venerdì 30 dicembre 2016

RAFFAELE GIANNANTONIO: "PARTENZA"

Partenza

Quello che mente sa
cuore non dice,
insieme nel percorso della vita.
Sostiene tutto un mondo
d’illusioni
la vana spuma d’un momento alato.

Son troppi forse i sogni
senza giorno,
le scialbature di perdute stanze
che notti avare,
aride nutrici, continuamente
vollero imbiancare.

A te io lascio un cesto di ricordi
e una folla di piccole emozioni
riposte con affetto dentro al cuore.
Complicità ribalda per la quale,
in tutte le vicende  della vita,
giammai ti troverai sola e deserta.


Da Tredici – Confessione poetica, Di Felice Edizioni, Martinsicuro 2014

giovedì 29 dicembre 2016

GARCIA LORCA: "SONETTO DE LA DULCE QUEJA"


Garcia Lorca

Sonetto de la dulce queja

Tengo miedo a perder la maravilla
De tus ojos de estatua y el acento
Que me pone de noche en la mejilla.

Tengo pena de ser en esta orilla
Tronco sin ramas, y lo que más siento
Es no tener la flor, pulpa o arcilla,
para el gusano de mi sufrimiento.

Si tu eres el tesoro oculto mío,
si eres mi cruz y mi dolor mojado,
si soy el perro de tu señorío,

no me dejes perder lo que he ganado
y decora las aguas de tu río
con hojas de mi otoño enajenado.


Sonetto del dolce lamento

Perder la meraviglia, è il mio timore,
dei tuoi occhi di statua, sfiorato
di notte sulla guancia dal tepore
di rosa solitaria del tuo fiato.

Su questa riva sono, è il mio dolore,
un tronco senza rami, e più accorato
di non aver argilla, polpa o fiore
da offrire al verme del mio triste stato.

Se sei il tesoro che io sto celando,
se sei mia croce e bagnato tormento,
se sono il cane pronto al tuo comando,

le mie conquiste non gettare al vento:
con foglie del mio autunno allo sbando
sulle acque del tuo fiume fa’ ornamento.

Da Sonetti dell’amore oscuro, Passigli Poesia, a cura di Valerio Nardoni, 2013


AURORA DE LUCA: "MATERIA GREZZA"


 
Aurora De Luca
… Un dire, che, preso a sé, può essere interpretato come monito universale, come input ad agire, a sentire, ad avere verità negli occhi e grazia più a fondo. Un monito che può essere indirizzato ad ognuno di noi, un’esortazione ad un comportamento etico ed umano di grande valenza spirituale, sociale, ed esistenziale, anche. Ma se inserito in un contesto dove il lui: è abissi da scalare, ramo come foglia d’autunno, profumo di rose, piccolo campo incolto, luce furente; e lei: il mare gonfio, sospiro in moto, inverni che si mettono in fiore, onda, risacca, speranza, zattera sicura in braccio, nel suo petto, fino a “E mi sfiori poi,/ poi mi guardi e di nuovo mi sfiori”, certamente assume una significazione più intima, personale, tutta rivolta ad una scalata all’azzurro con ali tinte di verità private, di illusioni e misteri, di giovani albe, di compenetrazioni di amorosi sensi…

Dalla Recensione di N. Pardini    


Materia grezza

Che tu abbia materia grezza,
che tu sia legno di zattera
e saturo di sale vada stupito
a domandar dove andare.
Che tu non abbia ori nello sguardo,
né aquiloni nelle braccia,
ma verità negli occhi
e grazia giù a fondo,
per le strade  delle ossa.
Che tu abbia materia grezza
e genuina essenza.

Da Materia grezza, Genesi Editrice, Torino 2014


SONIA GIOVANNETTI: "UN LONTANO CHIARORE"



Sonia Giovannetti,
collaboratrice di Lèucade


… Una canto che, nel dipanarsi di tutta la sua complessità vicissitudinale, pur partendo da realtà spicciole, sa elevarsi,  con cospirazioni di nessi e  fonosimbolismi, al di sopra della canonica sintassi. Dacché la Giovannetti è alla continua ricerca di significanti metrici che combacino con le folgorazioni intime. E sa quanto sia difficile trovare un verbo utile a coprire l’intensità dell’animo umano. Della sua infinita proiezione all’azzurro. Un verbo che sappia contenere uno spiraglio di luce a illuminare un  sogno che si sfuma in un ipotetico ultimo addio…

Dalla Prefazione di N. Pardini



UN LONTANO CHIARORE

L’inverno è alle porte,
il grigio è ovunque.
Scende il silenzio come un sipario
anche su questa sera.
Con gli occhi appannati
fisso  l’ultima luce
di un lontano lampione.
Lo sguardo si perde in questo flebile lampo
dove  tutto si muove nella quiete.

Da Un altro inverno, Kairós Edizioni , 2015


martedì 27 dicembre 2016

OLINDO GUERRINI: "NOVEMBRE ANCORA"

Come gli “scapigliati” il poeta concepisce la vita una successione di sventure che avranno termine soltanto alla fine della vita stessa. Ma il suo pessimismo trova accenti personali  e la sua stessa disperazione si giustifica con elementi accidentali ( il novembre, il fango, gli uccelli che migrano, le foglie morte), che possono, nell’anima inquieta, accentuare l’angosciosa coscienza della durata effimera di ogni creatura umana e di ogni cosa terrena.


Novembre ancora

Addio sorrisi dell’albe rosate,
addio tramonti che d’oro parete!
Novembre porta le tristi giornate
e della nebbia la grigia quiete!

Gli uccelli migrano in file serrate
cercando a volo contrade più liete,
ma noi  restiamo, calcando immutate,
sul fango vecchio, le vie consuete.

Restiamo e sempre le stesse infinite
noie e le stesse speranze remote
c’infliggeranno  le stesse ferite,

finché abbassando le teste canute,
chinando al suolo le pallide gote,
qui marcirem come foglie cadute.




N: PARDINI: "LA VELA"

La vela












- Le vele sono gonfie di un Libeccio tanto selvaggio         

che l’onda scura si alza sopra di noi                                        
per ricadere con squassi paurosi.
Non c’è niente dintorno. Solamente banchi               
che ci avvolgono nel ventre col crocidare
disperso nella nebbia.                                         
Ci avranno abbandonato i nostri dèi?
ci indicheranno alla fine le rotte                          
per farci proseguire in questo dubbioso cammino?
Quante volte ho scambiato sulle onde
nembi vagabondi con volti conosciuti,
e quante ho riempito il mio animo
del senso dei tramonti affogati nel mare.
è proprio allora che ho visto stagliarsi         
sul cerchio che collega l’orizzonte col cielo
gli sguardi perduti nel viaggio.
E tu continui a sperare? ti dimentichi
di quello che passammo,
dei pericoli e del tempo consumati                     
nell’assurda riflessione su possibili rotte?
E intanto piovre inaspettate con lunghi tentacoli
ci sottrassero daccanto cari amici;
e noi potevamo reagire?          
potevamo noi opporci in qualche modo
all’ostile destino? Ormai il tragitto         
ha superato più della metà di questo imprevedibile Oceano.
E non è la prima volta che cozziamo
contro temporali infidi. Questa volta
è un vento prepotente a tentare
di riportare l’esile barca verso scogli ed acque
navigate e a noi note -.

- Tu non temere! Disporremo le vele,                 
esperti come siamo, in modo tale
che volgano l’eolico nemico verso poppa.
Che ci portino alla fine di un mare                     
il cui orizzonte sperammo in un lontano Occidente.         
è la scoperta che sorregge il credo
del nostro andare. Non solo l’aria d’Oriente;
sì! da là sortiamo e ne portiamo
sapori di mirti, d’agavi e di dune.                 
Ma il mio dio mi disse di viaggiare e di mirare
l’intorno che rigurgita di forza. Se stasera                  
la tempesta è irruente, è dentro noi
il solo modo di trovare un germe
assai forte per vincerla. è una sfida
che dura per la vita e non è detto
non sia uno sfronto tra noi e l’universo
quando il bello circonda questa barca
sotto sopra attorno. è un altro dubbio magari
a sorgere pungente: il godimento
di tanta plenitudine sarà durevole
o lascerà il tormento di un’immagine?
Solo il mistero di questa imbarcazione nel cosmo,
del tenace suo andare tra i flutti
di un percorso tanto enorme se violento
e altrettanto se disteso, vale a vivere
quel senso di trabocco sopra di noi.
Per il resto il terrore dei fondali
servirà a farci godere  ancora di più
degli sguardi verso cieli smisurati
quando le onde si placheranno. Guarda attorno!       
Già il colmo si frantuma e fa notare
spazi celesti: a breve un’altra fine
riporterà spettacoli cromatici
scoppiando tra nembi e tra pelaghi
ritornati sereni -.

- è tanto simile questo viaggio
e noi coi nostri dubbi  paure incertezze presunzioni
di vincerne il senso ad un barbaglio di luce sopra l’onda
o ad uno sbrendolo di nube in mezzo al cielo.
Si dileguano
e resta un vuoto, anche se blu,
un grande vuoto in cui si perde l’anima -.










sabato 24 dicembre 2016

ANNA VINCITORIO: "NATALE"

NATALE

Chissà perché riandare
a quella notte lontana
di bambina
Il lume dilatava chiarore
fugando le nemiche ombre
Due libri: i primi
Biancaneve e Pinocchio
La manina si allunga
E’ tutto vero
E’ il dono
di quella magica
notte di Natale
Dalla finestra il freddo
attutito dal calore del dentro
e dall’attesa…
Il bambinello riposa
sulla paglia

E’ sempre notte
anni son passati
Troppi 
Solo silenzio,
non festa di Natale
E loro?
Non abbracciati
tra pacchi colorati
e il fuoco scoppiettante
del camino
Vivono un tempo
senza date
in un atollo
emerso dall’acqua
Fuga di pesci tra i fondali
E’ forte il sole
che li inonda  e distrae
Là dove sono
non suona la campana!


Anna Vincitorio

MARIANO MENNA: "INEDITI"

Un atteso ritorno

Tremava in silenzio nel suo cappotto:
l’inverno era un manto bianco di ricordi
che ricopriva la vita ed ogni sua partenza;
nell’aria, un odore d’incertezze e sigarette
saliva lentamente ed offuscava il cielo.
L’amore era una nuvola remota tra le tante
– cambiava spesso forma e poi spariva –,
ma lei aveva ormai smesso di cercarla:
sorrideva impacciata dinnanzi al passato
come fosse un viso noto, un atteso ritorno.



 Come una ferita

L’amore restava nascosto ai suoi occhi
e ancora taceva nel cuore; il suo odore
era nell’aria, ma il respiro lo aspettava
lentamente, come un sussurro notturno.
L’amore restava nascosto ai suoi occhi,
ma – ecco! – giungeva la luce dell’alba;
non un sole, ma un flebile raggio sorgeva
ed era freddo nel petto, come una ferita…



Un sorriso deciso

Piangeva di notte, credeva
di essere più libera e forte,
di avere un sorriso deciso
per il male, per la morte,
per l’estate che già passa,
per la sorte che ti segna:
non si sbroglia la matassa.


  
I nostri passi

I nostri passi, appaiati nell’ombra,
un giorno si persero, senza rumore;
muto è il dolore di chi ama davvero,
osserva sempre e non spera più in niente.

Muto è il fruscio del tempo trascorso
a maledire un sorriso ormai andato:
resta un rimpianto, non torna il passato
e tu adesso torni a svegliarne i ricordi?



 Frammenti
  
1.
Aveva la notte sul viso
e chiedeva carezze alle stelle;
ogni istante era un'onda rubata al mare,
un sorriso sincero, ma il dolore viveva
negli occhi, nei sospiri celati ai passanti
e fioriva nei giorni di pioggia.

2.
La notte le sgorgava dagli occhi
come fresca rugiada sul suolo. 
Il suo amore non era di pietra:
sanguinavano ancora i ricordi
e giacevano rappresi nel petto;
ogni grumo è un sordo dolore,
ogni addio è un grido nel cuore.

3.
La sua bellezza fioriva d’inverno
– candido manto di neve sull’erba –,
e taceva nel cuore come un silenzio
notturno; sussurrava lente parole
e scenari più antichi ai miei occhi.

 Mariano Menna





M. L. DANIELE TOFFANIN: "AUGURI"

SEGRETO SPLENDE UN ANGOLO DI LUCE

Segreto in ogni cuore
pur nell’ora d’ombra
calata sulla terra
splende un angolo di luce
ove trepida s’annida l’attesa
voce di nuova speranza
che s’annuncia dentro come
un canto di candide rose
svelato nella notte Santa
nel fulgore di una stella.
 Appare lontana lontana
ora più vicina
suona la campana
nell’anima spenta.
Rinasci anima mia
rinasce il Divino Bambino
nell’intima memoria
del proprio presepe
nella storia sempre
da millenni
turbata ora dalla cosmica
urgenza di un’alba immacolata.


TI RACCONTO IL MIO GIARDINO D’AVVENTO
I
Rileggo il mio giardino d’Avvento
è stupore intorno la speranza accesa
ancora in fragili fiori d’inverno
boccioli da serbare rinutrire
nella aiuole del cuore, la linfa offesa
da un gelido vento di morte.

E tu mia rosa di Natale
l’attesa già onori in candida corolla
con pena e speranza espansa
dalle radici affaticate della terra
e all’agrifoglio ridestato alfine
in festoni di lucenti sfere rosse
dai il la per l’alleluia dei colori.

E tu mio pungitopo da ormai 18 lune
prodigio testato da esperti
esprimi tutto l’ardore-fiducia nel Creato
con cornucopie di bacche vive
che mai sia delusa l’attesa
del figlio del Signore
bacche squillanti per l’alleluia dei colori.

Pure dalla zona d’ombra più infima
e deserta di sole si leva
luminosa voce che inesausta si fa fiore.
O mio ciclamino in veste-laetitia
che da 6 lune ti doni, esile bulbo
in cascata di petali rosa
rinato ogni alba in offerta di sé!

Come in un lungo Avvento floreale
tutto un fervore oltre la misura
delle stagioni per farsi bacche
fiori, alleluia di colori
tuttinsieme a conferma del Creato
alla volontà buona del Creatore.

E in questo Natale di dolore
spontanea l’ombra qui si fa colore
segno di armonia speranza
di terra insieme al cielo.

II
Ora questo spazio qui registrato
nel suo vero, nell’imminenza della nascita
premuroso si restringe in una grotta
affettuosa di fiori bacche e melodia
ché solo nell’umile sottobosco
fra quelle note pure
può nascere l’innocente Bambino
dono di promesse attese ovunque.

Si dilata immenso l’alleluia dei colori
un cielo di angeli cantori si abbassa
sulla terra per adorare il Piccino.

Solo due pastori bambini
seguendo il cammino della stella
stupiti sono davanti al Bambinello
nato fra statuite del loro presepe
nel sottobosco musicante.

Lì l’attesa la speranza invocata
da duemila anni ancora s’inverano
nella divina innocenza.

Come affettuoso augurio in questo Natale 
turbato dal dolore,

Maria Luisa Daniele Toffanin