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venerdì 30 aprile 2021

NAZARIO PARDINI: "LA TRILOGIA DEI DINTORNI" GUIDO MIANO EDITOTRE

 Per i tipi di Guido  Miano Editore, Milano, in uscita il Cofanetto la Trilogia dei “Dintorni” di Nazario Pardini:

 

1) I DINTORNI DELLA SOLITUDINE;  2° ediz.

2) I DINTORNI DELL’AMORE, RICORDANDO CATULLO; 2° ediz.

3) I DINTORNI DELLA VITA,

CONVERSAZIONE CON THANATOS,  ediz.


Euro 36. Per ordini inviare e-mail a Guido Miano Editore:

mianoposta@gmail.com








giovedì 29 aprile 2021

GUIDO MIANO EDITORE PUBBLICA: "CALIGOLA A CASTANEA DELLE FURIE" DI MAURIZIO CINQUEGRANI



GUIDO MIANO EDITORE

NOVITÀ EDITORIALE 

È uscito il libro:

CALIGOLA A CASTANEA DELLE FURIE di MAURIZIO CINQUEGRANI

 

 

Pubblicato il testo teatrale “CALIGOLA A CASTANEA DELLE FURIE” di Maurizio Cinquegrani, con prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2021.

 

Quest’opera si apre con il richiamo alla storia, più precisamente alla visione storicistica degli eventi umani collettivi: «Il passato è scritto in modo così abbagliante, che la sua Luce accecherebbe chiunque provasse a leggerlo». Viene contestualizzata e datata in modo preciso: «Messina, Sicilia, Italia, Terra» con una successione dal particolare all’universale, come ad indicare la centralità della sua città. «Marzo 2020 dopo Cristo», poiché nasce un parallelo con l’epoca di Caligola (I secolo dopo Cristo). La località, Castanea delle Furie, omonima di un contemporaneo fronte di confine di migranti siriani in Grecia (Kastanies) spinti dalla Turchia, è una frazione sulle colline di Messina dove si immagina che l’Imperatore avesse posseduto una villa e dove si svolgono le scene del lavoro teatrale. «...Durante la grande epidemia», con ovvio riferimento alla pandemia in atto, poiché l’autore desidera portare conforto, solidarietà, empatia per il grande dolore provocato: lui è medico che vive in prima persona la tragedia, non nuova nella storia, ma nuova per noi cittadini abituati alla società del benessere. Il testo è una libera rielaborazione di un lavoro teatrale di Camus il quale rappresenta la lotta tra la coscienza individuale e la burocrazia politica, raccontata tramite le vicende di un Imperatore folle e crudele in preda al delirio del potere: come oggi, che stiamo vivendo questo periodo di follia generale - dice il nostro autore - e d’incapacità di trovare soluzioni alle crisi che ci attanagliano.

Così, mentre la tragedia dello scrittore francese è in definitiva più condotta sugli aspetti esistenziali e psicologici della “follia” del noto Imperatore romano, la libera rielaborazione del medico messinese è decisamente sbilanciata verso le questioni storiche, economiche, sociali che ruotano intorno al suo “cesarismo”, con valenze allegoriche sull’attualità del messaggio che viene fatto emergere. Infatti Camus rappresenta il nichilismo di Caligola che - sconvolto e lacerato per la morte improvvisa della sorella Drusilla - si assenta per giorni, dimenticandosi dei suoi impegni di governante. Rimproverato al suo ritorno dai senatori non riesce a capire come possano anteporre i doveri civili alla sua tragedia personale, che presto diventerà la totale perdita del senso della vita, poiché tutto è governato dal caso: il Caligola di Camus possiede la razionalità e la logica eccessive di chi è sopraffatto dal dolore e, quando percepisce l’ineludibilità della morte, scopre l’assurdo della condizione umana, poiché non conosce fedi e valori che gli diano speranza. Prendendo coscienza dell’inutilità del tutto egli semina il terrore, provoca la reazione dei senatori che tramano una congiura contro di lui, e vuole che i congiurati lo uccidano: il suo assassinio non sarà in realtà che un disperato suicidio. Lo stesso Camus definì la sua opera la «tragedia dell’intelligenza».

 Il Caligola ambientato nel messinese è certamente anch’esso una generale riflessione sulla natura umana ma - come abbiamo già anticipato - maggiormente orientato sui comportamenti dell’umanità rispetto alle lezioni storiche del passato, che non vengono mai apprese per cui si ripetono sempre le stesse tragedie: la storia non diviene maestra di vita, come per il Manzoni, pur se, tuttavia, anche questo Caligola è l’ennesimo tentativo - sotto forma della finzione letteraria - di un “de te fabula narratur”. Scrive l’autore: «Ma oggi, il passato è ancora il presente e nessuno alza più gli occhi per guardare avanti, per timore di vedere l’Oscurità incisa nel proprio futuro». Per dipanare il suo pensiero entriamo nell’impianto strutturale dell’opera, nella comunicazione dialogica tra i personaggi più rilevanti, nelle interpretazioni originali dello scrittore.

“Prologo” e “Atto I, Scena I”. Tali le due parti in cui è suddivisa la tragedia, un genere congeniale alla cultura mediterranea proveniente dalla Magna Grecia e quindi di stampo fatalista ellenico, alla quale appartiene per origini e formazione - il suo sapere classico è piuttosto vasto - anche Maurizio Cinquegrani, come è avvenuto del resto per le visioni esistenziali dei maggiori interpreti delle lettere siciliane degli ultimi due secoli, da Verga a Pirandello a Sciascia. Il Prologo si avvale di una scenografia che accomuna le due idi di marzo, ieri e oggi: «Tamburi di guerra in lontananza, immagini di guerra attuale, migrazioni, epidemie, incendi». L’autore affida alla narrazione degli eventi il compito di rispondere a tre domande impegnative: «La fine della speranza porta a non aver più timore della legge?» (Tucidide); «Pericle fu ucciso dalla peste e Atene dalla democrazia. Esiste ancora Atene?» (Ernest Renan); «Può il capire l’Universo coesistere con il sentire l’Universo?» (Fëdor Dostoevskij). Qui ha un ruolo fondamentale il narratore, che domina la scena sviluppando le tesi sulle quali i cittadini, il popolo e il coro intervengono brevemente, tentando di essere degli alter-ego dialettici.

Si parla della peste di Atene del 430 avanti Cristo che causò anche la morte di Pericle, mentre Atene stessa morì per la degenerazione della democrazia. Durante la pestilenza apparvero gli uomini sciacalli «che non lasciarono più la Terra», poiché con la fine della speranza cessò il timore della legge, consentendo agli individui di perpetrare ogni delitto, in assenza di freni morali (risposta alla prima domanda).

Accanto a loro «vivrà sempre alto il ricordo degli eroi», cioè di coloro che nella terribile pandemia del futuro diedero o rischiarono la proprie vite per salvare quelle degli altri (attualizzazione alle idi di marzo 2020). Il testo accenna poi ad altre attualizzazioni come l’accoglienza dei migranti a Riace, la globalizzazione dei mercati, la dipendenza delle popolazioni più deboli dalle economie degli Stati più forti. Il narratore esalta le virtù dell’Atene madrepatria della democrazia: amava l’arte, accoglieva tutti, investiva nel lavoro, nella formazione, nella cultura, coltivava le libertà civili. Ed afferma: «Atene oggi esiste ed è il sogno perduto che arde nei nostri cuori...» (risposta alla seconda domanda). Anche oggi siamo nella stessa situazione - continua il narratore - poiché una «neo-tirannide democratica oscurantista» ha usurpato «la nostra libertà e il futuro dei nostri giovani». Ora il “narratore” ci porta sulle soglie del futuro, in «quel tempo in cui il fascino della scienza ucciderà l’amore per l’Universo e il Dio trascendente...» (risposta alla terza domanda) e in cui prevarranno i poteri macro-economici e finanziari che saranno proprietari della ricchezza di miliardi di altri uomini.

Si conclude il prologo, la scena si sposta all’interno della villa, dove Caligola e un senatore - venuto a chiedere spiegazioni sul motivo per cui egli vuole spogliare il Senato romano dei suoi beni - iniziano un dialogo serrato da cui emergono i contrasti tra la classe senatoriale e l’Imperatore su come finanziare lo Stato: economia, finanza, tassazione, guerra, popolo… ma lasciamo al lettore approfondire l’atto I ed unico - composto da una sola scena - scoprire gli altri contenuti, le altre attualizzazioni, le ragioni delle due parti… e come finisce la tragedia che, come si è visto, ha preso uno sviluppo diverso da quella di Camus. Una vicenda appassionante scritta per scuotere le coscienze e stimolare le nuove generazioni a riflettere sulla storia.


Enzo Concardi


Maurizio Cinquegrani (Messina, 27 febbraio 1957) è medico specialista in Medicina Interna, è stato ricercatore e docente nel Corso integrato di emergenze della Facoltà di Medicina dell’Università di Messina. È autore di numerose pubblicazioni scientifiche e del progetto di sanità “Ora Cuore delta1”, volto a eliminare le liste d’attesa, e strutturato per sostenere le necessità dei pazienti più deboli nel rispetto del primario diritto alla cure. Tale progetto, scritto nel 2016, è stato rilanciato dal quotidiano “Il Sole 24 Ore”. Ha pubblicato i libri: Arnica. Storie d'amore, di eroi e di democrazia (2016), Il Sole dell’Italia (2017), Aiace Telamonio l’eterno (La Feluca Edizioni, Messina 2018), Messina, il 38° parallelo e la parabola degli Stretti (saggio storico, in Aa.Vv., Cara Messina, ti scrivo ancora…, ivi, 2020). È inoltre autore del poemetto, tutt’ora inedito, Antigone, l’alba della vita (2020). Nel 2018 ha conseguito il prestigioso “Premio Orione” (organizzato dall’Associazione Culturale “MessinaWeb.eu”, Messina) per l’impegno professionale in ambito medico, per il progetto “Ora Cuore delta1” e per l’impegno culturale testimoniato dal testo Arnica. Storie d'amore, di eroi e di democrazia.

 

 

Maurizio Cinquegrani, Caligola a Castanea delle Furie, prefazione di Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2021, pp. 56, isbn 978-88-31497-46-6; mianoposta@gmail.com.

 

 

 

 

 

mercoledì 28 aprile 2021

ANTONIO SPAGNUOLO COMMENTATO DA NANDO VITALI DI REPUBBLICA

 Antonio Spagnuolo dispiega le ali verso il cielo dimostrando la sua grandezza scritturale approdando alla stampa nazionale, nel caso Repubblica. Una pagina a firma di Nando Vitali che convalida il valore dell’amico poeta, di cui nessuno mette in dubbio la valenza.

Nazario Pardini   




lunedì 26 aprile 2021

GUIDO MIANO PUBBLICA: "I DINTORNI" DI NAZARIO PARDINI

 Per i tipi di Guido  Miano Editore, Milano, in uscita il cofanetto dei DINTORNI di Nazario Pardini (I DINTORNI DELLA SOLITUDINE; I DINTORNI DELL’AMORE, RICORDANDO CATULLO; I DINTORNI DELLA VITA, CONVERSAZIONE CON THANATOS).  Euro 36. Per ordinare contattare il dott. Carmelo Miano, e-mail: mianoposta@gmail.com

RITA FULVIA FAZIO LEGGE: "ALLA VOTA DI LEUCADE" DI NAZARIO PARDINI

Finalmente ho terminato di assaporare le liriche contenute in Alla volta di Lèucade. Nel mentre mi interfaccio, limpidamente, nell'obiettivazione degli stati d'animo nel concento del suo spirito di vita, attraverso le seguenti perle.

Commoventi i Canti liguri (ancor di più per me che  della Regione sono nativa) da Alla Liguria di Montale....a A Vernazza. È lampante come, Ora settembre dichiari l'amore per il mese. Le molteplici emozioni ch'esso suggerisce, legano la coscienza del proprio essere alla narrazione curiosa del bimbo cresciuto e arricchito del suo stesso esistere: 

"... è il mio settembre /

un signore maturo che racconta /

le sue storie a un bambino incuriosito /

fiorendole con animo arricchito / 

degli stessi colori."

E l'amore per settembre leva in alto le note melodiose di grandi autori: è la cultura presente all'autore e imprescindibile alla gioia di vivere: 

"Amo settembre 

/ perché mi fa vibrare con le note /

che trovo solamente in melodie /

di grandi autori."

Ed è inoltre memoria delle personali sensazioni, emozioni, percezioni esperienziali maturate nel gioco della vita. Nel viandare interiore commovente, significativi, percettivi e vitali sono anche i ricordi spersi: 

"E poi perché il sentore /

della mia terra sembra, nel settembre, /

molto vicino ad una ricordo sperso."

Ma, sostanzialmente, il poeta Nazario Pardini tiene in mano il filo della matassa "vitae" con la sola ricchezza di un'anima che vive al di sopra delle povere storie del giorno nella ricchezza di immagini feconde.

Per rivivere in un sentire lieve e così amato, il superbo dono della vita in ogni fatto lieto o meno lieto ma scampato. Sì, 

Fuga da settembre lo esplica pacatamente: "...ma solo la ricchezza di immagini feconde rivissute da un'anima al di sopra delle povere storie del giorno. E ti rivissi, vita, con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto, ma scampato, vidi un superbo dono." 

E mi piace accennare, metaforicamente, che il 'ti rivissi vita' nella produzione letteraria del Pardini è dono suggestivo e lettura penetrante dell'umana avventura intessuta nell'amor vitae.

La stessa mia armonia del sentire, d'intenti e ideologia.

A seguire i Canti arcaici dell'ultima sezione, seducenti testimonianze storiche di poeti greci, è lascito d'impareggiabile intellettualità professionale nonchè stilistico-letteraria del poeta Nazario Pardini.

Grazie di questa lettura vissuta in chiave ampia, lussureggiante e azzurra.


Fulvia

 

P.s.: in allegato un biglietto augurale che mi aveva ispirato la poesia: La buonanotte.

 

 

 

 

 

 

 

Inviato da smartph

 

LOREDANA D'ALFONSO LEGGE: "IL SORRISO DEL MARE" DI NAZARIO PARDINI

 Loredana D’Alfonso su “Il sorriso del mare” di Nazario Pardini

Loredana D'Alfonso,
collaboratrice di  Lèucade

“Il sorriso del mare” di Nazario Pardini, pubblicato dalle Edizioni “Blu di Prussia”, appare al lettore, anche a quello più disincantato, come uno scrigno che contiene gemme preziose: dieci poesie d’amore.

Scrivere d’amore non è facile, è un terreno scivoloso, si rischia costantemente di cadere nell’ovvietà.

La poetessa Anna Vincitorio, nella sua prefazione cita Thomas Savage: “La gente ha bisogno di credere nei miracoli. Che cosa può salvarli, se non i miracoli. C’è una risposta? L’amore?”.

Pardini risponde a questa domanda con un’affermazione piena di candore, che non si trascina dietro l’ombra del dubbio, e lo fa in modo sublime.

Delia è l’oggetto del sentimento che si fa ricordo nella lirica “Con la rete da pesca”. “Mi è passato d’accanto il tuo sorriso/ appoggiato alla spalla di un torrente/ che lieve scorreva verso il mare”.

Struggente, questo ricordo di gioventù si fa preghiera, come dita che si tendono ad afferrare una farfalla che si è levata in volo.

“Ti prego/avvisami quando passi da queste parti/ io sono qui pronto a pescarti. E magari/ anche a tuffarmi nel fiume per affogare/ con la tua bocca nel cuore”.

Il Poeta va indietro nel tempo, alla timidezza di due ragazzini perché, allora “Era il tempo/ delle mele. Il tempo delle fughe”.

“Corri Delia!/ Ancora corri come lo facesti/un po' pazza sul battito dell’onda/ quella sera di luglio…”.

E ancora il Nostro cerca la sua ragazza in “Dove sei”, nel “nostro bar in Piazza Garibaldi/l’Arno che corre lento verso il mare/Corso Italia con i tanti specchi/ dove miravi allegra il tuo sorriso/ sono qui; ma tu dove sei andata?”.

E il ritorno alla realtà in “Non c’è più tempo”: “Non è più il tempo, sai. Il cielo è scuro/ e il mare non ha più il dolce richiamo/dell’onda di una volta. Scade l’ora/ mia carissima Delia, e noi patiamo/il giorno che si oscura”.

“Ora è tardi/ mia carissima Delia, non c’è più/ la timidezza che ci fece allegri/ la corsa improvvisata sulla sabbia/che raccoglieva bàttime per noi”.

C’è sempre amore anche nel meraviglioso intarsio che Pardini dedica al padre in “Dove sei, padre”.

“Dove sei, dove sei, dove sei, padre, accendi la tua luce, mi farà da cometa sulla strada”.

Questa breve ma densa plaquette dove ci sono la dolcezza del ricordo, le risate fresche e le corse di Delia, il sorriso del mare che luccica ed illumina il Creato, si chiude con una vera e propria ode alla vita e al sentimento con “Se non esistesse”:

“Se non esistesse l’amore e il sole/ se non ci fossero le nubi e i venti/ se non ci fosse la malinconia/ di Chopin, o la serenata di Schubert/ o il coro a bocca chiusa di Puccini/se il cielo fosse grigio e non avesse/orizzonti lontani come il mare/ se la primavera non profumasse/di donna, e il tutto avesse la voce/ dell’inverno, del triste e nuvoloso/ inverno, non esisteresti tu/ con la tua aria estiva, luminosa/ a dare ragione al creatore/ che ti ha voluto in questa/irripetibile, unica, stagione”

Loredana D’Alfonso

 

 

 

 

sabato 24 aprile 2021

MARCO DEI FERRARI: "SPICCHIOLI D'ARNO"

SPICCHIOLI D'ARNO (Sperimentale primo)

Marco dei Ferrari,
collaboratore di Lèucade


Coccinelle di scampoli

scagliette scarpine slacciate

errebondi sterpigli brucicchi

briciolino focherelli serpigli

sbadigli su asmette d'Arno

si sgrani inerte stagnicchio

nè spondi spettrali, nè pantegani voraci

clamarsi ragnetti di tele ricami

su fragili ponteggi ondeggi

tra cocci stupiti e spicciole campane

tratturi frantumino falsi segnari

gnomi d'assenze allettino

zanzarine di sangue

che urlo di Ponte mimarsi

umori, dolori, amori, clamori...

spifferin'aria senz'aura

nottate ferali sfibrino ferali folletti d'incanti

ulularsi tenebro malìaco riechi

sentierini fallaci vicoletti mordaci

fessurina ombretta danzetta.

E' l'ora d'allora?

 Marco dei Ferrari

MARIA RIZZI LEGGE: "TRA LE CREPE DELLA VITA" DI CINZIA BALDAZZI E ANDREA LEPONE

 

Maria Rizzi su “Tra le crepe della vita” di Cinzia Baldazzi e Andrea Lepone – Bertoni Editore


Cinzia Baldazzi e Andrea Lepone nel testo “Tra le crepe della vita” di Bertoni Editore, consentono a noi lettori di affrontare un viaggio tra la poesia di Lepone e la critica della Baldazzi. Un’esperienza diversa, interessante e originale, che vede le liriche del Poeta affiancate da lunghi stralci esegetici della Relatrice, nota per le ottime capacità di esegeta. Quest’ultima presenta la Raccolta dell’amico come una poetica ‘di stampo espressionista’, che illustra in modo incisivo che se il poeta è fanciullo, come si sostiene in genere, del bambino non eredita soltanto l’atteggiamento ricettivo, creativo e vergine nei confronti del mondo, ma anche le sue angosce, i suoi terrori che come la psicoanalisi ci addita, esorcizza con gesti e rituali ripetitivi, volti a creare difese e sicurezze. Sin dalla prima lirica “Decadi”, di ampio respiro creativo, la nostra Relatrice rileva lo stampo espressionista e l’attesa di un ‘uomo nuovo’, nudo, descritto nella sua dimensione metafisica, non nel contesto sociale, ma in una sfera superiore. Uomo in quanto uomo, espressione di umanità, che si sente unito ai suoi simili.

 

“Un pargoletto danza sulla spiaggia  del perdono,

  il sincronismo delle nostre labbra

  è ormai un isolamento forzato,

  un rituale incenerito, svanito”        - tratti da “Decadi”

 

L’Ermeneuta accosta le liriche di Lepone a quelle del poeta salernitano Alfonso Gatto, che comunicò con la poetica della rivista “Campo di Marte” , culla  del movimento ermetico fiorentino, e successivamente con il neo – realismo. In effetti il linguaggio del nostro Autore è talvolta rarefatto e senza tempo, allusivo, tipico di una poesia dell'assenza e dello spazio vuoto, ricco di motivi melodici e la poesia “Ombre” riecheggia il timbro dell’Artista partenopeo, pur se caratterizzata da quello che la Relatrice definisce ‘linguaggio da incubo, freddo, gelido, da indurre a meditare su un finalismo cosmico’. Lepone conferma la sua affinità con la corrente espressionista e con il già citato Alfonso Gatto, nato nella città dello sbarco, ovvero lì dove è soffiato il vento della liberazione contro gli orrori del nazi – fascismo , dove si è innalzato, e Gatto ne fu partecipe, il canto della resistenza : “senza fucili né cannoni… come son belle le notti di maggio e com’è bella la terra senza il ticchio della guerra”. Un’affinità, che è simbolo di fratellanza , di questo termine che la Baldazzi descrive come ‘la base di ogni assetto sociale, status di qualsiasi progresso, capace di riconoscere noi negli altri, gli altri in noi’. Bellissima la poesia “Ballata notturna” di Lepone, accompagnata da lunghi, intensi, profondi stralci critici della sua Esegeta, che la identifica in una ‘romantica parentesi, nella quale l’Io narrante e l’amata “godono”perché sperimentano il territorio dell’Inconscio passeggiando “incoscienti”’. Con umiltà mi unisco alla Baldazzi, affermando che nella rappresentazione poetica può e deve coabitare il paradosso che nel già detto, nell’enunciato si nasconde, il linguaggio latente, il rimosso. La lirica si potrebbe paragonare a un’epifania esistenziale:

 

“Balliamo fino a tarda notte,

  non respireremo l’aria del mattino,

  l’odore di un caffè amaro chiuderà

  questa romantica parentesi, godiamo

  dell’oscurità, passeggiamo incoscienti

  su questa spiaggia maledetta, dimenticata.

  Vorremmo camminare sull’acqua, purificarci,

   ma la memoria delle nostre colpe non sarà mai scalfita.

   A piedi nudi sino all’alba, sulla sabbia, avvolti

   dal suono delle onde, imprecazioni miste a gemiti,

   parole soppresse da baci violenti, la speranza

   di un nuovo domani, la passione di due reietti.

   La libertà, perenne illusione, non è mai stata così vicina.”

 

E parlo di ‘epifania’, in quanto essa rappresenta un momento speciale in cui un episodio diventa rivelatore del vero significato dell’esistenza a colui o colei che ne percepisce il valore simbolico, senza sottrarlo alla sensazione quotidiana dell’angoscia. Lepone è consapevole, come scrive la Relatrice, della ‘perenne illusione’ che contraddistingue le giornate, i mesi, le stagioni. Il Poeta sembra avvicinarsi spesso alle tematiche psicoanalitiche, secondo il dittato critico della Baldazzi per fuggire in un ‘qui trascendente - oltre il limitato fluire predefinito dei giorni’. Nella poesia “Amante” leva il canto “Ti sfioro in controluce, sotto una cascata di sogni, / blandisco la riva del tuo cuore, come un naufrago / giuntosull’isola della bellezza, ti contemplo in ginocchio, /grato all’idolo che permise il nostro incontro, una sera d’agosto.” C. Baudelaire ne “Floeurs du mal” mise in evidenza un tema che mi sembra rilevante all’interno della poetica di Lepone: partire dal viaggio reale per affrontare l’avventura salvifica dell’immaginazione. La psicoanalisi si sposa con le tendenze del Decadentismo e la Baldazzi nell’acuta analisi dei testi prende atto di come ‘nel grande dono elargito all’umanità non si rivela la virtù del “vedere”, ma quella di una luce che procede oltre: perché, mentre la vista costituisce il compito degli occhi, l’orizzonte di proiezione fantastica appartiene al cuore’. Un autore dicotomico, il Nostro, che crea l’antitesi realtà – fantasia per esigenza interiore, che negli ossimori trova la ragion d’essere dell’individuo, che scrive: “Indago sulla fioritura del nichilismo, nel mio eremo” – tratto da “Catarsi”. Secondo la Baldazzi ‘il personaggio di Lepone si attesta sulla deriva di A. Schopenhauer , di F. Nietzsche, per approdare al grande M. Heidegger. Un Poeta, quindi, pronto ad abbassare il velo di Maya, a calarsi nel pessimismo cosmico e a scoprire nell’amore, anche inteso come visione, la via per l’accesso alla verità. I versi di Lepone sono sovrabbondanti, densi di quelli che il Poeta, con un eccellente ossimoro, descrive ‘quesiti assordanti’, e che l’Esegeta precisa che ‘non restano elusi’, in quanto trovano supporto nei ricordi. In effetti i territori della memoria costituiscono il pozzo dal quale attingere linfa vitale. Noi siamo ciò che siamo stati.

 

“Troppe domande, quesiti assordanti

   che ovattano il mio incespicare

   negli oleandri dei verdi campi

   autunnali, tra lenzuola dilaniate

   e incubi lancinanti, rimembranze.

   Percorro mille miglia, condenso

   ogni paura nella nostalgia, spendo

   discorsi raziocinanti per attutire

   il chiasso, per comprare qualche grammo

   di benignità, di misericordia, anelo all’indulgenza

   totale delle mie ossa, agli organi della pace”. tratti da ‘Rabbia e amore’

 

Nel corso della Silloge troviamo anche il Poeta chino ‘nell’atto materiale e psichico della preghiera’, come scrive il suo alter ego, ovvero la Baldazzi, che aggiunge che la lirica “Metamorfosi spirituale” sembra ‘assecondare Sant’Agostino nel suo “credo per capire e capisco per credere”, e fa poi riferimento a F. Dotoevskij, e alla sua concezione della preghiera intesa

‘come ascensione dell’intelletto’. Per quanto mi riguarda ho preso atto che in questo testo a quattro mani, di raro valore poetico e critico, l’Autore attraversa le macerie del tempo passato, di quello presente, si graffia, si ferisce, si tormenta, ma la sua cifra stilistica sa donarsi sempre in levare: “Un giorno impareremo a parlare la lingua degli angeli” – tratto da “La lingua degli angeli” . Soffre per poi spalancare le ali: “Mi arrampico sugli alberi per afferrare il cielo” – tratto da “Il verbo dei centenari”. E la Baldazzi, immensa nella veste di critico, e oserei dire del Virgilio, che accompagna il Poeta lungo i rovi e verso l’ascesa, è sempre sotto la sua pelle artistica. Precisa che ‘i passi intrapresi da Andrea Lepone sono continui, sebbene “incerti” nel risultato vincente perché, lo consiglia W. Goethe “non è abbastanza fare dei passi che un giorno ci porteranno a uno scopo: ogni passo deve essere lui stesso uno scopo, nello stesso tempo in cui ci porta avanti”’. Lepone ne è consapevole e non teme le spine, le macerie, lo strazio… è teso alla luce e possiede il dono di afferrare la coda dell’arcobaleno.

Maria Rizzi

  

   

 

 

 

 

 

 

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venerdì 23 aprile 2021

CARLA BARONI: "IN RICORDO DI GIACOMO SOLDA'"

 

In ricordo di Giacomo Soldà


Carla Baroni,

collaboratrice cdi Lèucade 

In ricordo di Giacomo Soldà

 

 

 

 

Poco prima di Pasqua è venuto a mancare Giacomo Soldà finissimo scrittore dell'area veneziana. Chi è assiduo frequentatore dei Premi di Poesia l'avrà certamente incontrato anche se forse non l'avrà notato perché era persona schiva che non amava assolutamente mettersi in mostra. Egli stesso non si rendeva conto del suo talento - che si estrinsecava soprattutto in un lirismo sottile fatto di immagini suggestive ed estrose - essendo approdato tardi allo scrivere quando cioè, andato in pensione, partecipò a uno di quei cicli di lezioni, inventati per far trascorrere qualche ora in compagnia a persone anziane votate alla solitudine, i così detti “corsi di scrittura creativa”.

Ma se Soldà si teneva in disparte, gli habituè dei premi non potranno non essersi accorti della la sua vivacissima accompagnatrice, la poetessa Mara Penso, che con la sua macchina fotografica immortalava qualsiasi cosa ritenesse degna di essere ricordata. Viaggiavano sempre insieme Giacomo e Mara su e giù per l'Italia - partendo da Venezia in automobile - a raccogliere gli allori dei loro lavori sia in poesia che in prosa: una volta vinceva lui, una volta vinceva lei oppure erano entrambi a salire sul podio, ma ogni tanto si muovevano anche per una semplice segnalazione. Un pretesto, confessavano, per visitare uno di quei tanti meravigliosi  luoghi del nostro Paese in cui non si andrebbe mai se, appunto, non costretti da qualche piacevole circostanza.

Ed era inoltre Soldà persona gentile sempre pronto ad aiutare: ho sempre in mente, al contrario, un notissimo ed anche bravo poeta, autore di liriche strappa-lacrime, sulla cui spaziosa automobile non sono mai riuscita a salire neanche per mezzo chilometro perché perennemente ingombra – così diceva – dei mobili dell'Ikea.

Di Giacomo non conosco l'intera opera letteraria: forse non credendo in se stesso, avrà tenuto tutto nel cassetto. Io di lui possiedo soltanto due deliziosi libriccini uno in prosa ed uno in poesia - metrica perfetta - pubblicati però a spese di qualche associazione che aveva riconosciuto i suoi meriti e donatimi in uno dei tanti e a volte fortunosi incontri dovuti ai concorsi: ci capitò perfino di essere confinati in un albergo dell'hinterland milanese - doveva essere il più economico di tutta la zona - in cui ci vennero a “sdoganare” solo alla fine della Cerimonia di Premiazione avvenuta in altro luogo. Però ricordo le sue liriche apparse ai concorsi e anch'io, in qualche occasione, ebbi a premiarlo.

Ciao, Giacomo, riposa in pace. Di te mi rimarrà principalmente il tuo sorriso di persona buona. Nella speranza che Mara sappia fare conoscere meglio e in più larga scala la tua opera.

 

Carla Baroni