E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
venerdì 29 agosto 2025
lunedì 25 agosto 2025
Cinzia Baldazzi legge «Incubazione» di Giuseppe Guidolin
di Giuseppe Guidolin
Tu sei l’ombra
la luce segreta
vortice indomito
di lune d’argento
scalfite in clessidre
tra le ali dell’anima
tu sei terra
stella che fonde
sogni svezzati
nell’incisa sorgente
di semi in attesa
tra le radici del cuore
Il “discorso amoroso” di Giuseppe Guidolin
di Cinzia Baldazzi
Se in una poesia sin dall’incipit apprendo di essere l’interlocutrice
del messaggio - peraltro in modalità retoriche palesi, coincidenti con
l’esplicito «Tu» - allora, ben consapevole del rapporto stretto di ogni atto di
ποίησις (pòiesis) con il microcosmo
di riferimento, il primo enigma da risolvere suppongo sia scoprire dove si celi
il cuore che batte, caratteristico della τέχνη (tècne) prescelta dallo scrittore, in un discorso immaginario che io
possa condividere con la reale
co-protagonista del componimento.
La metafora d’esordio in
cui vengo coinvolta da Giuseppe Guidolin risiede nell’«ombra», icona nella
quale, magari insieme a voi, potrei identificarmi senza ostacoli: nondimeno,
tra le esperienze sensibili o spirituali così adombrate, conoscendo l’ars del poeta intravedo un orizzonte culturale
connesso a raffinati meccanismi tecnico-semantici, idonei innanzitutto ad
affondare «radici» secolari, benché attuali, in un emozionante paesaggio “sentimentale”.
Ma i sentimenti in sé, l’affectus e l’animus latini, sono
riusciti a sopravvivere integri, alle soglie del terzo millennio, sull’abisso
del passaggio a un’epoca di guerre fratricide e tormentata dal terrorismo? Possiamo
ancora, con l’entusiasmo e la ragione, coltivare nuovi germogli nell’aspettativa
che i semi piantati per generarli rimangano vivi e vitali? Il metodo freudiano,
accanto all’approccio terapeutico e di ricerca psicoanalitica, aiuta a
comprendere quanto le «radici del cuore» di Guidolin siano cresciute anche
grazie allo sviluppo “oscuro” dell’arte nei confronti della distruzione totale,
del quale ciascuna voce di ordine simbolico costituisce il frutto.
Un simile procedimento,
così come è governato dal nostro autore, entra a pieno diritto in una tendenza
più generale delle poetiche degli ultimi decenni di cui Guidolin appare
campione esemplare. La fitta rete di scambi tra i segni-segnali allegorici e la
sfera terrena e immanente è riuscita, tra le righe, a scovare le tracce di un inedito
mystère de l’existence, di una «luce segreta»: poetesse
e poeti ne curano e ne proteggono - per difendersi - l’«incubazione», accentuando
l’oscurità originale dell’enunciato senza però approdare a un mistico e
multiforme universo, anzi rimanendo in ascolto attento e guardingo del fruscio
dei granelli di sabbia delle odierne «clessidre». Numerosi movimenti poetici
hanno intrapreso questo tragitto in un gioco incalzante di buio-luce parallelo
al macrocosmo di Guidolin, in una strategia logico-intuitiva all’altezza di comporre
un mosaico di allusioni intensamente complesse, problematiche, mai però
nichiliste o rinunciatarie, con pagine dedicate all’auspicio del sentimento
amoroso autentico, comunque persistente.
Sul solido margine di un analogo
clima ispirativo compare anche l’assenza di ogni certezza significativa basata
solo sulle ragioni del cuore, poiché il male subdolo dell’odio, della prepotenza,
si affacciano qua e là: da esso nessuno troverà scampo se non mostrando il
coraggio nella riproduzione, nella sopravvivenza ostinata, nei versi di
Guidolin scandite dalla «terra», dalla «sorgente», dai «semi», dalle «radici», il
tutto all’«ombra» di alberi millenari i cui ceppi si alimentano dei doni
benevoli del suolo. In Incubazione predomina il costante successo ottenuto
nell’armonizzare l’intento simbolico-semiotico con il relativo asse referenziale
in brevissimi ed essenziali intervalli sintattici, peculiari dell’espansione di
una vaga aura astratta, inserita nondimeno in una «luce segreta» niente affatto esoterica, lontana da oracoli reconditi
o imperscrutabili.
I versi analizzati sono, dunque,
“d’amore” e ne rappresentano una definizione, un campione tanto chiaro al punto
che nel formularsi cambia struttura se tentiamo di circoscriverlo nello schema severo,
dettagliato di un’area spazio-temporale non del tutto resa conoscibile alla mente,
all’anima. La ποιητική τέχνη (poietiké
tècne), del resto, in sintonia con ogni fisionomia artistica, promuove una
visione del mondo mai del tutto esplicita, poiché coltiva e custodisce contenuti
non provenienti dalla veritas
razionale. Fenomeno più ampio della scena umana, unito alla poësis, l’amore richiede una lunga
maturazione per comporre un arco, un angolo giro nel quale, se non manteniamo l’opportuno
riserbo, tutto sfuma nel momento in cui si completa e, in un rapido transito
non adeguato, l’ombra preziosa svanisce, ogni indizio scompare.
Io stessa, o meglio noi, in
Incubazione seguiamo i primi passi della vita, collocati in un’ansiosa opacitas, interposti tra il bianco
lucente della verità cristallina (le «lune d’argento») e la forza di passioni penetranti,
quell’impeto «indomito» di concretezza là dove tutto ha inizio, dove ha sede l’ἀρχή
(archè) con il ritmato alternarsi di
aurore e crepuscoli scandito dalle clessidre, segnali del dio Κρόνος (Krònos) che trascorre mentre la venatura
del nero ha appena imparato a separarsi dai raggi solari.
È vero, la poesia di
Guidolin sembra indugiare su un’immagine femminile (la donna «terra» e «stella»),
ma una simile sponda rivela un carattere più complesso. Traccia esemplare di una
tematica consona la riscontriamo nella mitologia sovrana, con il rito celebrato
per Ἀφροδίτη (Afrodìte): la dea greca
dell’amore era discendente di Ishtar o Astart, ancestrali numi mediterranei e
orientali, ma onorava spesso i generi sessuali confusi, con i maschi incaricati
di interpretare il ruolo delle donne partorienti. Un gruppo di soldati
mercenari Sciti (nomadi stanziati nell’Eurasia settentrionale), dopo aver profanato
il santuario di Ascalona, furono colpiti da un oscuro morbo incurabile, per
ridursi a una pallida «ombra» di ciò che erano, trasformati in eunuchi. Infine,
proprio al chiarore delle «lune» argentee, nell’arcaica cultura sorta a Cipro i
fedeli di Afrodite, per venerarla, vestivano per una notte gli abiti dell’altro
sesso, restituendoli all’alba.
Gli antichi orologi ad
acqua egiziano-babilonesi, chissà, potrebbero ricordare tutto ciò allo scopo di
perpetuarne il grande, «indomito» slancio di libertà. A quale libertas aspira, però, l’interlocutrice
o l’interlocutore di Giuseppe Guidolin? Il progetto di esaudire il “pozzo dei
desideri”? Credo si intenda, al contrario, sfatare la connessione tra il volere
individuale e gli altri stati mentali con cui può essere frainteso, per tradire
così la σκιά (skìa-foschia) della discrezione, del
sacrificio. La «ali» della libertà perseguita dal poeta equivalgono agli spazi
dell’«anima», dominatori dell’illusione e della speranza, più forti delle correspondances imposte o al momento
convenienti.
Torna alla mente il
racconto mitico di Orfeo: ammansì Cerbero, spaventoso cane alle porte dell’Ade,
visitò le “ombre” eterne dei defunti, mentre ancora umanamente piangevano e,
con la bellezza della parola poetica, commosse i Signori degli Inferi i quali permisero
alla sposa Euridice di tornare tra i viventi. Eppure, quando l’intrepido eroe
fu ammonito di non voltarsi indietro, l’impulso di sentirsi libero prevalse:
forse non in virtù del μῦθος (miùthos)
tramandato nella storia, consistente nel ritenere che, qualora si decida di
volgersi alle tenebre anziché guardare avanti la luce del mondo terreno, si
venga risucchiati nel baratro della disobbedienza. Credo piuttosto a una
differente motivazione: Orfeo, nel credersi ormai salvo, dopo essersi occupato
degli altri mirava a prendersi cura di sé, della propria personale ideologia di
ἔρως (èros) e θάνατος (thànatos) sperimentata
nell’«incubazione» al grado zero del suo angolo giro, dove sono rispettate la
riconoscenza, la fiducia, l’attesa migliore, tenera, infantile cartilagine
dell’èra neonata della «terra».
In Guidolin, sulla strada
di un percorso coerente, assistiamo insieme, tra le «ali dell’anima», al
contrappunto dello smarrirsi in un paesaggio popolato da una natura quotidiana
e notturna, carente di responsabilità. L’appello è molto chiaro: «tu sei terra
/ stella che fonde / sogni svezzati». Ma da cosa, mi chiedo, l’autore vorrebbe
disabituare le nostre visioni oniriche? Dall’assillante timore
dell’immodificabile, del fatidico legame causa-effetto nel quale, in procinto di
una “nascita”, non possiamo annullare la freccia del tempo, con il passato
immutato, inciso nell’unica «sorgente»: e, purtroppo, trovando di conseguenza proiettato
un futuro anch’esso assurdo e pregiudiziale, frutto di disimpegno, di insano fatalismo.
Occorre un’enorme padronanza per smentire un tale convincimento, malgrado molti
letterati contemporanei abbiano saputo diventare esperti dei loro argomenti pur
coltivando l’obiettivo di diventarlo il meno possibile in senso prettamente
contenutistico, meritocratico.
Per l’esattezza, non garantisco
che Guidolin pensi di essere uno scrittore di poesie d’amore: se glielo
chiedessi, forse lo negherebbe, anche perché, con riferimento a un’ideale
tabella degli standard dell’industria
culturale, a proposito del discorso amoroso emergerebbe un panorama esegetico semplificatorio,
tipico di un circuito di pertinenza nutrito non tanto dall’informazione (tecniche
linguistiche su eros, fedeltà, passione, inganno, istinto genitoriale) quanto dalla
ricerca assidua di competenze allargate, generiche, fin troppo sostituibili, inclini
ad associarsi persino agli elementi opposti.
Sulla «incubazione» così
elaborata e gestita dal nostro autore, accanto all’essere preparati ad
affrontarla e rielaborarla, per concludere cito un aneddoto su Eugenio Montale
riportato dalla studiosa Francesca Pansa: «A un’intervistatrice che lo
interrogava sul tema con il feroce candore di cui era capace, una volta
rispose: “Che vuole che ne sappia, signorina, di questi argomenti, che vuole
che ne sappia dell’amore?”». Sono le parole del poeta - “incompetente” per
eccellenza - di memorabili versi erotici fondati su un bagliore, un energico
incombere del desiderio come assenza del destino sull’uomo, il quale preferisce
attendere invece di spegnersi in un’ipotetica catastrofe nel suo «vortice
indomito».
Cinzia Baldazzi
Giuseppe Guidolin (1961), nato
a Vicenza, dopo aver conseguito la maturità scientifica nella sua città ha
svolto studi di Astronomia presso l’Università di Padova.
«Mi considero uno
spirito eclettico, curioso e sensibile, un po' incline all’intimismo. Amo la
poesia in quanto mezzo capace di esprimere al massimo le possibilità
“visionarie” della parola. Prediligo l’essenzialità della poesia ermetica,
oltre all’immediatezza e profondità dei componimenti zen giapponesi e della
tradizione orientale».
Tra i poeti che maggiormente lo hanno
ispirato e influenzato figurano Giuseppe Ungaretti, Federico Garcia Lorca,
Rabindranath Tagore, Jalāl al-Dīn Rūmī.
Ha pubblicato varie raccolte di
poesie: dopo l’esordio con Effetto farfalla (Montedit, 2000), appaiono Fuga a Samarcanda (2002) e Sizigie
(2003), entrambe pubblicate da Libroitaliano World. A seguire, Farfalle
nello stomaco (Ismecalibri, 2010), Nutazioni (Pagine, 2014), Le
intermittenze dei petali (Fusibilialibri, 2017), Eufonie (Aletti, 2018). Le
effemeridi del cuore (Aletti, 2023) è un libro di poesie
bilingue con traduzioni in arabo a cura di Hafez Haidar.
Ha conseguito numerosi primi
premi nei concorsi letterari, tra cui “Scrivere” (Roma, 2008), “Il
Calamaio d’Argento: Universo in Versi” (Calcata, VT, 2019), “Parole in
transito” (Limbiate, MB, 2025). Nel 2014 è tra i vincitori del Premio “Mimesis”
di Poesia (Itri, LT).
Appassionato di fotografia, ha ottenuto
lusinghieri successi in concorsi di poesia abbinata all’arte fotografica. Sue liriche
sono inserite e recensite in antologie specializzate, altre tradotte in
inglese, francese, rumeno, sardo nuorese, arabo. Prefazioni e contributi
critici sono apparsi in libri di poesia e in riviste online e cartacee di
carattere artistico-letterario.
Sandro Angelucci legge :" FALCONE E VESPAZIANI "
L’autrice,
Amalia Mancini, (non nuova a questo genere di scrittura) si occupa questa volta
di una vicenda familiare, in quanto tratta della straordinaria collaborazione
umana e professionale tra suo zio, l’avvocato Giovanni Vespaziani, e il
magistrato Giovanni Falcone.
I
fatti sono riportati in prima persona. Ritengo che la scrittrice abbia voluto
che fosse così per conferire al suo lavoro i caratteri della immediatezza e della
spontaneità. Ossia, piuttosto che fungere da intermediaria, ha - diciamo così -
preferito, tra virgolette, farsi da parte e lasciare l’intera scena a suo zio
ed alla sua non comune esperienza di vita professionale e, soprattutto, di
sincera fratellanza.
Dall’Introduzione:
“Il nome di Giovanni Falcone risuona
ormai nell’orecchio di tutti […] Alcuni […] si limiteranno a conoscere il suo
nome, ma molti altri sapranno indubbiamente che è stato un illustre Magistrato
italiano, celebre per la sua incrollabile dedizione (o meglio la sua epica
Crociata) contro la mafia. Sfortunatamente, sapranno anche che è stato
brutalmente assassinato per mano di Cosa Nostra […] C’è, tuttavia, una storia
che non è mai emersa in modo chiaro sui giornali né in televisione: la storia
d’amicizia fiorita tra Giovanni Falcone e il sottoscritto […] Nelle pagine che
seguono narrerò di alcune imprese edificanti a cui abbiamo partecipato
attivamente, nonché di episodi significativi che hanno rafforzato il nostro
legame in modo indissolubile…”.
Ricorda,
Vespaziani, che tutto cominciò in una calda giornata del 1988; una giornata,
come tante altre, durante la quale il suo lavoro di Presidente dell’ordine
degli Avvocati del Foro di Rieti procedeva regolarmente e nulla lasciava
presagire che una telefonata avrebbe cambiato non solo il corso del giorno ma -
molto più determinatamente - quello della sua stessa vita. All’altro capo del
telefono c’era proprio lui, il paladino
antimafia Giovanni Falcone che, una volta presentatosi, andò direttamente
al dunque proferendo queste parole: “Presidente,
io la devo nominare Difensore di un pentito di mafia, un collaboratore di
giustizia che si trova attualmente nel carcere di Rieti […] Potrebbe anche
delegare un altro avvocato, ma desidero che sia proprio lei a difendere questo
collaboratore”, proseguì.
Non
c’è da sorprendersi se, a tale ascolto, Vespaziani rimase sconvolto. Emozioni
discordanti s’impadronirono della sua persona, preso, come fu, dalla
soddisfazione dell’onore ricevuto ma anche dall’onere che il compito
assegnatogli potesse mettere in pericolo la tranquillità dell’intera sua
famiglia. Rammentò, tuttavia, d’aver giurato che a tutti i costi avrebbe difeso
la legge e la giustizia, e ciò lo indusse ad accettare l’incarico. Solo al
termine della comunicazione telefonica, il magistrato rivelò all’avvocato il
nome del pentito: si trattava di Antonino Calderone, esponente di una nota
famiglia mafiosa di Catania, capeggiata dal fratello maggiore Giuseppe, detto
Pippo.
Seguono
un cospicuo numero di pagine allo stesso Antonino dedicate e un intero capitolo
riguardante la sua testimonianza, opportunamente integrato dalle immagini delle
sue deposizioni e da altri documenti che concernono preziosi frammenti storici,
compresa la corrispondenza fra i due uomini di legge. L’argomento presenta
motivi di sicuro interesse ma non mi soffermerò sugli stessi per dare modo al
lettore di scoprirli da solo. Ciononostante due rivelazioni, che fanno
riflettere, desidero ugualmente riportarle.
La
richiesta del pentito (dopo l’uccisione del fratello) di voler uscire da Cosa
Nostra: istanza puntualmente negata dai Vertici, che lo ritenevano persona
troppo informata e al dentro dell’organizzazione; e la concezione stessa del
mafioso, da non confondersi con il delinquente comune perché superiore al medesimo:
“Noi siamo uomini d’onore - rivela - non tanto perché abbiamo prestato
giuramento, ma perché siamo l’élite della criminalità, siamo peggiori di tutti
[…] Per fare un omicidio non si deve pagare (…) Perché per un uomo d’onore un
omicidio è qualcosa che dà carisma”. Quest’ultima dichiarazione gelò il
sangue nelle vene di Vespaziani, che così scrive: “Ho assistito alla graduale dissoluzione dei principi umani,
all’abbandono della compassione e alla profonda decadenza della moralità.”.
Mi
limito a questi esempi anche perché sollevano (almeno in me è sorta) una
questione d’attualità: “Siamo certi che la Mafia sia ancora tutto questo,
oppure, paradossalmente, abbia subito una degenerazione e anche Cosa Nostra sia
stata, sempre paradossalmente, imbastardita dal crescente potere della logica
del mercato?”. Una domanda che lascio inevasa, ma sulla quale v’invito a
riflettere.
Abbiamo
sinora camminato nelle tenebre di una realtà cruda ed agghiacciante ma è giunto
il momento di guardare all’alba, al sorgere di una speranza che saprà scaldarci
il cuore.
A
darcene l’occasione è il quarto capitolo, quello che, più di ogni altro,
descrive il profondo legame instauratosi tra i due. Sarà Vespaziani stesso a
parlarne: “Ad aver realmente fortificato
il nostro rapporto, e ad avermi fatto crescere sul piano umano, sono stati i
brevi momenti ‘rubati’ in cui mi confrontavo non con Giovanni Falcone, giudice
antimafia, ma con Giovanni Falcone, l’uomo.”.
Sono
episodi comuni quelli che vengono raccontati, non numerosi a causa del poco
tempo libero loro concesso, ma determinanti ai fini della costruzione di una
sicura amicizia, basata su fondamenta di reciproche affinità elettive. Il
ricordo - ad esempio - della caduta, di cui fu protagonista involontario il
Magistrato, diede adito ad una scena comica, tanto ilare quanto istintiva.
Mentre passeggiavano, parlando di lavoro, accadde che Falcone inciampò in una
radice sporgente finendo a terra; la prima reazione dell’avvocato fu quella di
tendergli subito la mano per farlo rialzare ma Falcone era già in piedi. Si
guardarono per un attimo e poi, come presi da qualcosa di contagioso,
scoppiarono a ridere, incuranti di tutto e di tutti. “[…] in quel frangente - afferma Vespaziani - il nostro legame si rafforzò ancora di più […] E nei momenti più drammatici e rischiosi c’erano piccoli ma
significativi scambi di sorrisi, come un segreto condiviso che ci ricordava la
forza indistruttibile della nostra amicizia.”.
Mi
avvio a concludere, non prima però di un’ultima riflessione sui tempi che
stiamo vivendo: il mondo è gravemente ammalato, sotto tutti gli aspetti, e i
soli responsabili siamo noi, gli uomini.
Non voglio fare di tutta l’erba un fascio ma
sono convinto che libri come questo, che educano al rispetto, all’integrità
morale, al valore dei sentimenti, abbiano molto da insegnare a tutti, non
facendoci dimenticare che siamo qui per essere i custodi - non gli aguzzini -
del migliore e più auspicabile futuro.
Sandro
Angelucci
41° EDIZIONE PREMIO NAZIONALE DI POESIA “CESARE ORSINI” Santo Stefano di Magra Loc. Ponzano Superiore La Spezia 21 Settembre 2025 Ore 18.00 __________________________________________
L’Amministrazione Comunale di Santo Stefano di Magra e la Biblioteca Civica “Cesare Arzelà” promuovono la 41° Edizione del Premio Nazionale di Poesia “Cesare Orsini” in lingua italiana.
1. Possono concorrere, poeti italiani e stranieri con un massimo di tre liriche inedite. Ogni lirica non dovrà superare i 50 versi.
2. E’ prevista una sezione ragazzi per composizioni poetiche o racconti di singoli o di gruppi, riservata agli studenti a) Scuole Elementari; b) Scuole Medie Inferiori; c) Scuole Medie Superiori.
3. PREMI-Sez. Luigi Giannoni
1° Classificato Euro 350,00
2° Classificato Euro 250,00
3° Classificato Euro 150,00
Sezione ragazzi-Lucia Mazzoni
1° - 2° - 3° Classificato.
Non verranno assegnati premi in denaro.
4. GIURIA
I nomi della giuria verranno resi noti al momento della premiazione.
5. La premiazione avverrà il 21 Settembre 2025 nel corso di una manifestazione popolare che si svolgerà in Piazza della Chiesa a Ponzano Superiore alla presenza di autorità politiche e della cultura o in altra sede di Ponzano Superiore, in caso di pioggia.
6. Le liriche, di cui una sola recherà in calce nome, cognome, indirizzo dell’autore, n°di telefono (pena l'esclusione dal Concorso) dovranno pervenire nel numero di 7 copie, dattiloscritte o foto-riprodotte, in plichi raccomandati alla Segreteria del Premio “Cesare Orsini”o consegnati a mano al Protocollo del Comune.Tel. 0187/697141 o 0187/697175 Le opere andranno consegnate entro e non oltre il 20/08/2025 al
Palazzo Comunale,
Piazza Matteotti
19037 Santo Stefano di Magra (SP)
7. Notizie sulla manifestazione saranno pubblicate sui quotidiani, settimanali e riviste specializzate
8. Tutti i lavori, premiati e non premiati non saranno restituiti, mentre la partecipazione al concorso implica l’accettazione del presente regolamento
9. A manifestazione avvenuta, come per le edizioni precedenti, la direzione del premio esaminerà la possibilità di pubblicare le liriche con un volume dedicato al Premio.
10. I premiati dovranno ritirare quanto loro assegnato il giorno stesso della manifestazione (di persona o per delega
Parrocchia a San Floriano Martire ( San Pietro in Cariano Verona )
La Parrocchia di San Floriano Martire (VR) con il patrocinio della curia di Verona, dell’Amministrazione Comunale di San Pietro In Cariano (VR) dell’assessorato alla cultura e dell’assessorato al sociale in collaborazione con il Circolo Noi di San Floriano e la Pro Loco di San Pietro In Cariano e il circolo culturale “the dei poeti”
INDICE E ORGANIZZA
Il Premio di Poesia spirituale – religiosa denominato “Carlo Acutis “Prima Edizione.
Il premio si svolge in due sezioni:
Sez. A per i giovani fino al 18° anno non compiuto alla scadenza del concorso.
Sez. B per tutti gli altri.
1) Ogni concorrente può partecipare con 2 poesie con max 40 versi l’una, inedite e in lingua italiana (può essere stata premiata in altri concorsi).
2) Le poesie possono essere in forma libera e senza preclusione alcuna a linee di tendenze espressive e stilistiche
3) Gli elaborati, in due copie, una in forma anonima e l’altra corredata dei dati dell’autore (nome e cognome, indirizzo e numero telefonico), dovranno essere inviati esclusivamente per e-mail a: poesiacarloacutis@gmail.com si prega di allegare la ricevuta dell’avvenuto versamento.
4) Per gli elaborati della sezione A la partecipazione è gratuita. E’ obbligatorio allegare una liberatoria firmata dai genitori o di chi ne fa le veci con data di nascita del partecipante.
5) La scadenza è prorogata fissata per il 30 settembre 2025. Le premiazioni sarà il 5 Dicembre 2025 nel salone della Parrocchia di San Floriano Martire.
6) Per la categoria B il contributo di partecipazione (spese di lettura e segreteria) è fissato in 15 euro da versare tramite Bonifico Bancario intestato a PARROCCHIA DI SAN FLORIANO MARTIRE IBAN IT42C0831560031000000081175 Banca VALPOLICELLA BENACO BANCA CREDITO COOPERATIVO. Indicato nella causale “Partecipazione al concorso Carlo Acutis prima edizione”. (si prega di allegare alla e-mail l’avvenuto pagamento).
7) I nomi della commissione giudicante, il cui giudizio è inappellabile, saranno resi noti all’atto della premiazione. Gli organizzatori si ritengono sollevati da qualsiasi responsabilità o pretesa da parte degli autori o di terze persone. Dell’esito del premio sarà data comunicazione a tutti i concorrenti attraverso e-mail. I premi dovranno essere ritirati personalmente dagli autori o, se autorizzati dal responsabile del concorso, i loro delegati.
8) Premi sez. A
1°classificato (medaglia Papa)
2°classificato (Targa Vescovo)
3°classificato (Targa Parrocchia)
4°-5°-6° diploma di merito
Tutti gli altri diploma di partecipazione
Le prime tre opere saranno tradotte in Inglese, Francese, Tedesco e Spagnolo a cura degli insegnanti e le loro classi degli istituti superiori presenti nel territorio. Tali traduzioni, oltre alla lingua italiana saranno pubblicati su tutti i social.
9) Premi sezione B
1°classificato euro 300 e diploma personalizzato
2°classificato euro 200 e diploma personalizzato
3°classificato euro 150 e diploma personalizzato
4° classificato Targa Assessore alla Cultura
5°classificato Targa Assessore al Sociale
6° classificato Targa Pro Loco di San Pietro In Cariano
7° classificato Targa Circolo Noi San Floriano
Altri premi potranno essere aggiunti da organizzazioni o attività locali
La partecipazione al premio implica l’accettazione del presente regolamento.
Per ulteriori informazioni contattare:
Silvano Zorzi +39 340 0012354
Barbara Aramini +39 345 4903142
Il parroco di San Floriano Responsabile del concorso
Don Amos Chiarello Silvano Zorzi
“Anni d’Argento” Premio di Poesia – XXVII edizione con il patrocinio del Comune di Guardiagrele e del CNS Libertas CONI
REGOLAMENTO
La partecipazione è aperta a tutti i poeti, residenti in Italia o in altro Paese europeo, che abbiano compiuto il sessantesimo anno di età. Si concorre con una sola poesia in lingua italiana di non più di trenta versi, a tema libero, mai pubblicata né premiata in altri concorsi. Ogni composizione, priva di qualsiasi annotazione (dedica, commento, contestualizzazione, …), dovrà pervenire in numero di otto copie anonime e senza il mittente entro il giorno 8 settembre 2025 al seguente indirizzo: Associazione Pensionati Guardiesi “Anna Tantalo” - Via Tripio 73 – 66016 Guardiagrele (CH). Nel plico va inserita pure una busta chiusa in cui l’autrice/autore indicherà cognome e nome, luogo e data di nascita, indirizzo, numero telefonico, eventuale e-mail, dichiarando inoltre che la poesia non è stata già premiata. La quota di partecipazione, per spese di lettura e segreteria, è di € 20,00 (venti), da inviare ben occultati insieme agli elaborati oppure mediante bonifico al seguente numero IBAN IT58R0538777730000004367122 presso B.P.E.R., intestato a Associazione Pensionati Guardiesi; la copia del bonifico sarà inserita nella busta chiusa insieme ai dati anagrafici. Una giuria di esperti esaminerà le poesie e sceglierà le nove finaliste. Fra queste individuerà quelle cui assegnare i seguenti premi: 1° classificato € 400,00 (quattrocento) più targa, 2° classificato € 200,00 (duecento) più targa, 3° classificato € 100,00 (cento) più targa. Agli altri finalisti saranno consegnati medaglie e diplomi di partecipazione. I nomi dei componenti della giuria verranno resi noti nel corso della cerimonia di premiazione che si terrà domenica 28 settembre 2025 alle ore 16.30 nel salone dell’Ente Mostra dell’Artigianato Artistico di Guardiagrele. Il giudizio della giuria è inappellabile. Gli autori prescelti, avvisati in tempo utile, sono tenuti a ritirare, personalmente o tramite delegato, il premio conseguito nel corso della manifestazione conclusiva durante la quale leggeranno le loro poesie che potranno essere pubblicate e divulgate a cura dell’Associazione Pensionati Guardiesi. Guardiagrele 12 maggio 2025. Il Presidente Dottor Lorenzo Cinquino

