martedì 6 dicembre 2016

SANDRO ANGELUCCI PRESENTA "IL BUIO E LA FARFALLA" DI PAOLO STEFANINI


Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade



VIVERE IN BIANCO E NERO
PER VEDERE IL MONDO A COLORI

  
       Guardate la copertina del libro che presentiamo questa sera: vi campeggia l’immagine di un macaone. Quanti, tra noi, almeno una volta, non sono corsi da bambini dietro le innumerevoli volute del variopinto e leggiadro lepidottero? Forse nemmeno uno. Ci attirava quell’eleganza, quella levità ma soprattutto quella miscellanea di vivacissimi colori.
       Bene: nella prima del libro di Paolo, la figura è in bianco e nero; per l’esattezza, un’ala bianca si staglia sullo sfondo nero e viceversa succede contiguamente alla stessa. Il contrasto nulla toglie all’attrattiva della quale ho appena parlato, anzi ne aumenta la seduzione.
       Per intenderlo compiutamente bisogna rifarsi al titolo, Il Buio e la Farfalla, che identifica poi le due parti in cui la raccolta è suddivisa. In ordine di successione: “il Buio è un viaggio nelle asperità e nelle contraddizioni della nostra storia in cui (il poeta) rievoca il dramma della Prima guerra mondiale, rende omaggio alla lotta partigiana, denuncia la perdita di valori e approda ai giorni nostri soffermandosi sulle ingiustizie della società e schierandosi dalla parte dei più umili e degli indifesi”; “la Farfalla apre all’intimismo (senza cadere nelle trappole degli ‘ismi’) in una dimensione temporale sospesa, che perde il dato concreto e lo trasfigura nella dimensione lirica e a-temporale. La poesia predilige un tono più pacato e riflessivo […] Fin nell’approccio di alcune figure femminili, viatico per un’elaborazione personale della poetica degli affetti”.
       Non è mia abitudine prolungarmi nelle citazioni; ho ritenuto opportuno tuttavia farlo, nella fattispecie, sia perché trovo molto appropriato il discorso riportato in bandella sia perché lo stesso mi offre il destro per riallacciarmi all’incipit del mio intervento. Sostenevo, appunto, che quelle ali, pur prive delle tinte sfavillanti, di cui in natura sono dotate, affascinano ancora di più in quanto spingono a non fermarsi alle apparenze, a cogliere l’essenza di quelle luminescenti pigmentazioni che tanto incuriosivano la fantasia del bambino che era ed è in noi. Lasciatemi dire che questa presentazione perderebbe gran parte del suo significato se non fossimo convinti (autore compreso) che penetrare nell’anima della poesia non può realizzarsi altrimenti che vedendo le cose ‘in bianco e nero’: soltanto così, apprezzarne ogni colore diviene davvero possibile.
       Non nel complicare ciò che è semplice ma nel semplificare ciò che è complesso sta il segreto.
       E Stefanini ci riesce entrando umilmente in confidenza con se stesso, registrando in queste pagine le rivelazioni più intime della propria musa. Ecco perché l’effigie aiuta; favorisce la visione e la corretta comprensione sia delle tenebre che della luce. L’ala nera della farfalla simboleggia il Buio, ossia quel mannello di poesie con le quali prende vita la raccolta. Si tratta di testi che affondano il dito nella ferita sempre aperta e sanguinante, non disdegnando di trasferirsi dall’amara ironia alla altrettanto pungente e dolorosa presa in carico degli errori e delle malefatte.
       Da Accoglienza: “Profugo, vien qui che ti raccatto / non fa servizio a domicilio / il ristorante Italia / devi venire qui / lasciar la casa, il campo all’aggressore / devi morire in mare se va male / farti spogliar di tutto se va bene… / Portare aiuto a te nel tuo paese? / No, c’è la guerra, siamo pacifisti / trova un accordo…unisci le fazioni… / stendi un tappeto blu…e forse l’ONU…”, dove il sarcasmo è un pugno nello stomaco di tutto l’Occidente; a Lungo (nome di battaglia di Sergio Stefanini), il partigiano che viene ringraziato per “non aver fuggito / gli orrori della guerra”, “per quella libertà ormai scontata / tirata ovunque a coprir le vergogne”, che ha lo stesso nome del cagnolino “portato dall’inferno” che un giorno morse Paolo attaccandogli un po’ di quella rabbia, di quell’indignazione; alla chiusa dell’originale lirica dedicata a Salgado: “Con te ovunque ultimo mi feci / fra gli ultimi del mondo, / quelli senza colori addosso, / quelli dell’impietoso bianco e nero”, che, quasi incredibilmente, conferma la necessità di farsi piccoli per contenere l’incommensurabile, di non vivere a colori (oggi sarebbe meglio dire in HD) per aggrapparsi a quelle ali.
       E a proposito di ali, spostiamo l’attenzione sull’ala bianca, emblema della seconda parte della silloge: quella che si distende nel lirismo e trova consolazione nell’amore in tutte le sue manifestazioni, foriere di aspettative per un futuro migliore e più sano.
       Così, ci vengono incontro versi armoniosi, che intendono contrapporsi ai precedenti sfidandoli sul piano della tenerezza piuttosto che del disprezzo, su quello dell’accoglienza e non dell’aggressività; in sintesi: sulla sincerità e non sulla menzogna.
       C’è una poesia – tra le appartenenti alla sezione – che riassume quanto poc’anzi asserito con una chiarezza ed una semplicità disarmanti. A costo di esagerare (o essere ripetitivo) voglio darne lettura integrale (forse nessun’altra composizione rispecchia tanto fedelmente l’anima dell’autore): “Fra tutte le cose / già scritte per te / e dette e pensate / mi manca qualcosa… / Qualcosa che dica / insieme che t’amo / ma t’ama anche il mare / il cielo ed il prato / il fiume e la terra / che calchi discreta / con piede leggero, / che dica che l’aria / che scende dal monte / ti spettina e t’ama. / Allora ti dico / qualcosa di nuovo / d’antico e bambino / ti dico sei bella, / al mondo sei bella.”.
       Propongo di riflettere sui versi conclusivi e di considerarli un’epifania: pensiamoci bene: il poeta è alla ricerca di parole assolute, che sappiano dire più di quanto è nelle sue stesse possibilità; e alla fine le trova, le incontra dove non possono che abitare. Sono parole antiche e bambine, le uniche davvero nuove, davvero diverse: le sole capaci di contenere, di comprendere (anche in senso intellettivo) l’amore universale. Sono queste risorse le forze che vengono messe in campo nelle liriche fondanti la frazione finale del libro: ricorrendo alla genuinità, Paolo si oppone all’artificio, camminando lungo sentieri familiari evita i campi minati, raccogliendo erbe salutari tenta di non farsi avvelenare.
       Non resisto, non posso fare a meno di citare ancora (fortuna che ho detto che non è mia abitudine: perdonatemi); casca proprio a pennello Tutti i colori del si (pag. 45): “Quando segnavano i mesi l’età / una parola sola sulle labbra: ‘si’ che risuonava ‘ti’ tra i denti nuovi. // …. // Ora sei grande (due anni fra poco) / ora fai lunghi discorsi… /…. / sai dire ‘stop’, sai dire ‘basta’ e ‘No’ // Ma il linguaggio del ‘si’ / con tutti i suoi colori / non lo scordare mai piccina mia. / Ad ogni pié sospinto servirà.”.
       Molto rodariano qui Stefanini ma, anche, impensierito, preoccupato per il futuro dell’Umanità. In ogni caso questa è la sua replica: una reazione ferma, risoluta alla barbarie; che non consiste nel mero e sterile antagonismo al male ma nella vera condanna dello stesso, imprescindibile – per essere costruttiva – dalla piena consapevolezza della sua presenza nel mondo.
       Tengo moltissimo al concetto, e desidererei fosse correttamente interpretato; non soltanto per ciò che concerne il mio punto di vista ma perché possa giovare all’approfondimento – mi auguro – del Buio e la Farfalla. Si rende ancora necessario il ricorso all’immagine di copertina: questa volta, però, concentrandoci sugli sfondi. Come diversamente potrebbero risaltare queste ali se non mettendole a contrasto? Una constatazione semplice, che affonda le radici nel Tao: un archetipo sempre attuale. La raccolta si fa notare per coerenza ed organicità: se non ci fosse interazione, il Buio sarebbe destinato a restare tale e la Farfalla non riuscirebbe a volare.
       La bellezza del libro si sintetizza in una sola parola: speranza; perché nasce dal bisogno di armonizzare non da quello di rivaleggiare. Dato, questo, confortato anche sul piano formale – e concludo – dalle lusinghiere parole di Roberto Pazzi: “…un gioco efficace di allitterazioni e assonanze che riconduce il verso alle antiche affinità originarie col canto.”. Sono d’accordo: è voglia di cantare, la poesia di Paolo Stefanini.                                   

Sandro Angelucci
                        
Paolo Stefanini. Il Buio e la Farfalla. Giovane Holden Ed. Viareggio. 2016. Pp. 56. € 12,00

4 commenti:

  1. Un poeta autentico, Paolo Stefanini. Un poeta silenzioso, straordinariamente ricco di "humanitas", di "pietas", di ironia, di sdegno civico... e di tanto altro. Ero presente (anche in qualità di relatore) all'incontro svoltosi in Roma, presso l'Enoteca letteraria di Via Quattro Fontane, e sono vivamente grato a Sandro per avermi dato l'opportunità di conoscerlo. Sono rimasto colpito e attratto da quella "reazione ferma, risoluta alla barbarie" di cui il critico parla, "che non consiste nel mero e sterile antagonismo al male ma nella vera condanna dello stesso... dalla piena consapevolezza della sua presenza nel mondo".
    Franco Campegiani

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  2. Vorrei tanto conoscere il titolo della splendida dichiarazione d’amore che Paolo Stefanini riserva alla sua donna. Sono certa che aggiungerebbe bellezza alla bellezza. Leggo e la rileggo la poesia e non, come a volte accade, per riuscire a cogliere il senso di ogni parola.
    Qui, grazie alla limpidezza del verso e alla semplicità (almeno apparente e di certo voluta) del contenuto, la comprensione non può che essere immediata. Ho usato il termine apparente, riferito alla semplicità del contenuto, perché in realtà, questa “forma d’amore” non è così scontata e facile.
    Ecco l’amore vero, sano e salvifico perché totalmente svincolato dall'idea, ormai spaventosamente diffusa del possesso. L’amore da cui si può ripartire, con speranza. Ecco perché leggo e rileggo con meraviglia questo canto (quanta melodia nei versi!) a più voci, quella del mare, del “cielo ed il prato”, del “fiume e la terra” e dell’aria dal monte a dire la bellezza dell’amore assoluto e universale. Lo stesso amore che il poeta nutre verso la magnificenza della natura.
    E Sandro Angelucci non poteva non cogliere l’autenticità e il valore di questi versi. Mi complimento anche con lui per questa sua convincente presentazione che ancora una volta è poesia nella poesia. Trovo acuto e originale il percorso del suo pensiero costruito partendo dalla bellissima immagine di copertina, dal bianco e nero delle ali, dell’esistenza piena, in bilico armonico tra opposti.

    Annalisa Rodeghiero

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  3. Chi conosce Paolo Stefanini non può che riscontrare quanto gli somigli ciò che scrive e come lo scrive. Io che mi considero, e ne vado orgogliosa, un'amica del Poeta , posso facilmente riconoscere e apprezzare nella silloge "Il buio e la farfalla" tutto il pensiero, la forza del dire senza ritrosie o infingimenti, la figura di uomo leale e sincero , dotato di spirito e gentilezza, di cultura e di humour. La sua poesia, priva di inutili orpelli o tecnicismi vari, risulta sempre molto ricca di contenuti.
    Ammirevole ed esauriente anche la presentazione del critico.
    Edda Conte.

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  4. Ed è stato a Roma Paolo Stefanini, ospite dell'Enoteca Letteraria, presentato da i nostri due colossi: Franco Campegiani e Sandro Angelucciì. Lo hanno conosciuto e apprezzato in tanti e io ho avuto la gioia di vedere le foto, di ascoltare i racconti e di leggere questa recensione commovente dell'amico e ottimo critico letterario Sandro. Mi ha condotto attraverso la poetica di Paolo, nel suo viaggio verso i colori, verso una vita che restituisca i valori genuini e dignitosi. La lettura dei versi mi ha inchiodata. Ero in ogni parola, nelle immagini di raso di questo Artista puro, che scrive per amore. Ero nei suoi ricordi, che sentivo miei, di ogni mio affetto... che avvertivo universali e salvifici. Lo ringrazio in ritardo. E spero di aver modo di incontrarlo presto. Grazie per tanta immensa umiltà. E grazie ai miei amici che hanno dato, come sempre, rilievo alla sua Arte!
    Maria Rizzi

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