giovedì 22 dicembre 2016

N. PARDINI LEGGE: "PATRICE DE LA TOUR DU PIN" DI G. FIORI

Gabriella Fiori: Patrice de La Tour du Pin. Servitium editrice. Milano. 2011. Pp. 188



Un testo di maiuscola rilevanza, in cui l’autrice analizza, con puntiglioso acume, le vicende di un poeta poco conosciuto in Italia, spiattellandoci su un vassoio d’argento documenti epistolari e poetici in un percorso ascensionale di grande entità spirituale. Una vera ricerca filologica che credo utile, per la sua ricca portata, in scuole di ogni ordine e grado e soprattutto in facoltà linguistico-letterarie. La storia di un poeta che si fa tormento e inquietudine, saudade e quietudine, attraverso le sue opere (La Quête de Joie, Les enfents de septembre, les Sommes, Lettres Aux confidents, Carnets de route) date alle stampe per i caratteri di Gallimard; una  vita, stando alla voce del poeta, poco articolata ma vissuta con tutta la forza epigrammatica e complessa della contemporaneità. Accennare da subito, nella Prefazione, alla difficoltà nel rendere autentica con la traduzione la polivalenza di tanta meditazione-contemplativa, significa anche dare spazio all’onestà intellettuale dell’autrice; d’altronde è cosa risaputa che un testo tradotto non è mai lo stesso della  versione originale, anche se dobbiamo riconoscere, per amor del vero, la grande maestria della Fiori nel saper cogliere le sfumature e le inarcature etimo-lessicali e morfosintattiche; le sfumature  narrativo-significanti della lingua transalpina; un  lavoro di cesellatura, di fino, di rara resa linguistica  dell’arte, non facile, della Nostra: <<… Impresa non facile, di interrogazione e traduzione fra due lingue, il francese e l’italiano, fra due linguaggi, quello di Patrice  de La Tour du Pin e il mio, per accostare e comunicare l’intima-universalità di un uomo e di un poeta del nostro tempo, che si è chiesto: “Sono io un poeta fuori dall’epoca?, e che invece nel cuore dell’epoca è disceso, per scavarvi le sorgenti dello spirituale>>”.  Patrice de La Tour du Pin, è un poeta di forti problematiche esistenziali, di tormentata vicenda ontologica,  un uomo che bene può rappresentare l’eterna diatriba dell’essere contemporaneo in continuo e problematico porsi tra cielo e terra; condannato a interrogativi spesso senza risposta ma che nel poeta trovano la via di un credo vòlto a silenziare ogni contrasto interiore;  a trasferire lo sguardo verso il Cielo senza togliere piedi e spirito dalla sua terra, che amava a tal punto di viverla con una empatia morbosa e simbolicamente loquace: “… Lunga è stata la strada, per le campagne e i deserti, i sentieri e le paludi, fino al mare. Attraverso se stesso, le sue terre selvagge interiori, le voluttà istintive della caccia nel fremere all’unisono con la natura, in albe di bruma e ghiaccio, nel presagio della tempesta. E allora, rifugiarsi attorno a un fuoco in una casa di legno sperduta, dove raccontano leggende…”. 
        Un vero travaglio interiore, di scavo psicologico alla ricerca di se stesso; alla ricerca di una spiritualità personale attraverso i giochi di un panteismo di lucida estensione. Ogni lembo naturale non è mai a se stante, non è mai una semplice pastorelleria agreste, ma tutto è indirizzato a dare corpo ad una entità interiore; al dilemma ascensionale del poeta: portare con sé nelle alte sfere del Cielo la sua terra, il “fremito dei sensi nella natura, la meno addomesticata”, quella che soprattutto si sposa al “gusto della solitudine”; quella universale che il Signore ha voluto tratteggiare di ricami superlativi per dare esempio della sua generosità; per richiamarci a Lui con il dialogo con noi stessi. Tutto è bello attorno al poeta, tutto è umano e divino in questa simbiotica fusione tra cielo e terra; tutto è biografico. Un uomo nostro; dei nostri tempi, che vive tutte le contraddizioni del mondo occidentale. Chi di noi non cerca di azzardare lo sguardo oltre i confini; tanto di più un laico nel suo tentativo di dare un senso alla vita. Nessun uomo può accettare la grama soluzione di Thanatos; ognuno cerca un rifugio, un’alcova, un’isola dove poter trasferire i suoi beni più cari. Questo dilemma fra l’essere e il non essere, fra la terrenità e l’oltre, ha sempre contagiato l’uomo; la sua permanenza terrena. E di fronte all’idea della morte  ognuno ha sempre sofferto disagio e insoluzione. Ciò che non accade nel nostro Poeta che attraverso il suo percorso spirituale è riuscito ad approdare a quell’isola con l’anima tinta dei colori della sua Loiret, nel cuore della Sologne, dove sorge il castello del Bignon-Mirabeau, l’avita dimora dei La Tour du Pin, pur con tutti gli ostacoli alla crescita spirituale del rapporto fra il mistero di sé e Dio: “non esistono un terreno naturale e un terreno soprannaturale che possano venir separati”.  
Questo è il percorso del testo: una dovizia di documenti che la studiosa ha saputo impiegare con acribia intellettiva ed esperita saggezza, per raggiungere il suo scopo originale e dimostrativo; risolutivo e di valida connotazione letteraria con un metodo induttivo lineare e conclusivo. Ad arricchire l’opera un nutrito e corposo indice bibliografico.  


Nazario Pardini

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