Serenella Menichetti, collaboratrice di Lèucade |
Ho trovato – e lo confesso senza problemi
– una difficoltà (tra virgolette) di ordine interpretativo leggendo questa
lirica di Serenella Menichetti. Avrei potuto risolverla chiedendo chiarimenti
ma non ho voluto, nella ferma convinzione che la poesia non deve e non vuole
essere spiegata.
Così, ho deciso di fornire la mia
versione che, forse, non corrisponde a quanto voleva comunicare la Scrittrice,
ma non importa se è vero – come è vero – che caratteristica del pensiero
poetico è la polisemicità.
A mio parere, il testo (che assimilerei
ad una lettera in versi) è una missiva che l’Autrice spedisce a se stessa.
Non è però scontato che davvero si tratti
di questo: basta pensare a quell’incamminarsi “nei giorni dell’assenza”, a quel
custodire “marmo di carezze, posate sulla fronte”, a quell’aprire “lo scrigno
dei nostri (e sottolineo ‘nostri’) ricordi".
E neppure la chiusa, con quel
‘Serenella’, mette fine ad ogni dubbio: ciò che io considero – e mi piace
pensarlo – una firma in calce alla
lettera stessa non esclude che il nome sia riferito ad un’altra donna (la
madre?, la nonna?).
Ma – mi ripeto e concludo – è polisemia la cifra di questa poesia; unita – non dimentichiamolo – ad una
musicale ed armonica distensione del verso.
Buona lettura.
Sandro
Angelucci
MILLE PICCOLI
FIORI DI MYOSOTIS
E m'incammino nei
giorni dell'assenza.
Stupita di
constatare che il sole ancora nasce.
La mancanza dei
tuoi ultimi sorrisi è ruggito
di belva ferita
che strappa le viscere.
Sul palmo della
mia mano percepisco neve bianca.
Custodisco marmo
di carezze, posate sulla tua fronte
nel vano intento
di sciogliere questo gelo.
Emblema di una
tremenda verità.
Apro lo scrigno
dei nostri ricordi.
Il tepore
sale.....
Trovo la brace
accesa del caldano.
Le legna
scoppiettanti della stufa.
Quel calore che il
ghiaccio scioglie
dalle tue mani
intirizzite
quando, fuori,
alla pila lavi.
Trovo i sapori
della tua cucina:
Il polpettone
saporito e gli gnocchi del giovedì.
E mille piccoli
fiori di myosotis
raccolti
sull'argine dell'Arno si affacciano.
Per ricordarmi
occhi di Madonna.
Per ricordarmi, i
tuoi occhi.
Serenella Menichetti
Poesia dedicata presunibilmente alla madre, passata a miglio vita da poco tempo. Già l'autrice ne percepisce l'assenza, già soffre dentro l'anima il distacco e il rmpianto atroce nell'anima. Ogni lutto deve avere il tempo di essere metabolizzato. quando la ferita si sarà placata e seppure mai chiusa, potrà avere tregua "ragionata" ma giammai accettata, allora Serenella, come ognuno che perde la propria genitrice potrà dire madre mia. Al momento il cuore sanguina per la grave perdita e l'assenza "è ruggito di belva ferita".
RispondiEliminaNinnj Di Stefano BUsà
“E m'incammino nei giorni dell'assenza.
RispondiEliminaStupita di constatare che il sole ancora nasce.”
Lirica struggente nel suo dolore contenuto.
I ricordi della quotidianità: la brace accesa del caldano,le legna scoppiettanti della stufa,i sapori della cucina: il polpettone saporito e gli gnocchi del giovedì.
La tremenda ineluttabile verità della morte: l’assenza, la memoria, il dolore che non si riesce a metabolizzare…
Poi i fiori:i mille piccoli fiori di myosotis, una piccola ma non inutile consolazione
Ringrazio di cuore il Professor Pardini per la sua gentile ospitalità.
EliminaSono grata ed onorata dell'attenzione di Sandro Angelucci, Ninnj di Stefano Busà e Maria Grazia Ferraris.
Serenella Menichetti
Credo sia una o la più bella poesia che abbia letto su Leucade della S. Menichetti. In essa si percepisce, con palese evidenza, che il dolore, per il distacco di una persona cara, rende l'espressività poetica estremamente incisiva capace di calamitare eccome l'attenzione del lettore pur nel suo dettato semplice e armonioso (quale prerogativa di vera poesia). La stessa mi ha indotto a ricordare Ungaretti che nel dolore per il figlio perduto scrive un verso di straordinaria bellezza ed incisività che per il sottoscritto resta la più bella espressione poetica della poesia contemporanea: "come si può ch'io regga a tanta notte?" (Dolore) La Signora Menichetti mi ha dato la stessa emozione.Pasqualino Cinnirella
RispondiEliminaRicordo di avere letto e commentato, qualche tempo fa, una poesia della Menichetti, dove lei si rivolgeva alla mamma quasi rimproverandole la grossa "bugia rosa" che le aveva sempre raccontato. Quella mamma che, oramai "stanca di voltar la luna", non poteva più raccontarle favole. Il ricordo di quei versi struggenti, unito al funereo senso di rabbia e di gelo che traspira da questa nuova dolente poesia, mi convince che è accaduto l'irreparabile e che la poetessa è venuta a trovarsi di fronte alla "tremenda verità" della petrosa e gelida morte. E ha ragione Sandro laddove, sottolineando la "polisemicità" del pensiero e del linguaggio poetico, avanza l'ipotesi che il testo può anche essere letto come "una missiva che l'autrice spedisce a se stessa". A lei che, incamminata "nei giorni dell'assenza" e ferita dal bagliore dei tanti ricordi, si stupisce "di constatare che il sole ancora nasce" e che i "mille piccoli fiori di myosotis" sono ancora lì, "sull'argine dell'Arno", a testimoniare l'indistruttibilità della vita.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Ringrazio tutte queste splendide voci poetiche per l'attenzione di cui mi hanno onorata leggendo il mio semplice testo.
EliminaSerenella Menichetti.