IN CANADA: TRA VERGINITĂ DELLA NATURA
E CONTAMINAZIONE DELLA SOCIETĂ
Sandro Angelucci, collaboratore di Lèucade |
“Ci sono città in Nordamerica che sono
divise in zone secondo i punti cardinali. A sud est i quartieri degli operai, a
sud ovest i quartieri dei professionisti e dei ricchi, lo stesso per nord ovest
e nord est, e secondo dove vivi ti fai classificare subito.”.
È l’incipit di Calgary Story, il racconto (o romanzo breve) tramite il quale Anna
Ciampolini Foschi delinea le condizioni di vita di una coppia di immigrati
italiani in Canada, facendosi portavoce di un’esperienza da lei stessa vissuta
(essendo residente a Vancouver ed avendoci trascorso metà della propria
esistenza).
La storia è ambientata negli anni ’70, in
un clima dunque di pre-multiculturalismo ma, non per questo, poi così distante
dalle attuali vicende migratorie. Certo, oggi le persone fuggono dalle guerre e
dagli odi religiosi ma la sostanza non cambia, in quanto si tratta pur sempre
di uomini e donne che abbandonano le loro terre. Fin dagli esodi biblici si
parlava di terra promessa: la discrepanza sta nella non naturalezza (mi si
conceda l’espressione) con cui questi flussi avvengono.
Ma perché il preambolo? In prima istanza,
per prendere consapevolezza che il testo non può dirsi anacronistico; e,
conseguentemente, per coglierne gli aspetti sui quali concentrare la
riflessione.
Fabrizio e Sandra Gardini – i due protagonisti
– si trovano di fronte una realtà cui non sono abituati: la collettività
canadese appare loro incentrata unicamente sul lavoro e sul guadagno, con
l’obiettivo di raggiungere – per i suoi componenti – un preciso, conformistico
e rispettato grado sociale. Sebbene le etnie siano le più disparate, sembra che
tutti (irlandesi, tedeschi, francesi e gli stessi italiani) siano accomunati
dalla medesima aspirazione: fare “soldi, soldi, soldi” (come dirà Sandra in un
momento di sfogo al suo compagno).
Ciò nonostante il loro approccio provoca
in ciascuno uno stato d’animo, una reazione differente: Fabrizio
s’intestardisce, vuole portare avanti il sogno di mettere in pratica ciò per
cui ha studiato in Italia, e il Paese che lo ospita può offrirgliene l’opportunità
superando la durissima ma necessaria gavetta; Sandra prova ad integrarsi ma non
trova terreno fertile né tra le sue connazionali né tra le altre, sente che le
manca il dialogo ed il confronto su temi più impegnati e profondi dello scialbo
e riduttivo pragmatismo che contraddistingue i pensieri delle nuove conoscenze.
Lei non ama neppure la natura
incontaminata che, pure, la circonda: ha freddo anche quando esce il Sole e il
cielo s’azzurra; lui, invece, lavora all’aperto, riceve coraggio ed energia
dagli elementi naturali che lo aiutano a perseverare malgrado il resto.
E sarà con un respiro più grande (“a
pieni polmoni”), sarà quella “città di prateria, vergine di memorie” che,
paradossalmente, lo consolerà facendogli cercare il calore che gli manca nel corpo
addormentato e stanco della sua donna.
Insomma: una storia – questa di Anna
Ciampolini Foschi – scritta in stile classicheggiante, con una cifra narrativa
che predilige la fluidità del linguaggio alla criptica, turbolenta e non
lineare elaborazione dello stesso. Una scrittura che altro non si propone se
non di testimoniare.
Sono
vicende vissute, probabilmente, sulla pelle di chi scrive.
Vicende di ieri, di oggi e di domani,
raccontate – chissà – con la segreta speranza che il mondo possa diventare una
sola, rigogliosa Nazione.
Sandro
Angelucci
Il racconto, per ragioni di
eccessiva lunghezza, non può essere riportato per intero ma, nello scambio
epistolare tra la protagonista e la madre, se ne intuiscono – quanto meno – gli
aspetti fondanti:
Firenze, 14 giugno 1971
Carissima Sandra,
Non mi rassicura saperti da sola e così
lontana! Certo, son contenta che Fabrizio faccia il lavoro che desidera, ma
sarebbe stato meglio se foste rimasti qui. Avevate tutti e due un buon lavoro,
non c’era bisogno di andare in capo al mondo! Perdonami, Sandra se ti parlo
così, ma io penso che sia stato un colpo di testa da parte vostra, Fabrizio è
un ragazzo d’oro e ti vuole molto bene ma è molto impulsivo, forse dovresti
farlo riflettere e frenarlo un poco di più perché come dice il proverbio “chi
lascia la via vecchia per la nuova, sa quel che lascia ma non sa quel che
trova.”
Mi chiedi degli amici, ho visto qualcuno
di loro e chiedono tutti di te,
domandano se ti trovi bene, sai anche per loro è stata una sorpresa il
fatto che ve ne siete andati. Mi chiedi come vanno le cose qui: come sempre, lo
sai, la politica è sempre complicata, il governo mette sempre nuove tasse e la
gente cerca di tirare avanti, ma almeno negli ultimi tempi grazie al cielo non
ci sono stati attentati sui treni o bombe nelle banche, speriamo bene!
Io sto benino e quanto a Marisa niente di
nuovo, come sai tua sorella a volte ha un carattere difficile, quindi non preoccuparti
se ti scrive di rado. Sono in pensiero
per te, quattro mesi da sola in una città straniera sono lunghi! Scrivi spesso,
così sto più tranquilla, io aspetto il postino tutte le mattine. Un bacio da
Mamma
Calgary, 10 agosto 1971
Cara mamma,
Non preoccuparti per me, sto bene e ho
mille cose da fare, la sera vado a scuola, faccio un corso di inglese per
migliorare la pronuncia e poi, pensa, ho trovato un lavoretto! Tre giorni la
settimana vado a riordinare lo schedario all’agenzia di viaggio di quella
famiglia ungherese che ho conosciuto, i Nagy, te ne ho parlato nell’altra
lettera. È solo per il mese di agosto, ma sono contenta lo stesso. Il tempo è
bellissimo, sole e un cielo azzurro incredibili e ne approfitto per andare alla
piscina di un parco pubblico, ho una abbronzatura degna di Forte dei Marmi!
Fabrizio ogni tanto telefona dal suo
accampamento lassù a casa del diavolo, è contento e dice che sta facendosi una
bella esperienza in questo tipo di ricerche. Presto sarà di ritorno, con
l’inizio di settembre molto probabilmente cominceranno le nevicate ed il lavoro
si ferma perché chiudono il cantiere. Fabrizio continuerà per qualche mese a
lavorare qui a Calgary per analizzare i campioni di roccia raccolti, e poi si
vedrà. So che a te e agli amici sembra una avventura assurda, ma tu sai come è
fatto Fabrizio, vuole girare il mondo, lui dietro una scrivania si sente
morire, è felice fra le sue rocce, a contatto con la natura, il vento ed il
cielo. In fondo, si è sempre sentito fuori posto nel nostro ambiente dove una
crociera o un viaggio organizzato rappresentano già un’avventura selvaggia. Mi
sembra che qui si trovi abbastanza bene; io penso che è un paese ancora di frontiera,
in certe cose molto più avanzato che da noi, ed in certe altre molto più
arretrato. Che dirti? Staremo a vedere.
Ti scriverò presto, un abbraccio
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