che il voler bene ad un animale, in realtà, è volere soprattutto il suo bene. E poi so che è tanto grande il mio amore per la natura che sicuramente farò altri incontri in questi giorni al mare». «Bravo Matteo. Questa è una bella storia da raccontare ai tuoi compagni: ne saranno entusiasti».

Maria Luisa Daniele Toffanin

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