Claudio Fiorentini, collaboratore di Lèucade |
Racconti,
immagini, sensazioni che sfiorano pose plastiche, queste sono le prime
impressioni di lettura di queste poesie. Sembra che l’autore voglia disporre le
carte sul tavolo da gioco, aperte e ben visibili, per dare al lettore la
possibilità di ambientarsi. È un giocatore leale, non c’è ombra di bluff, le
carte sono aperte e di nascosto non rimane che il gioco dell’altro, cioè del
lettore che, spiazzato da tanta trasparenza, deve fare i conti con se stesso
per vedere se lui è capace della stessa lucida onestà. Però, leggendo queste
immagini scolpite in versi liberi e semplici, privi di arrotondamenti roboanti
e di metri contabili, la poesia si dispiega come un tappeto di parole
quotidiane che, pur nella loro domestica onestà, sono pronte a sorprendere con
un guizzo o con un imprevedibile onda d’urto, generati dallo stesso moto ondoso
dei versi che, se letti in sequenza, si rivelano un crescendo impetuoso più
simile a un rito iniziatico che a una selezione di poesie. Non so se vi sia
calcolo nella selezione di queste poesie, impressionante è il risultato.
E quindi
iniziamo al mare quando, immersi nella baraonda della spiaggia in piena estate,
i “figli loquaci” diventano il centro della nostra attenzione fino al momento
in cui un terzo occhio rivela altre verità, e allora “il tepore si incanala
nelle falde più arcane. / Il sole brucia la terra, / la notte schiaccia la
città”. I figli continuano a giocare con le loro immaginazioni ma “il vostro
eco / arriverà all’udito dei fenomeni naturali” e, tramutati in pianta e albero
madre e padre, immobili, mentre loro dicono “correte a casaccio / affrontate
minacce e paure, / il vostro unico conflitto / è stato di aver chiesto troppo
dal tramonto”. E allora, solo allora, la futilità del tempo perso li denuda e
ci denuda dicendo “esaurite il vostro oblio”.
Il secondo livello
“L’iride”: lontano dal caos estivo, ci ricorda che le lacrime sono acqua e si
mescolano con la pioggia per nascondere una verità che resta sempre la più
intima di tutte, e è di quell’intimità che parla il poeta, pur senza nominarla,
pur senza mai descriverla, fino a quando, accettato e implorato il faticoso
cammino del sole, “terra fertile e madida / acclama calore” per aggiungere che
“un canto non udito / solo dopo la morte sarà considerato”.
Terzo livello,
Urto frontale, ha un titolo già violento, così i primi versi che sconvolgono i
sensi. Questo sconvolgimento è, però, prezioso se porta a valutare il mondo e
la vita in modo diverso, con altri parametri, per cui ci si chiede “la felicità
è un angelo serioso?”. Il poeta sa bene che a tutti viene voglia di rispondere
a questa domanda, di interrompere la lettura e ribellarsi, urlare “NO, NO”,
perché nessuno vuole angeli seriosi come quelli che ci hanno imposto negli
anni, angeli portatori di catastrofi, di annunci indesiderati, angeli
piantagrane… tornassero nei cieli o negli inferi, chi se ne frega… ma poi si
torna a leggere “urlo prolungato / tepore proveniente dall’ignoto”, quanto
basta per tornare nel dramma dell’inevitabile per il quale neanche gli angeli
servono a molto. E allora si chiede “La disperazione è un angelo istrione?” Ora
si che ci capiamo. L’angelo adesso acquista un senso, quando la felicità
scompare nell’immagine seria che l’ha accompagnata, ipocrita traccia di
un’educazione benpensante. E l’angelo burlone e cinico che gode quando ha il
coltello dalla parte del manico e quando lascia ben poco spazio alla speranza
disegnando disperazione nella nostra “mente balzana” che scopre l'inevitabile
quando è tardi.
Ed eccoci al
quarto livello, L’uomo dietro la porta, dove “L’idea della rinascita ancora
viva / occhi puntati sulla nudità del mare” apre il sipario su immagini meno
chiare, come se ci si affacciasse sullo spirito dopo un rito culminato
nell’urlo frontale e, dopo il risveglio, si ha diritto solo a capire che “una
leggenda dice che dall’altra parte / sia dispotico l’estremo”. Per questo ora
il cammino si sviluppa in “sentieri aspri / baratri celesti” e nonostante tutto
“seguo imperterrito / un malinconico tramonto”. Già, perché anche tra baratri e
orridi il sole tramonta lo stesso, ed è bellissimo, da togliere il fiato.
Quindi “apro / immobile fermo / non oso oltrepassare, / non voglio guardare
oltre / mi soffermo / dietro la porta”.
E poi?
Claudio
Fiorentini
Figli loquaci
L’odore dell’aurora ancora alto,
primizie di stagione.
Sotto al promontorio la vegetazione.
Vedo mare, gente, caos e frenesia.
Dermatite costante.
La madre guarda il suo bambino,
gli chiede cos’ha sulla guancia...
una pustola.
La guancia si ingrossa
si screpola e schiude.
Dalla cicatrice si intravede
un terzo occhio...
laido.
Inghiottiti da una tempesta.
I corpi oscillano
indirizzati verso sud,
dove il tepore si incanala nelle falde più
arcane.
Il sole brucia la terra,
la notte schiaccia la città.
Oh oh figli loquaci
continuate a giocare
con le vostre immaginazioni.
Il vostro eco
arriverà all’udito dei fenomeni
naturali.
Tramutate in pianta vostra madre,
in albero vostro padre.
Annaffiate le loro radici ad ogni
crepuscolo,
correte a casaccio
affrontate minacce e paure,
il vostro unico conflitto
è stato di aver chiesto troppo dal
tramonto.
Il sole illumina per istanti
le vostre schiene curve.
Esaurite il vostro oblio.
L’iride
Quante lacrime versate,
mescolate con la pioggia
per nascondermi,
non volevo che mi vedessero.
Falde acquifere sgorganti,
liquido salato.
Le lacrime hanno accarezzato mari, fiumi e
laghi
fino all’accampamento
la desolazione.
Vestito nei panni delle labbra del
maragià,
bagnate da un sorso di vino
dopo aver attraversato il deserto.
Pozzanghere prosciugate
dai raggi del sole,
come lame di pugnale luccicanti.
Faticoso il cammino del Sole
per compiere la sua missione,
terra fertile e madida
acclama calore.
Un canto non udito,
solo dopo la morte sarà considerato.
A caduta libera
prendetemi vivo,
affogo per alitare.
Finitimo a me
visibile nel cielo,
una visione
di archi colorati.
Urto frontale
Urto frontale,
convoglio in corsa
penetra
nella mente sgombra,
sconvolgimento dei sensi.
La felicità è un angelo serioso?
Urlo prolungato,
tepore proveniente dall’ignoto.
Privo di conoscenza,
arti mutilati
occhi spiritati,
spavento intramontabile.
La disperazione è un angelo
istrione?
Mistero guazzabuglio.
Un esercito
serrato nei ranghi,
eremo
di armi per combattere.
Questa,
la mia mente balzana.
L’uomo dietro la porta
L’idea della rinascita ancora viva,
occhi puntati sulla nudità del mare.
Onde eremi di vascelli.
Egloghe indossano sontuose vesti,
tacchi riposti
danzano sullo specchio del mare.
Alla soglia della fusione porta
chiusa,
cielo e mare
color smeraldo.
Una leggenda dice che dall’altra parte
sia dispotico l’estremo.
Il cuore in petto
come un fiore di cemento piantato.
Privo di odore e colore,
reso curvo
dalla troppa rivendicazione
per le mie esili spalle.
Sono il guardiano
posseggo le chiavi,
accompagnato da una segreta paura.
Finitimo alla porta,
luci e ombre
nuvole si ammassano
a ridosso del mare.
Sentieri aspri
baratri celesti,
seguo imperterrito
un malinconico tramonto.
Pozzi di fuoco
attorniati da iene schiumanti,
ahimè
l’angoscia del cuore
ha stremato le restanti forze del mio
spirito.
Apro
immobile fermo
non oso oltrepassare,
non voglio guardare oltre
mi soffermo,
dietro la porta.
Bello , essenziale non orpelloso....Non mi aspettavo nulla di meno Cantore degli umani Travagli!!!
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