Come
gli “scapigliati” il poeta concepisce la vita una successione di sventure che
avranno termine soltanto alla fine della vita stessa. Ma il suo pessimismo
trova accenti personali e la sua stessa
disperazione si giustifica con elementi accidentali ( il novembre, il fango,
gli uccelli che migrano, le foglie morte), che possono, nell’anima inquieta,
accentuare l’angosciosa coscienza della durata effimera di ogni creatura umana
e di ogni cosa terrena.
Novembre
ancora
Addio
sorrisi dell’albe rosate,
addio
tramonti che d’oro parete!
Novembre
porta le tristi giornate
e
della nebbia la grigia quiete!
Gli
uccelli migrano in file serrate
cercando
a volo contrade più liete,
ma
noi restiamo, calcando immutate,
sul
fango vecchio, le vie consuete.
Restiamo
e sempre le stesse infinite
noie
e le stesse speranze remote
c’infliggeranno
le stesse ferite,
finché
abbassando le teste canute,
chinando
al suolo le pallide gote,
qui
marcirem come foglie cadute.
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