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mercoledì 27 luglio 2011

Nota al libro E ci sono angeli di M. L. Daniele Toffanin

Nota
al libro
E ci sono angeli 
di
M. L. Daniele Toffanin



Cara amica,

eccoti le poche note scaturite da una ripetuta lettura dell’ultima tua opera foriera di non poche emozioni. 



Siedi sul prato
bianco trapunto
di verde vestita.

Splendi
come turgida mela
su ramo d’azzurro.

Risucchio nettare di vita



E ci sono angeli: un canto “ossimorico” di dolore-gioia, una scalata di diacronica ascensione, che tocca il fondo dell’anima umana. La Toffanin, in questa plaquette, va oltre la natura, va oltre il mondo delle colline baciate dai venti, delle agavi tinte di cielo e di sole, dei tramonti che staccano la luce color pesca dalle cose a lei tanto vicine; va oltre per toccare le categorie dello spirito e della commozione, l’eticità dell’essere in quanto tale. E attraverso le tre scansioni dell’opera (Il volto dell’infanzia, E ci sono angeli, Di luna in luna), dimostra non solo (come già abbondantemente e magistralmente espletato nelle sue precedenti opere a me donate e per me patrimonio sacro d’amicizia e di poesia) di sapere liricizzare le minuzie e le grandezze nella loro essenza coloristico-affettiva; di saper trasferire se stessa in suoni, luci, scintille ed ombre di terre, mari, e paesaggi che ama; ma soprattutto, con uno scavo di grandissima sensibilità, di saper incastonare uno dei problemi più drammatici della nostra società in versi emotivamente coinvolgenti: bambini che muoiono, in “una ininterrotta strage d’innocenti”: “Si spegne pure / ogni angelica forma”;  “E virgulti sortiti appena / senza slancio armonia vitale / questi altri tanti / per insaziata fame-sete”;  “E bambini usati / il giorno la notte / in spazi senza vita…”; “Ci sono bambini-farfalle / nel volo bruciate / dal gas della follia”.  Un’opera di profonda analisi psicologica, dove i fatti vertono a concretizzare l’indifferenza del nostro mondo, e non solo; un’opera che ci turba, e che prendendo l’anima per mano, la porta con sé a meditare, e a soffrire di far parte di tale indifferenza. E seppur facile cadere, in questi tipi di messaggi, nel retorico, o nell’eccessivo sentimentalismo, la Toffanin riesce, attraverso una desanctissiana simbiosi contenutistico-lessicale e fonica-verbale, a mantenere il livello del suo canto su una costante e robusta struttura stilistica:  a fare, quindi, di un problema universale, un subbuglio soggettivo, ridandolo al foglio rinvigorito e rinnovato.  
A concludere, l’illuminazione umano-divina di mamma-nonna che va al di là dell’esistere per toccare le vette dell’inarrivabile ne “la grandeur de la vie”.  Ma è soprattutto qui che la Toffanin si riappropria del suo canto, contaminando con una simbiosi di sensibilità e cifra estetica,  la voce schietta della poesia.

Può fiorire la rosa del deserto
se l’accende la Tua pioggia di Luce.



Arena Metato 27/07/2011

                                                                             Nazario Pardini  

domenica 3 luglio 2011

Nota alla silloge "Sterpi" di G. M. Di Chiosca

Nota
alla Silloge
Sterpi
di
Giacomo Manzoni Di Chiosca


La natura, il paesaggio, l’amore familiare, la memoria e l’esistenza sono i motivi principali della poesia di Manzoni. Ma è il dilemma esistenziale a rappresentare un momento di grande intensità lirica ed emotiva. Essere - scrive il poeta - è un grido che tu lanci oltre al confine dell’esistenza. E’ avere l’universo nelle mani, sentirsi eterni, immergersi nel sole che risorge / dalle brume invernali a primavera. Solo così ti senti vivo. Ed è un interrogativo a vibrare nei versi di Manzoni: Dove mi condurrà questo destino ignoto? Ma anche se la città è un deserto, per il poeta è una dolce fatica quella di ricercare se fra gli sterpi è nato un fiore.

Nazario Pardini

Nota alla Silloge "Il pane dei ricordi" di Giancarlo Interlandi

Nota
alla Silloge
Il pane dei ricordi
di
Giancarlo Interlandi


La Silloge di Giancarlo Interlandi trae il titolo dalla prima pièce che costituisce, al contempo, il motivo ispiratore e il leit motiv dell’intera opera. E’ l’epopea dell’infanzia che riaffiora, e sono immagini che si rifanno vive nell’alcova dell’anima per gridare la loro esistenza: il pane bianco, la tenerezza delle dita, innocenze di sorrisi, favole d’infanzia e il riso della madre / che ancora si riaccinge / al culto più soave della vita. La memoria è l’attore principale, ed ogni immagine esterna serve a rianimare e a concretizzare sensazioni e passioni che, filtrate dal tempo, sono pronte a riaccendersi a nuova vita.


Nazario Pardini

Nota al libro "Carteggio" di Domenico Lombardi

Nota
al libro
Carteggio
di
Domenico Lombardi


Domenico Lombardi, attraverso una poesia costruita su una tessitura di pensiero ed emozioni, riesce a comunicare il senso enigmatico dell’essere e dell’esistere, affidandosi alla sua grande esperienza umana. I versi si alternano da più ampi a più brevi, quasi ad accompagnare l’altalena del flusso emotivo-esistenziale. E non manca nella sua poesia il ricorso a un memoriale rivissuto quasi disincantatamente con la ritrattazione di sogni e pensieri in cose e figure: Forse..... / superstiti destini / voci nostalgiche / d’un lungo cammino.

La musicalità della versificazione, il registro lessicale tecnicamente alto, e l’utilizzo di un significante metrico a combinare anima e parola, fanno di Carteggio un’opera di grande spessore poetico.

Nazario Pardini

Nota al libro "Ultime poesie" di Francesco Tassinari

Nota
al libro
Ultime poesie
di
Francesco Tassinari


Francesco Tassinari, autore di grande valore, conosciuto per le sue numerose pubblicazioni, vincitrici di importanti premi letterari, in questo libro ci propone, come lui stesso scrive nella premessa, un certo numero di poesie ripescate. Un po' la storia della sua vita che inizia con la sezione Favola per un bimbo e termina con Gli utimi versi.

E proprio nell’ultima parte il libro affronta i temi esistenziali più cari al poeta: Vecchiaia, A cosa servono i versi?, Amore di una volta, Vicino al mare, dove “la vita s’è fatta / caverna di mare”, dove “Fuggì / la frettolosa primavera”, e dove “A che cosa servono i versi / se non a quel crepuscolo / dove il cuore stremato / si prepara alla morte?”.


Nazario Pardini

Nota al libro "Asimmetria" di Franco Martini


Nota

al libro

Asimetria

di

Franco Martini



Un attimo così, / vale tutti i dolori / di questa terra / messi insieme... /

Un’attesa così / è dolce come il cielo / che si apra.



Mi piace esordire con una citazione testuale allo scopo di segnalare gli aspetti di inequivocabile continuità nella ricerca stilistico-letteraria di Martini, poeta dalla produzione abbondante , ma sempre rigorosa e intimamente sorvegliata alla luce di una sensibilità raffinata e profonda. In Asimmetria vengono capitalizzate tutte le esperienze precedenti del poeta che torna ad arricchire con intensa liricità la sua ansia di amore per la vita e per tutto ciò che la completa: “Lasciamelo dire che ti amo. / .....Le mie dita modellano l’immagine che mi sono / fatto di te.” “ Spiegami i colori di ogni tuo risveglio.” E la sua coscienza di essere e di esistere si esalta nella speranza di un volo tanto arduo quanto onirico: “Io chiederò la grazia / di entrare nel corpo. / negli occhi. / Nelle piume del gabbiano. / Per ritornare ogni anno qui. / Con ali grandi e bianche.” Ed anche se “Una corona ad appassire sulla montagnola / fisserà il mio punto“ o se “Seguiranno la bara / parlando d’altro.” o “Sarà giorno qualunque.” nel poeta é vivida la speranza di perpetrare il volo oltre il tempo con le ali della poesia. Sembra sapere, il poeta, che le piume del gabbiano hanno la foscoliana possibilità di volare in eterno. Stile sciolto, libero e al contempo armonioso quello di Martini, che riesce con toni caldi e con dire schietto a suscitare lunghi echi in un lettore disposto a recepirne le vibrazioni.



Nazario Pardini

Ottobre 1999


Nota al libro "S'incontrano i sogni" di Adriano Bottarelli

Nota
al libro
S'incontrano i sogni
di
Adriano Bottarelli


L’amore per la sua terra e per la donna amata costituisce il motivo ispiratore della poesia di A. Bottarelli, che, nel suo grande afflato poetico, si traduce in amore per le molteplici manifestazioni della vita. La delicatezza dei toni, la sicurezza nell’impiego della parola, il sapiente uso di metafore e allitterazioni contribuiscono a far risaltare il grande senso positivo che l’autore nutre per il dono di essere e di esistere. “/ Trepida la luce / sui cespugli dei sogni; / quando palpita / nei gomitoli del vento / la mia sera. /” “/ Oltre la rupe / volerà il mio canto / per il cielo limpido / come i sorrisi dei passeri / come i gorgheggi dell’allodola / nel chiaro del mattino, / come i fremiti / dell’usignolo / sull’alto ramo del pino, / sublime a prima sera. /” La poesia di A. Bottarelli è fatta di chiarori, di albe, di profumi di terra, di suoni nascosti, di messaggi di sera, tutti trasmessi da una Natura vivente con un alto spessore panico.
 

                                                                                              Nazario Pardini  
MASSA 25/04/1999

Nota al libro "Versi per Irene" di G. B. Rossi

Nota
al libro
Versi per Irene e altre poesie 
di
Aldo G. B. Rossi 


Quello che affascina e subito colpisce, fin dalla prima parte, nell’opera di Aldo Rossi è la grande capacità di tramutare gli aspetti più semplici del quotidiano in motivi di alta poesia d’amore per la donna amata e per tutto ciò che l’avvolge; un afflato stilnovistico corporizzato in immagini di suggestiva dolcezza. La seconda parte del volume propone i temi che da sempre coinvolgono l’uomo Rossi, dalla riflessione sul destino fino alla speranza che l’uomo “filo d’erba assetato, / attenda  la rugiada di Dio”. Ma sono le immagini liriche da vero “canzoniere” d’amore con la loro poetica spontaneità a far breccia nel nostro animo: “Il tuo sorriso sboccia dal profondo / Ha la munificenza del regale / conosce l’umiltà del quotidiano / suggella per chi ama ogni promessa. /”

“/ e la luce / del tuo sorriso / dissolve i fantasmi / del mio Qohelet quotidiano. / Raccogliere i mirtilli uno ad uno / ..........è un essere miti con il mondo, /” “ / Oltre la vita, oltre la morte / nella lunga notte / la tua voce. /”

E lo stile incalza e persuade per nitidezza e linearità; arriva con immediatezza, chiaro, preciso, lessicalmente puntuale, musicalmente piacevole, sena fronzoli né orpelli il più delle volte utili solo a mascherare contorsioni barocche.



                                                                                              Nazario  Pardini
MASSA 25/04/1999


Nota al libro "Poi venne una zazzera d'oro" di Francesco Tassinari

Nota 
al libro
Poi venne una zazzera d'oro
di
Francesco Tassinari 


Il poeta in questa opera riesce a tessere una trama di grande intensità lirica che si allarga attraverso evocazioni e suggestioni di vita ai dubbi delle grandi inquietudini esistenziali. “Sono un barlume stento / una voce superflua nel coro.” (Giovinezza che passa) “Un’ombra grigia / si affacciò alle case: / malinconico grido nella sera!” (Giovinezza perduta) Le piccole e le grandi cose, i timori, i luoghi, i ritorni sono iperguardati da un occhio che riceve immagini trasfigurate e il reale si fa reale di un poeta che non segna confini attorno al suo evento. Sorretto da una notevole padronanza poetica, frutto dell’alternarsi di versi brevi ad altri di misura più ampia, tesse l’ordito sul senso amaro dell’esistere, illuminandolo però col conforto di una grande luce terrena che squarcia un futuro di ombre. “Laggiù è l’orrenda siepe, ” (Estate e oblio). “Poi venne una zazzera d’oro / su un volto radioso.” (La zazzera d’oro). “Fu un giorno di fine anno, / a Natale...” (Casa della mia fanciullezza).     


Nazario Pardini

Nota al libro "Dell'azzuro ed altro" di Maria Luisa Daniele Toffanin

Nota
al libro
Dell'azzurro ed altro
di
Maria Luisa Daniele Toffanin


La padronanza della tecnica metrica e la capacità di compenetrare contenuto e versificazione sono le catatteristiche salienti della poesia di Toffanin. Spesso i versi si succedono in una aumentazione diacronica fino a eslpodere in costruzioni più ampie volte a dare corpo al contenuto. Ma poco di costruito e tanto di spontaneo nella realtà immaginativa dell’autrice. Il testo è un continuo spaziare tra i colori di una natura che staccandosi dal reale si fa immagine rivissuta e personificata. “Ali bianche grige / accese d’argento / nell’oro che muore / ruotano l’azzurro / immobile nell’ora / che ai gabbiani / è donato il cielo.”. (L’ora dei gabbiani) “Riverberi accesi / in tramonti di primavera / turbano creste limpide / tra i veli della sera.” (Fino all’ultimo) “Si turba la sera / nel bianco gelsomino / si tinge di porpora / nel volto di cielo...”. (Preludio) Uno spartito di musica insomma che incastona nel pentagramma colori, sensazioni, impressioni, intuizioni e che realizza nella totalità un quadro di composta plasticità che mai sfugge a un’armonia di tessitura classica.


Nazario Pardini

Nota al libro "Mosaico dell'infanzia" di Annarosa Del Corona

Nota
al libro
Mosaico dell'infanzia
di
Annarosa del Corona


Le stagioni che ci spiano, la grande barca che prende il largo, il pennino spuntato su quaderno rosa, Carmela, Rosita, Nanda, il coprifuoco, Mezzocollo, sono tanti elementi simbolici di un mosaico che nasce da un memoriale velato d’aria di dolcezza e malinconia che si dilata a dismisura. Le immagini diventano voluminose, irrazionali; involucri di spezzoni d’esistenza che riaffiorano, anche se oramai pacati, pur sempre pungenti alla luce di dati visivi precisi e familiari (i gatti, la merenda, i vetri colorati, la cioccolata calda). La concretezza del ricordo in Annarosa è associata con estrema vitalità  alla sua naturale disposizione al dire lirico e comunicativo. E alla fine il mosaico è la risultante di un concento di suoni, colori, sensazioni, luci e ombre che, dilagando da un’anima sbrigliata da geometrie di fattura razionale, si fanno alimento sostanziale di una parola sia verso che vita.


                                                                             Nazario Pardini




Nota al libro "39 Carte" di Pierubaldo Bartolucci

Nota
al libro
39 Carte
di
Pierubaldo Bartolucci


La silloge prende il titolo da una poesia simbolo che rivela il solco lasciato dalla vita, seppur sorretto da un lampo di speranza: “Intingo le dita / nel docile flusso / dei giorni.../ Il solco dei tagli / sul rame e lo zinco / riscopre lo spazio, / violato per sbaglio.../ le ore / s’incollano, soffici / e vago sapendo / d’avere un’ultima / carta... vincente”. Una silloge che si dipana su un tessuto poetico metaforico e simbolico, dove: Ciliege, Fuga, Maga rossa, La danza, Le cose perdute, i tanti titoli non sono che vibrazioni di un’anima ora rivolta a ripescare innesti di memoria, ora a indagare profeticamente su un mondo di bellezza, di mistero, e infinito in cerca di una soluzione ai quesiti che tanto tormentano il fatto di esistere.

                 E proprio la lirica di chiusura Solstizio d’inverno simboleggia un cammino dove l’acacia smarrita, la rugiada, la voglia, la fiaba, brandelli spariti di gioia non sono che tappe verso un inverno che non conosce pietà: “ ... e gela / anche il cuore; / corteccia leggera / di nebbia avvolge / i ricordi e l’occhio / si ferma del sole: / aspetta il perdono”.

L’Appendice fotografica, originale e vissuta, è degno ausilio iconografico, oggettivazione visiva di tanti stati d’animo che nell’opera  affondano il dito nella piaga del tempo.


Nazario Pardini
           12/ottobre/2002

Nota al "Silenzio del tempo" di Francesco Tassinari

Nota
al libro
Il silenzio del tempo 
di
Francesco Tassinari

Poesia fortemente intimistica ed esistenziale quella di Tassinari, in cui l’uomo è relegato alla sua solitudine, al mistero della vita, al gioco dell’essere e dell’esistere in una notte scura dove ogni individuo è distante dall’altro. “Mi sentii solo” scrive il poeta “e nel giorno che tramontava / rimase soltanto un vago rumore /.../ finché tutto ciò che era / si convertì in silenzio”. Poesia chiara, arrivante, dotata di un eccellente significante metrico che, alternando versi brevi a tirature di più largo respiro, compie una vera simbiosi fra anima e parola.

Nazario Pardini 
20/luglio/2004

Nota al libro "A più dimensioni" di Vladimiro Zucchi

Nota
al libro
A più dimensioni
di 
Vladimiro Zucchi

L’Opera di Vladimiro Zucchi, incentrata su una diacronica ricerca di linguaggi, si innesta su quel tragitto che da sempre ha caratterizzato l’attività poetica dell’autore: scavo di etimi-fonici come involucri di un groviglio esistenziale oggetto-soggetto di ogni ricerca artistica. Allora la parola è tutto? Lo è nell’estetica di Zucchi perché risultato finale di un vissuto, di un pensiero, di un sentire, di una speranza, di un’inquietudine imprigionata in quella circolarità che la parola stessa determina per la sua incompletezza umana a definire il senso. “Oralità sommerse / le viscere i vivi / fremiti del silenzio. Parla / un moto un gesto un battere di ciglia. / Festa di Pentecoste a Babilonia. / Se parla ancora / Oracolo di suoni.” (La non parola)

         Ma Zucchi sa che è proprio della poesia ricercare attraverso l’accostamento misterioso di parole nel loro corpo sintagmatico un varco-speranza verso quell’anello mancante che ci tormenta col suo dilemma. E non manca certamente nel Nostro, sia per la sua consuetudine al verso, sia per la sua pluralità interiore, sia per questa energia misteriosa che lo stesso tende ad assegnare alla parola, quell’equilibrio tra sentire e dire che i momenti più validi dei circuiti letterari hanno decantato e confermato come elemento insostituibile dell’arte. 

 Nazario Pardini

Nota al libro "Ho cucito parole" di Franca Olivo Fusco

Nota
al libro
Ho cucito parole
di
Franca Olivo Fusco
            

Appare dallo stesso titolo e dall’insieme dell’Opera un grande amore per la poesia ma soprattutto una grande attenzione alla scelta di suoni e di aggettivazioni con valore significante. E Franca Olivo Fusco lo fa con una grande padronanza di tecniche e di mezzi espressivi da riuscire veramente a vestire pensieri con immagini chiare e lampeggianti. Ora ricorre al mare “Questo mare è un po' / come la vita che un giorno / ti blandisce, ti corteggia / e un altro ti travolge, / ti violenta.” (Brusco risveglio), ora ai fiori “I fiori recisi / muoiono due volte.” (Non coglierò), ora più precisamente alle rose “Il vento potrà spezzarle, / ... / Ma hanno la certezza / di tornare” (Rose di maggio), ora agli alberi “Soffrono gli alberi / ... / mentre il cielo, sereno, / assiste all’agonia.” (Anche gli alberi soffrono). E gli esempi potrebbero ripetersi all’infinito in questa bella plaquette, dove il linguaggio metaforico si fa corpo di quelle immagini naturali che simboleggiano la vita esistenziale dell’autrice. I costrutti, poi, brevi e incisivi, tutti volti a potenziare i significati ora con ritmi anapestici, ora con ritmi dattilici, ora con aumentazioni, ora con inversioni, sortiscono quella simbiosi tra tecnica di cucito e stoffa, elemento indispensabile per cucire parole e vestire pensieri.

Nazario Pardini 


Nota al libro "Il viaggio impossibile" di Dario Ghezzo

Nota
al libro 
Il viaggio impossibile
di
Dario Ghezzo 
     

Il viaggio impossibile si articola su un percorso costellato di piccole, grandi cose, sogni, pianti, grida, iperboli, immagini che costantemente vengono rievocate e amplificate dalla memoria. “E andremo tutti insieme / sino a dove incominciano le stoppie / alla fine del campo di trifoglio rosso / sulla strada del Cielo.../ al di là delle tenebre insondabili / oltre il vuoto che inghiotte”. (Il viaggio impossibile) E il Viaggio è impreziosito da luoghi remoti, da crepuscoli di ricordi, da arcobaleni di sogni, da raggi luminosi, da vele toccate dal sole. Ed è proprio attraverso queste luminazioni che l’autore arriva con l’anima a “percorrere la pista / fino alla sua conclusione polverosa / ascoltando dall’altra riva del fiume / le voci della vita portate dal vento /.../” (Prima della notte). Ghezzo rende così possibile il suo viaggio  attraverso una poesia limpida, forgiata su costrutti metrici brevi, incisivi, orditi musicalmente su un lirismo di grande spessore emotivo.


Nazario Pardini

Nota al libro "Radici e ali" di Michele Battaglino

Nota
al libro
Radici e ali
di
Michele Battaglino


L’opera di Michele Battaglino divisa in tre sezioni (Reminiscenze, Oltre il visibile, Pisa e dintorni) si distende su un ordito vario e articolato che denota abilità tecnica nella tessitura di costrutti di notevole armonia. Ma è soprattutto la grande padronanza verbale, il grande spessore tecnico-linguistico, che bene accompagnano le tematiche più varie (umana, psicologica, zoologica, botanica), a fare di questa opera una vera cesellatura della storia interiore del poeta. E se assonanze, allitterazioni, e accorgimenti fonici vivacizzano i contenuti di spessore analitico-descrittivo, non meno vi ha influenza il sapore classicheggiante dell’uso della parola.
Il sentiero tra i rovi, il ciglio, la costa, Ripa d’Api, Mio nonno, Il Vallone dei Greci, la menta, il lauro, S. Antonio Abate sono tante immagini che concretizzano i vari momenti dell’anima dell’autore. In Battaglino è la natura che parla coi suoi idilli e che si fa serbatoio al quale il poeta attinge per tracciare allegoricamente la propria storia. E il panismo simbolico-descrittivo è quasi rifugio-alcova dove trasferire certe inquietudini esistenziali: “Si dimena l’uomo in tale groviglio / a cercare una bussola / una misura di giustificazione / e sovente si perde.” 

Nazario Pardini
25/settembre/2008

Nota al libro "Diplopie" di Domenico Lombardi

Nota
al libro
Diplopie
di
Domenico Lombardi



Poesia nitida, chiara quella di Lombardi che sa avvincere il lettore con versi spontanei, ma nello stesso tempo alimentati da malizia tecnica, spessore verbale, e da costrutti orientati verso una marcata e puntuale interiorizzazione. Diplopie: il difetto visivo di vedere gli oggetti sdoppiati nel poeta si trasforma in invenzione allegorico creativa di prim’ordine: “Che meraviglia vedere due volte / nello stesso momento / Federica e Francesca, / il sole, i campi d’infanzia / occhi che inseguono / aquiloni bandiere di pace / nel vento.” La poesia è vita per Lombardi, vita che si aggrappa ora al memoriale, ora al reale e vi ritrova momenti di abbandono. Nostalgie che con forza evocativa tornano a vivere fisicamente nei luoghi e nei paesaggi, nelle piccole e grandi cose che tutte assieme danno corpo al nostro esistere. La silloge si divide in tre sottotitoli: per Nome, per Tempo, per Luogo. Ed ogni nome, ogni figura, ogni ambito di tempo (da Lorenza a Charlie Gaul, da Candela a Paesi di pane, da Capalbio a Pianosa) si fanno momenti di vita, corpi in cui si involucrano le tensioni esistenziali del poeta.


Nazario Pardini
25/settembre/2008

Nota al libro "Labirinti" di Gianna Sallustio

Nota
al libro
Labirinti
di
Gianna Sallustio


La poesia di Gianna Sallustio è contraddistinta da una grande maestria metrica di alto spessore tecnico. I versi, spesso ellittici, sono espressione di una densità di contenuti, messi in evidenza da costruzioni anastrofiche che rivelano un importante uso del significante metrico ad accompagnare gli spartiti dell’anima. E sempre in questa silloge forma e contenuti in simbiosi.
Labirinti: sono i labirinti della vita, non senza fughe in cerca di momenti appaganti le nostre solitudini, ma pur sempre fughe che finiscono in dedalici recinti senza sbocco: “La melodia /.../ All’UNIVERSO / l’animo spalanca: / Che ritorni innocente / a contrastare solerte / il fascino della sconfitta.” Forse è il pensiero di questo labirinto che ci spinge a lanciare un messaggio, una storia, pur anche foscoliana, oltre noi; o ad aggrapparci a un’isola, a un mondo, o perché no, alla poesia stessa eternatrice, che scongiuri la notte, nella voce di Dario: “...io cerco Dio anche se non l’ho ancora / trovato. / Lo invoco perché l’idea dell’al di là / senza nulla, mi fa orrore”.
Paesaggi, ambienti, personaggi, commiati, affetti, concerti, aneliti tutto si amalgama e concretizza la storia di un’anima racchiusa in una vita. Ma per la Sallustio pur sempre “Sfavillano scaglie di stelle / riverberi d’Eternità.”

Nazario Pardini

25/settembre/2008

Nota alla Silloge "Segreti" di Maria Teresa Landi

Nota
alla Silloge 
Segreti
di
Maria Teresa Landi



La poesia di Maria Teresa Landi è vita, e il verso ritrae l’essere e l’esistere in quella diacronica evoluzione che è l’esistenza.

E tutto volge a illuminare questo cammino, a renderlo visivo, percepibile, memoriale, e reale. Ed è il profondo attaccamento alla natura, ai suoi ambiti a dare risalto a questo dipanarsi di sentimenti: il sole, le nuvole spesse, i monti puliti, il rosso dei tetti sono tutti elementi di un panismo vissuto, portavoce dell’anima dell’autrice. Le cose si fanno veste, colore, involucro di brandelli d’anima tendenti a declinarsi metaforicamente in voci e silenzi, in albe e tramonti. Così la stella, il mare, il battello, la prua non sono altro che concretizzazioni allegoriche di un sentire che si offre in maniera ora nascosta ora diretta alla sensibilità del lettore.

Ne emergono riflessioni spontanee, rafforzate da una moderna versificazione, sulle vicissitudini umane, non senza vibrazioni d’inquietudine esistenziale sulla sorte del vivere: [“/ ... / il tempo scorre veloce / nel bene e nel male / e lascia allo sguardo / deluso dall’oggi / l’agro ricordo / di giorni lontani”].


Nazario Pardini
25/settembre/2008

Nota al libro "Uno spiraglio d'azzurro" di Dario Ghezzo

Nota
al libro
Uno spiraglio d'azzurro
di
Dario Ghezzo
  

Giulio Dario Ghezzo utilizza, con una cifra stilistica delicata ed intimistica, la natura per ritrattare se stesso. Ed ogni ambito naturale ( veli di rugiada, cuscini d’erba, lune vagabonde, brividi di vento ...) rappresenta un segmento dell’animo dell’autore.

Dal suo linguaggio quindi, allegorico e suggestivo, affiora “uno spiraglio d’azzurro / nella fitta pioggia sottile / che cancella ogni lacrima”.

Il memoriale, il sentimento eracliteo della precarietà dell’esistere (smarrisce il tempo negli sprazzi / di un giorno / come la tempesta / o il lampo / in uno spazio deserto ...) e un senso di spleen (Fiori tra le pietre / sfiorano rughe solcate / dall’ombra del tempo / dove danza la malinconia...) si alternano nell’anima dell’autore a combinare un substrato esistenziale, leit motif di un lirismo coinvolgente.


Nazario Pardini

Nota al libro "All'alba della sera" di Alberto Averini

Nota
al libro
All'alba della sera
di
Alberto Averini
                

E’ nella complessità della vita, ma soprattutto nel suo divenire, nella sua precarietà, nella coscienza dell’essere e dell’esistere alimentatrice di melanconia, memoriale, spleen, che si snoda la poesia di questa plaquette. I versi si dipanano su uno spartito vario e articolato, fatto di trame ora brevi ora ampie ad accompagnare l’altalena delle vibrazioni interiori. 

Ci si aggrappa al ricordo di cose preziose, di giorni fuggiti, e ne facciamo un tesoro di vita vera, filtrata dal tempo, che torna a esistere con un potere da nirvana edenico e rifugio a un esistenzialismo che ci inquieta; e così, secondo Alvini: “Vedrò altri giorni, ed altri notti ancora, / e le alterne stagioni, / ma nel vento di marzo udrò cantare / tra parole divise o solitarie / ... / la voglia di vita / nel tramonto odoroso della sera”. 


Nazario Pardini
25/settembre/2007

Nota alla Silloge "Storie lungo il fiume" di Elisabetta De Fanti

                                                                                  Nota
                                              alla Silloge
                                      Storie lungo il fiume 
                                                  di
                                  Elisabetta De Fanti
                        
Silloge varia, intensa per le sue storie, per l’intimità di grande spessore, per la parola meditata e scolpita nel cuore dei canti. E l’amore, la sorte, la natura con la sua forza allegorica dispiegata sul corso di un fiume, tanto rassomigliano alla storia di una vita. La voce dei rami, delle acque, il calore della terra, le solitudini diverse, Saura, Aligi, Annamelia, tante vicissitudini di un’anima che tende a configurarsi in ambiti concreti con una poesia musicalmente e liricamente avvincente.

Nazario Pardini
25/settembre/2004

Nota alla Silloge "I fiori che non vissero" di Lorella Nardi

Nota
alla Silloge
I fiori che non vissero
di
                    Lorella Nardi                      

La silloge si snoda su un percorso soggettivo e velato di una sottile melanconia che mai scade in uno sfogo di eccessivo sentimentalismo. L’autrice si serve della natura, dei luoghi, delle stagioni per concretizzare il suo mondo: e la musicalità di una canzone d’autunno, o la caducità del tempo lungo gli argini desolati del fiume si fanno metafora della vita. Qui il cuore trova pace tra lacrime di nebbia. Tutto è effimero come l’aroma della violetta essiccata che potrebbe sbucarti dalle dita solo un attimo, poi si farà polvere. Troppo in fretta si spense l’eco dei nostri passi afferma l’autrice, a cui manca il coraggio dei fiori o forse solo l’incoscienza del loro esserci


Nazario Pardini
25 settembre 2004

Nota al libro "Verticalità" di Sandro Angelucci

Nota
al libro
Verticalità
di
Sandro Angelucci

 
Poesia dell’ascesa, della totalità, dell’aspirazione a un volo alto, illuminato, anche se indefinito. Il volo che il poeta cerca di intraprendere per liberarsi della materia e del vuoto e per librarsi in cerca del tutto che è negato all’uomo in quanto fragile e umanamente terreno. Il poeta vede nella poesia l’arte sublime, la possibilità di un cammino che più si avvicini all’inarrivabile. La plaquette si suddivide in due sottotitoli: Dell’anima e della ferita, Del cielo e della parola. E già nei versi della prima poesia che dà il titolo all’opera, si avverte il desiderio di Assoluto, che in Angelucci si fa spleen, inquietudine esistenziale, se riferito alla caducità dell’essere e dell’esistere: “Sogno di cielo / che vince la gravità dei corpi / che a volte s’inabissa e poi risorge. / Fiamma che sale. / Brace che si accende”. Ed è proprio il tutto che per esistere necessita del vuoto, e ci rende inquieti e inappagati: “Il tutto che per esistere / necessita del vuoto / il vuoto “santo” della divinità, / del nostro dramma, / del canto di Turoldo”. I contenuti di questa plaquette filosofico-esistenziali, che ci richiamano alla Bellezza di Platone, sono sorretti da uno spartito versificatorio di settenari, o endecasillabi, o endecasillabi spezzati, o di versi di minor quantità, che, utilizzati con grande perizia tecnica, costituiscono un importante significante metrico a dare forza e colore al fulgore delle immagini.



Nazario Pardini
Pisa, 25 settembre 2010 

Nota a "Meditazioni minime" di B. Todaro

Nota
al libro
Meditazioni minime
di
B. Todaro
     

L’opera di B. Todaro costituisce la più evidente dimostrazione di quanto sia infinitamente sottile per non dire nulla la distinzione tra prosa e poesia quando il linguaggio attinge da un’anima toccata da uno stato di grazia. Ed è sorprendente come l’autore riesca a trattare il quotidiano con una effusione talmente lirica da renderlo al contempo strumento d’amore e terreno e divino. /Bella, Sicilia mia e aulente, prediletta perla dell’Italico giardino, ridi nelle tue marine, .......inondi col profumo che sale dalle zagare in fiore che i tuoi figli ardenti respirano con voluttà irrefrenabile./

/Il globo sanguigno del sole s’è inabissato lontano./ /Vivere bisogna per un amore che guidi, che infiammi, che incoraggi a viverla questa vita./ Che cosa altrimenti sarebbe vivere se non morire ogni giorno? /Scende nell’anima quest’odore di buon fieno appena sagato, e la conforta e la rischiara dicendole che ancora nel mondo c’è pace, ci sono ancora oasi di pace./ Ogni suono, ogni affetto, ogni immagine sedimentati nell’anima dell’autore si ridestano fino ad investirci con prepotente dolcezza. Tutto attraverso un sentimento di panico spessore si dona ad un fervore penetrante che si allarga avidamente e con sicurezza verbale in un respiro di feconda e sublimante contemplazione. /Oh, allora, sì allora amalo il tuo amore e forte e in lui confida e in lui il cuore sì pure abbandona, che è lui lo sposo tuo diletto di ieri, di oggi, di sempre, e che Iddio t’ha dato, pei giorni lieti e tristi di tua vita./“ B. Todaro prega e insegna a pregare” dice M. G. Lenisa. Io aggiungerei “B. Todaro ci insegna ad amare, del terreno, il più piccolo barlume fino a farcelo brillare come barbaglio divino.”


Nazario Pardini
Arena Metato 27/02/1999


Nota al libro "Sul mio cammino" di Adriano Bottarelli

Nota
al libro
Sul mio cammino
di
Adriano Bottarelli
                     

La natura e il memoriale sono il lit motif della poesia di Bottarelli. L’autore si racconta tramite le cose, si rivela attraverso verdi alghe, coralli di cielo, ansie di fioritura, siepi d’orto, alberi spogli.

E le raffigurazioni fenomeniche non sono altro che la metafora di un memoriale che si fa nuova vita, come grappoli di sogni che scivolano dalle viscere dell’animosa sera. Il linguaggio, così, assume un registro spesso simbolico, ricorrendo a un paesaggio mai come semplice pretesto descrittivo.


Nazario Pardini

Nota al libro "Il silenzio del tempo" di Francesco Tassinari

Nota
al libro
Il silenzio del tempo
di
Francesco Tassinari
                        

Poesia fortemente intimistica ed esistenziale quella di Tassinari, in cui l’uomo è relegato alla sua solitudine, al mistero della vita, al gioco dell’essere e dell’esistere in una notte scura dove ogni individuo è distante dall’altro. “Mi sentii solo” scrive il poeta “e nel giorno che tramontava / rimase soltanto un vago rumore /.../ finché tutto ciò che era / si convertì in silenzio”. Poesia chiara, arrivante, dotata di un eccellente significante metrico che, alternando versi brevi a tirature di più largo respiro, compie una vera simbiosi fra anima e parola.

Nazario Pardini 

Nota al libro "Epigrammi per Lesbia" di Alfredo Lucifero

Nota
al libro
Epigrammi per Lesbia
di
Alfredo Lucifero
                     

Nella plaquette Epigrammi per Lesbia (quale simbolo più efficace per un “canzoniere d’amore”) il senso di caducità della vita e il forte sentimento di appartenenza si fanno motivi centrali; il poetare, che ricorre a immagini di una natura coinvolgente per la sua icastica paesaggistica, è metafora di una esistenza che in breve conosce e le ombre della sera e l’incertezza della nebbia d’estate: “e scompaiamo come stelle cadenti / nella nebbia d’estate”. “Non portarmi via / il regalo di questi giorni” scrive il poeta.

Opera fortemente lirica quella di Lucifero, che, cosciente della fugacità del tempo, invita coi suoi versi a viverlo nella spontaneità e nell’offerta di bellezza e d’amore. I misteri sono molti e grandi le problematiche esistenziali; per questo bisogna essere parte dell’universo con fiducia. O almeno senza troppe domande. Come annota Alberto Caramella nella postfazione. “E’ un miraggio la vita immortale” afferma l’autore e “fuggevoli attimi / quando la vita si spegne”.


Nazario Pardini
Settembre 2004

Nota alla Silloge "Ombre e bagliori" di Alda Magnani

Nota
alla Silloge
Ombre e bagliori
di
Alda Magnani

La silloge di Alda Magnani di ventitre poesie distribuite su un tracciato vario e articolato è sorretta da una struttura metrica che denota grande esperienza poetica. L’endecasillabo di solito si alterna a metri brevi o a misure larghe per accentuare momenti   di grande intensità lirica, soffi fragranti di natura e umanità. E mentre l’Alba rinverdisce le grigie colline del sogno o il viso del Clochard è una mappa di rughe,  nel grigio dell’autunno che avvolge l’autrice ormai non c’è più posto per i sogni e i progetti. Ma è nel memoriale che il verso si distende ancora più armonico e suadente a rinnovare immagini di grande spessore poetico: Io vi ripenso ancora, sere di tardo autunno, / dentro le mura amiche.


Nazario Pardini

Nota al libro "Album" di Giuseppina Longo Bartolini

Nota
al libro
Album
di
Giuseppina Luongo Bartolini
                                 Poesie dell’amore


Poema dell’amore Album, nel quale la parola domina con la sua intensità, e con i suoi legami imprevisti e imprevedibili in uno stilema nuovo, fatto di un fluire ininterrotto, dove l’interpunzione stessa sarebbe di ostacolo al bisogno dell’autrice di dilatare il termine, tesa, come è, ad abbracciare un senso che sorpassa il limen entro cui ci imprigiona la scrittura stessa. La Luongo Bartolini si serve di ogni cifra fonetico-verbale per rompere un terreno,  inaccettabile, piatto esistere, cosciente che “poetare significa annientare un giorno della vita, ovvero morire un po’” come afferma Mallarmé. E dalla vita stessa trae quella linfa che è forza suprema d’amore “... a scongiurare il / diniego e la perdita la scomparsa e il / vano flusso delle stagioni e dell’eredità”. “Poetessa, la Luongo, modernissima che incessantemente rimodella il moderno”, scrive Armando Saveriano, azzardando, direi, l’oltreumano della passione terrena, quando “i pendagli di un / sole intramontabile ... / scatenato precipita nella voragine aperta / sui battenti oscillanti e trepidi del buio”.


Nazario Pardini

Settembre 2010

Nota al libro "Ci sono tempi" di Emanuele Occhipinti

Nota
al libro
Ci sono tempi
di
Emanuele Occhipinti
  

E’ la prima poesia a dare il titolo alla raccolta: Ci sono tempi. Ed è qui il leit motiv dell’opera, il dipanarsi leggero e impercettibile di un tempo che nella sua varietà racchiude momenti e frammenti importanti della nostra esistenza. Ci sono tempi che allevano chimere, e il sole ti bacia, la  luna ti sorride, e “le stelle ti irrorano rugiade di fiabe”. Ma “Ci sono tempi che sciamano nel vuoto / e oceani di nebbia ti immergono nel buio [ …] le mani aggrovigliano fili di pianto / pesi di catene ti sfibrano i pensieri / e i passi calpestano grumi di fango”. Nel suo libro Occhipinti si fa uomo, uomo sensibile, universalmente fragile e cosciente della sua fragilità in quanto essere toccato dalle frecce della vita; e la solitudine, il memoriale, il tramonto, le pupille avide di luce in cerca di un approdo che scampi al naufragio sono tanti momenti di un percorso esistenziale che da soggettivo si fa oggettivo e ricco di inquietudini e vibrazioni terrene. La seconda parte dell’opera è costituita da 150 terzine che in maniera incisiva e sintetica fissano dei momenti di vita sotto un profilo etico, sociale, religioso, sentimentale, risultando vere pennellate di situazioni umane.  


Nazario Pardini
Aretato 25/07/2010


Nota al libro "Solitudini" di Umberto Cerio

 Nota
al libro
Solitudini
di
Umberto Cerio


La letteratura tutta è costellata del sentimento di solitudine: solitudine come spleen, solitudine come riposo e ricerca di un alcova memoriale dove sperdere le nostre inquietudini, solitudine come immedesimazione leopardiana e contemplazione dell’esterno infinito dove smarrire noi stessi, solitudine romantica di fronte a un mare simbolo di libertà e di “smisura” che ci assorba e ci appaghi in questa avidità di spazi inappagabile. E queste sono le solitudini di Umberto Cerio che con grande maestria di simbiotica fusione tra versificazione e contenuti costruisce dei veri poemetti che spaziano dall’umano al mitologico, facendo di quest’ultimo una vera attualizzazione di supporto esistenziale. E quale miglior simbolo di solitudine della storia di Ulisse. E proprio in Itaca si attua la magica esplosione della parola fattasi poesia. Quale analogia migliore col dipanarsi della vita che questi versi pregni di tanto sgorgo lirico: “Non troverò Laerte / né il vecchio Eumeo né il candido gregge / non il mio vecchio cane ad aspettarmi. / Ma più non c’è Itaca / che ho fondato nei miei sogni / con animo fervido, / con furore d’inconscia adolescenza.”.   “Ed anche noi, aedi – dice il poeta – cerchiamo la parola / e il verbo che ci salvi dal naufragio”. E forse per Cerio è proprio la solitudine dell’uomo ad alimentare il verbo della poesia.


Nazario Pardini
Arena Metato 24/07/2010

Nota alla Silloge "Il filo del ricordo" di Maria Ebe Argenti

Nota
alla silloge
Il filo del ricordo
di
Maria Ebe Argenti


 
Come dal titolo è il memoriale a costituire il leit motiv della silloge di Maria Ebe Argenti. Ricordi che ora più sottili, ora più esplosivi tornano a farsi vivi per concretizzarsi in fertili paesi, in parti di cielo, in cigolare di catene, in orti stesi al sole, in impasti a lievitare. E l’autrice rivuole la sua parte di vita, passata troppo in fretta: “rivoglio il cigolare di catene / nel sollevare il secchio dal profondo / con il suo traboccare d’acqua fresca / e placare dell’Anima la sete”. Si fanno vive le cose semplici che magari un tempo non apprezzavamo, ma che ora tornano fasciate da un alone di nostalgia a nutrire, in forma di immagini sacre, il serbatoio della poesia: “Era il profumo delle cose semplici, / del caffellatte caldo nella tazza, / del pane abbrustolito sulla stufa / a riscaldare l’aria dell’ambiente / un’aria che sapeva di carezze / e di felicità fatta di niente”. I contenuti fortemente sentiti e metabolizzati in quadri di grande spessore lirico sono supportati dall’impiego di endecasillabi fluenti e suasivi.


Nazario Pardini
Arena Metato 22/07/2010