giovedì 1 dicembre 2016

S. MENICHETTI: "MILLE PICCOLI FIORI DI MYOSOTIS"


    
Sandro Angelucci,
collaboratore di Lèucade

Serenella Menichetti,
collaboratrice di Lèucade


       Ho trovato – e lo confesso senza problemi – una difficoltà (tra virgolette) di ordine interpretativo leggendo questa lirica di Serenella Menichetti. Avrei potuto risolverla chiedendo chiarimenti ma non ho voluto, nella ferma convinzione che la poesia non deve e non vuole essere spiegata.
       Così, ho deciso di fornire la mia versione che, forse, non corrisponde a quanto voleva comunicare la Scrittrice, ma non importa se è vero – come è vero – che caratteristica del pensiero poetico è la polisemicità.
       A mio parere, il testo (che assimilerei ad una lettera in versi) è una missiva che l’Autrice spedisce a se stessa.
       Non è però scontato che davvero si tratti di questo: basta pensare a quell’incamminarsi “nei giorni dell’assenza”, a quel custodire “marmo di carezze, posate sulla fronte”, a quell’aprire “lo scrigno dei nostri (e sottolineo ‘nostri’) ricordi".
       E neppure la chiusa, con quel ‘Serenella’, mette fine ad ogni dubbio: ciò che io considero – e mi piace pensarlo – una firma in calce alla lettera stessa non esclude che il nome sia riferito ad un’altra donna (la madre?, la nonna?).
       Ma – mi ripeto e concludo – è polisemia la cifra di questa poesia; unita – non dimentichiamolo – ad una musicale ed armonica distensione del verso.
Buona lettura.

 Sandro Angelucci


MILLE PICCOLI FIORI DI MYOSOTIS

E m'incammino nei giorni dell'assenza.
Stupita di constatare che il sole ancora nasce.
La mancanza dei tuoi ultimi sorrisi è ruggito
di belva ferita che strappa le viscere.
Sul palmo della mia mano percepisco neve bianca.
Custodisco marmo di carezze, posate sulla tua fronte
nel vano intento di sciogliere questo gelo.
Emblema di una tremenda verità.

Apro lo scrigno dei nostri ricordi.
Il tepore sale.....
Trovo la brace accesa del caldano.
Le legna scoppiettanti della stufa.
Quel calore che il ghiaccio scioglie
dalle tue mani intirizzite
quando, fuori, alla pila lavi.
Trovo i sapori della tua cucina:
Il polpettone saporito e gli gnocchi del giovedì.

E mille piccoli fiori di myosotis
raccolti sull'argine dell'Arno si affacciano.
Per ricordarmi occhi di Madonna.
Per ricordarmi, i tuoi occhi.

Serenella Menichetti

6 commenti:

  1. Poesia dedicata presunibilmente alla madre, passata a miglio vita da poco tempo. Già l'autrice ne percepisce l'assenza, già soffre dentro l'anima il distacco e il rmpianto atroce nell'anima. Ogni lutto deve avere il tempo di essere metabolizzato. quando la ferita si sarà placata e seppure mai chiusa, potrà avere tregua "ragionata" ma giammai accettata, allora Serenella, come ognuno che perde la propria genitrice potrà dire madre mia. Al momento il cuore sanguina per la grave perdita e l'assenza "è ruggito di belva ferita".
    Ninnj Di Stefano BUsà

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  2. “E m'incammino nei giorni dell'assenza.
    Stupita di constatare che il sole ancora nasce.”
    Lirica struggente nel suo dolore contenuto.
    I ricordi della quotidianità: la brace accesa del caldano,le legna scoppiettanti della stufa,i sapori della cucina: il polpettone saporito e gli gnocchi del giovedì.
    La tremenda ineluttabile verità della morte: l’assenza, la memoria, il dolore che non si riesce a metabolizzare…
    Poi i fiori:i mille piccoli fiori di myosotis, una piccola ma non inutile consolazione

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    1. Ringrazio di cuore il Professor Pardini per la sua gentile ospitalità.
      Sono grata ed onorata dell'attenzione di Sandro Angelucci, Ninnj di Stefano Busà e Maria Grazia Ferraris.
      Serenella Menichetti

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  3. Credo sia una o la più bella poesia che abbia letto su Leucade della S. Menichetti. In essa si percepisce, con palese evidenza, che il dolore, per il distacco di una persona cara, rende l'espressività poetica estremamente incisiva capace di calamitare eccome l'attenzione del lettore pur nel suo dettato semplice e armonioso (quale prerogativa di vera poesia). La stessa mi ha indotto a ricordare Ungaretti che nel dolore per il figlio perduto scrive un verso di straordinaria bellezza ed incisività che per il sottoscritto resta la più bella espressione poetica della poesia contemporanea: "come si può ch'io regga a tanta notte?" (Dolore) La Signora Menichetti mi ha dato la stessa emozione.Pasqualino Cinnirella

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  4. Ricordo di avere letto e commentato, qualche tempo fa, una poesia della Menichetti, dove lei si rivolgeva alla mamma quasi rimproverandole la grossa "bugia rosa" che le aveva sempre raccontato. Quella mamma che, oramai "stanca di voltar la luna", non poteva più raccontarle favole. Il ricordo di quei versi struggenti, unito al funereo senso di rabbia e di gelo che traspira da questa nuova dolente poesia, mi convince che è accaduto l'irreparabile e che la poetessa è venuta a trovarsi di fronte alla "tremenda verità" della petrosa e gelida morte. E ha ragione Sandro laddove, sottolineando la "polisemicità" del pensiero e del linguaggio poetico, avanza l'ipotesi che il testo può anche essere letto come "una missiva che l'autrice spedisce a se stessa". A lei che, incamminata "nei giorni dell'assenza" e ferita dal bagliore dei tanti ricordi, si stupisce "di constatare che il sole ancora nasce" e che i "mille piccoli fiori di myosotis" sono ancora lì, "sull'argine dell'Arno", a testimoniare l'indistruttibilità della vita.
    Franco Campegiani

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    1. Ringrazio tutte queste splendide voci poetiche per l'attenzione di cui mi hanno onorata leggendo il mio semplice testo.
      Serenella Menichetti.

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