sabato 30 luglio 2016

MARIA GRAZIA FERRARIS: "PREGHIERA AL PADRE"



Maria Grazia Ferraris collaboratrice di Lèucade


 Preghiera al Padre


Vorrei essere mite, come i paesaggi d’acque
che consapevolmente hai tanto amato.

Vorrei essere forte come il fuoco dell’officina,
quotidiana fatica col quale hai convissuto.

Vorrei essere generosa come gli inverni di neve,
di silenzi  laboriosi che per te gioivano.

Vorrei essere silenziosa senza impoverirmi di parole
di cui come te sono ingorda e innamorata.  

Vorrei salvare  la compassione, di cui sei stato maestro,
senza stolte inutili false indulgenze.

Vorrei amare, fare voti come se ci fossero dèi,
 risposte certe, sogni  ingenui come i tuoi.

Vorrei avere una casa, una chiave tutta nostra
e te qui con me per riempirla di felice senso.

Vorrei sognarti, padre, sereno come quando
 mattiniero andavi ad erpicare, in solitudine…

Vorrei rivederti, padre, felice, in un giardino a primavera,  
scialo inutile immotivato di luci e di colori. 

Vorrei essere terra in attesa, acqua che scroscia,
vento carezzevole e bizzarro, indelebile carezza.

Vorrei perdonarti, Padre, che troppo presto ho perduto,
del non accordato permesso di andartene.

Mi sento vela sbandata e cerco inutilmente il mare,
esausta pellegrina senza spiaggia né approdo.

Ti penso guardando le eterne onde che vanno e vengono
stanche e gioconde, illuse di qualche senso di vita. (Maria Grazia Ferraris).




 Maria Grazia Ferraris vive a Gavirate; ha insegnato Letteratura italiana e storia nelle scuole medie superiori, si occupa di critica letteraria ed in particolare studia il contributo della scrittura femminile del Novecento. Ha studiato l’opera di G. Rodari giornalista, scrittore e poeta, l’altro Rodari, intervenendo con più contributi nel volume Ricordar Rodari, curato dagli Amici di Fignano di Gavirate, ed. Macchione, 06 e con la pubblicazione del saggio G. Rodari: un fantastico uomo di lago, nel 2010 (studi a trent’anni dalla morte), (premio Giuria, VIA FRANCIGENA, 2011).
Ha curato nel 2009 l’antologica “Omaggio al nostro territorio, ai suoi personaggi, alla sua storia”, ha pubblicato la prima raccolta di poesie Di Acque e di Terra nel 2009, (premio Città di Recco, 2011, CAPIT Roma, 2011, Priamar Savona, 2011), il volume di racconti Lettere mai spedite, ed. Montedit ( finalista premio Prévert 2010)

.  Dieci personaggi femminili del passato e del presente che spiegano in prima persona la vita delle donne: quelle potenti eppur tragiche del passato (Clitennestra, Zenobia di Palmira…), quelle quotidiane eppur tormentate nella loro complessità umana che vivono il presente (Amelia Rosselli, Sylvia Plath, Alda Merini…).
Raccontano i sentimenti più ampi, più umani e anche dolorosi (amore, dedizione, passione, ironia, malinconia, fragilità, solitudine, generosità, disperazione…)
 che accompagnano sempre la vita delle donne ed il loro sguardo plurale,disincantato sul mondo.

- La copertina rappresenta un dipinto di A. Modigliani- Donna con ventaglio- è stato scelto perché a mio parere, questa donna- non bella, non giovane,  non alla moda- comune - è nondimeno bellissima, affascinante ed elegante, intrigante: una donna vera, soltanto donna.

- L’edizione è quella culturale del Porticciolo, presso la litografia  Conti –SP, (Associaz. culturale Il Porticciolo, via Via del Canaletto 146 – 19126 La Spezia, la rivista della dott. Gambini, che ne è la direttrice, e che si è prestata alla stampa).
Ne ho fatto stampare poche copie, a mie spese.  Parte le ho regalate, una parte le ho vendute quando ho presentato i racconti nelle associazioni culturali varesine.
Per chi volesse contattarmi: ferraris.libri@gmail.com



giovedì 28 luglio 2016

martedì 26 luglio 2016

CLAUDIO FIORENTINI: "LA NUOVA PUNTATA DI VISIONI DA CAPTALOONA"

Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade


La nuova puntata di Visioni da Captaloona:

http://www.spreaker.com/user/performingradio/visioni-da-captaloona-25-luglio

N. PARDINI: " E NOI TI DEMMO MORTE"

E noi ti demmo morte

E noi ti demmo morte
con lame affilate nei fianchi
con strumenti devastanti
proprio nei giorni lucidi dell’estate
quando anche i sassi chiamano il sole
e lo invocano le zolle come specchi.

Ti demmo morte
e ne facemmo festa
zuppandoci assatanati nel tuo sangue
dopo avere frantumato le campagne
e ridotto in poltiglia le buttate
che brindavano allegre col maestrale.

E noi ti demmo morte
senza nemmeno piangere, immemori
dei riti tramandati dai pagani
pietosi per i cicli della vita.

E tu amica ci apristi le braccia
quando su noi calò l’ultimo sole.




BENEDETTO MAGGIO: "FERMARE IL TEMPO!"

FERMARE IL TEMPO!

Fermare il tempo
su questa casa, fermare questa sera
sul viso bambino di mio figlio
sulle tenere ciocche di mia figlia,
fermatelo per sempre! Fate
che in una pausa infinita dello spirito
dilaghi quest’attimo fuggente,
che il bagliore dei loro volti lampeggi
a ogni passo,
che mi tafigga ancora per mille anni
il brivido sottile di finestre dischiuse
dietro tende ammiccanti
e il dolce tepore impalpabile
dei profondi respiri
appagati
sotto  morbide coltri.


Benedetto Maggio

lunedì 25 luglio 2016

MARIANO MENNA: "TEMPORALI D'ESTATE"

TEMPORALI D’ESTATE

Il sole lascia posto a un cielo cupo,
squarciato da fulmini e folate
di vento, che ottenebra le strade
e lacrima sul mondo senza indugio.

Avevo già dimenticato il suono
ipnotico della pioggia che cade;
così ogni vita è una lunga estate
di bruschi e devastanti temporali.


Mariano Menna

giovedì 21 luglio 2016

SERENELLA MENICHETTI SU: "LA SUBLIMAZIONE DEL GATTO" DI SALVATORE DOMENICO FURIATI




Serenella Menichetti, collaboratrice di Lèucade

Poesia affascinante quella di Salvatore Domenico Furiati.
Né troppo poesia, né troppo prosa.
Una poesia di frantumi, di specchi deformati?
Una poetica non semplice la sua.
“La poesia è “matematica applicata” scriveva Paul Valery “Matematica  e Poesia, due mondi agli antipodi ma intimamente legati dalla comune necessità di perseguire valori e principi assoluti. Entrambi sono animati da un grande sforzo di astrazione, per rappresentare e comprendere l'uomo e il mondo, superando i limiti del finito.”
Durante la lettura mi scopro seduta sulla poltroncina rossa di un teatro, ad assistere alla successione di varie scene che mi trasportano in un vortice di mistero.
La sublimazione del gatto” il titolo mi conduce al paradosso del gatto di Schrödinger: Il gatto, vivo e morto contemporaneamente. Allo stesso tempo qui e altrove.
Su questa effettiva condizione di possibilità il poeta innesta una dimensione che è radice di più ampie elaborazioni sulla realtà dell'immaginabile.
La riflessione sull'umanità, sulle paure.
“Un mostro che cammina in strada, cani inferociti e rabbiosi gli abbaiano contro la gente scappa impaurita”
Il gatto, il serpente, il ratto, animali con significati mitologici, osservano.
L'orso improvvisa una danza sciamanica. Forse con la speranza di salvare il mondo?
 “L'età del gatto ha il suo tempo, ha trasgredito il presente, presto, presto, presto, scalcerà il passato, veglierà il futuro”
 Il gatto misteriosa creatura e animale senza tempo che non accetta il presente, non considera il passato ma si proietta nel futuro, domina la scena.
Purtroppo il futuro si prospetta cupo e privo di aspettative.
“Bambina saltiamo sul tram non possiamo attendere, sono terminati i piani elaborati”
Il consiglio del gatto è quello di non considerare quei piani che ormai non hanno più senso.
Ma di resettare e tornare alla libertà.  Forse nell'aldilà? Purificarsi e tornare all'origine e poi ricominciare?
I bambini ingenui giocano nel verde del parco” “dal cespuglio si intravede la volpe” “sputa i pennacchi dopo lo sterminio nel pollaio”
Dall'alto di un cornicione il gatto osserva il caos che avviene sulla terra: persone in buonafede ingannate da altre, astute.
“Bisogna decidere da che parte stare.” “La faretra di ognuno deve essere colma, sapere come svuotarla”
Esso consiglia di non vivere in modo superficiale e prendere decisioni avventate.
“Scappiamo a quattro zampe. Siete pronti? Siete pronti?”
Ormai è tardi ed in attesa di una via di scampo, in attesa della salvezza, il gatto si lecca le ferite.
Il tempo è terminato, non rimane altro che scappare.
“Scriveremo nuove pagine di storia” “Soltanto un quadro più grande nient'altro
Nell'ultima scena appare la speranza di un' umanità che riesca a cambiare direzione e scrivere nuove pagine di storia.
Questo sarebbe il quadro più importante.



La sublimazione del gatto

Un mostro che cammina in strada, 
cani inferociti e rabbiosi 
gli abbaiano contro. 
La gente scappa impaurita, 
nessuno osa sfidarlo. 
Calpesta il prato verde della libertà 
come un lenzuolo caldo di una prigione di Alcatraz. 
Il gatto appollaiato sull’albero, 
il serpente lucente e infimo, 
il ratto ripugnante e latito 
fissano l’opera. 
La natura si stringe attorno al mostro. 
Come nella notte di Norimberga 
si comporta come un invasato,
l’orso ballerino accentua una danza sciamanica. 
L’età del gatto ha il suo tempo, 
ha trasgredito il presente 
presto, presto, presto, 
scalcerà il passato 
veglierà al futuro. 
Bambina saltiamo sul tram 
non possiamo attendere, 
sono terminati i piani elaborati
la fine di ogni stratagemma. 
Si ritorna liberi. 
Nuoteremo fino alla luna, 
costruiremo un anfiteatro 
in un posto impensabile, 
e quando gli occhi si saranno riaperti 
ci troveremo in una legione deserta. 
Dov’è il sole?
Brucia, brucia, brucia, 
di notte il deserto è gelido, 
la luna sparisce nelle tormenti di sabbia. 
Svegliati, svegliati 
andiamo a vedere questo spettacolo. 
Miagolio, piagnucolio 
come un canto spettrale, 
basculante sul cornicione 
occhi spalancati. 
I becchini si rifiutano di seppellire i morti, 
anime vaganti lungo le strade. 
Luce di candele, 
il corteo funebre ha iniziato la sua marcia. 
Correte scappiamo, 
lacrime di sangue solcano le gote. 
Volto diafano del marciante, 
treno in corsa senza nessuna destinazione. 
Ci siamo dentro 
Caos rivolte 
nei vicoli e in strada. 
Ci hanno insegnato a rischiare 
glissare l’incertezza, 
sono tutti vivi ma sono già morti.
I bambini giocano nel verde del parco, 
dal cespuglio si intravede la volpe 
ancora presa nel completare la sua valchiria, 
sputa i pennacchi 
dopo lo sterminio nel pollaio. 
Bambina la notte è cieca, 
ci abbraccia fino in fondo, 
il giorno è saggio
illumina i nostri itinerari. 
Bisogna decidere da che parte stare. 
La faretra di ognuno 
deve essere colma, 
sapere come svuotarla. 
Giorni riluttanti 
in attesa della redenzione, 
il gatto lecca 
le sue leggendarie ferite 
per sette volte e per sette anni, 
come hanno prodigato gli antenati. 
Il tempo è scaduto, 
scappiamo a quattro zampe. 
Siete pronti? Siete pronti? 
Ahahahah!!! 
L’incoronamento e la celebrazione 
procedono senza alibi, 
come nelle notti di Bacco 
vino che sgorga dai rubinetti 
baccanti indossano veli trasparenti, 
danze virtuose. 
La nostra follia è mescolata alla carica della natura. 
Strade ornate di orchidee, 
un cielo pallido. 
Chi è senza posto attenderà il prossimo spettacolo. 
In procinto ad entrare nella città natale come conquistatori 
vagheremo nella notte disperata, 
vogliamo essere pronti 
riprendendoci quello che abbiamo tralasciato. 
Scriveremo pagine di storia, 
accompagnati da un bisbetico clericale. 
Prostratevi dinanzi al fluttuante sacerdote, 
ultimo Gesù. 
Soltanto un quadro più grande, 
nient’altro...





N. PARDINI: "OLTRE QUEL MURO"

Oltre quel muro

La notte
ai flebili lumi
e fra le stelle
belle le mie anime
sul prato al cimitero;
all’ora tarda,
quando i viventi
sono nei giacigli,
s’incontrano tra i tigli
ed i cipressi.
Escono dai marmi freddi
sulla loro terra
e tra l’odore di cera
e il fumo della notte,
tra l’esalare di rose,
di gigli ed orchidee,
parlano di affetti e di ricordi
ai bordi dei sepolcri;
li puoi vedere:
ecco mio padre con mia madre
ed ecco mio fratello
che sorridente
per l’agognato arrivo
vola di gioia.

Restano le anime
fino a notte fonda,
non odi parole di spiriti,
ma vedi l’aria che vibra,
l’aria che tocca le fronde,
le lievi foglie
alle soglie dei sepolcri.
La vita, la morte,
le corte strade,
le rade immagini dei viventi,
gli spenti visi del passato:
tutto è beato ora.

Il regno dei morti
vive di nuovo,
sorge alla penombra
e si anima nel tardi;
se  guardi sotto l’ombre
dei cipressi,
i tramonti attendono l’oscuro,
il puro regno
oltre quel muro
dei nostri cimiteri.




R. M. RILKE: "ANTICHI SARCOFAGHI"

ANTICHI SARCOFAGHI

Voi che al mio senso mai foste lontani
saluto, antichi sarcofaghi: tersa
voi l’acqua gaia dei giorni romani
come canto mutevole attraversa:

o l’arche aperte sì come pupille
d’un pastore che si svegliano liete,
(come dentro di timo e tranquille)
voi che farfalle attratte diffondete

frullanti; vi saluto al dubbio tolti,
tutti, o sarcofaghi, bocche riaperte,
che foste di ciò ch’è tacere esperte.

E noi lo siamo? No? Non cosa oscura,
è amici. L’ora esitante sui volti
umani l’uno e l’altro raffigura.

R. M. Rilke


VITTORIO ALFIERI: "MALINCONIA DOLCISSIMA, CHE OGNORA"

Malinconia dolcissima, che ognora

Malinconia dolcissima, che ognora
fida vieni e invisibile al mio fianco,
tu sei pur quella che vieppiù ristora
(benché il sembri offuscar) l’ingegno stanco.

Chi di tua scorta amabil  si avvalora,
sol può dal mondo scior l’animo franco;
né il bel pensar, che l’uom’pur tanto onora,
né gli affetti, né il dir, mai gli vien meno.

Ma tu, solinga intra le selve e i colli
dove  serpeggin chiare acque sonanti,
tuoi figli ivi di nettare satolli.

Ben tutto io deggio ai tuoi divini incanti,
che spesso gli occhi a me primier fan molli,
perch’io poi mieta a forza gli altrui pianti.

Vittorio Alfieri


SILVIA VENUTI: "L'ATTENZIONE ERA FISSA..."

L’attenzione era fissa su un particolare,
un gesto della mano, un mutare di voce,
su quell’odore di matita temperata.
L’universo del bene e del male era tutto lì,
in un tempo bianco,
ove si cresceva silenziosi senza saperlo.
Eppure una sensibilità timida e interiore,
conduceva, misteriosamente.
Oggi, che so molto di più,
è ancora lei a guidarmi,
nel vasto, complesso, doloroso divenire.


Silvia Venuti 

mercoledì 20 luglio 2016

CARMELO CONSOLI: "TI HO PORTATO UN FIORE"


Carmelo Consoli, collaboratore di Lèucade

TI HO PORTATO UN FIORE

Come per mio padre, e i tuoi cari,
e per tutti gli avi e gli avi degli avi,
per la pietà umana e l’amore che non muore
oggi ti ho portato un fiore.

L’ho piantato nell’arida terra della morte
sotto  il tuo bel sorriso di donna di Romagna,
sposa radiosa, alone arcobaleno,
azzurra visione del tuo principe triste
e disperato nero calabrone.

Un fiore, una preghiera, come per mio padre,
per i tuoi cari e per tutti gli avi
qua nella piana coltivata a croci ed epitaffi
dove si è vivi nel ricordo morti nel dolore.

Carmelo Consoli


GIUSEPPE PARINI: "LA VERGINE CUCCIA"

Tal ei parla, o signor: ma sorge in tanto
a quel pietoso favellar, da gli occhi
de la tua dama dolce lagrimetta,
pari a le stille tremule, brillanti,               
che a la nova stagion gemendo vanno
dai palmiti di Bacco, entro commossi
al tiepido spirar de le prim'aure
fecondatrici. Or le sovviene il giorno,
ahi fero giorno! allor che la sua bella      
vergine cuccia de le Grazie alunna,
giovenilmente vezzeggiando, il piede
villan del servo con gli eburnei denti
segnò di lieve nota: e questi audace
col sacrilego piè lanciolla: ed ella            
tre volte rotolò; tre volte scosse
lo scompigliato pelo, e da le vaghe
nari soffiò la polvere rodente:
indi i gemiti alzando: Aita, aita,
parea dicesse; e da le aurate volte        
a lei l'impietosita Eco rispose:
e dall'infime chiostre i mesti servi
asceser tutti; e da le somme stanze
le damigelle pallide, tremanti precipitâro.
Accorse ognuno; il volto                      
fu d'essenze spruzzato a la tua dama:
ella rinvenne al fine. Ira e dolore
l'agitavano ancor; fulminei sguardi
gettò sul servo; e con languida voce 
chiamò tre volte la sua cuccia: e questa
al sen le corse; in suo tenor vendetta
chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
vergine cuccia de le Grazie alunna.
L'empio servo tremò; con gli occhi al suolo
udì la sua condanna. A lui non valse    
merito quadrilustre; a lui non valse
zelo d'arcani ufici. Ei nudo andonne
de le assise spogliato onde pur dianzi
era insigne a la plebe: e in van novello
signor sperò; ché le pietose dame        
inorridìro, e del misfatto atroce
odiâr l'autore. Il misero si giacque
con la squallida prole, e con la nuda
consorte a lato su la via, spargendo 
il passeggero inutili lamenti:               
e tu vergine cuccia idol placato
da le vittime umane isti superba.