" ... poi tornare nuovi"
<<La
bellezza ed il livello della poesia di Nazario Pardini sono tali che –
parlandone – vuoi per emozione, vuoi per entusiasmo, si rischia di apparire
retorici poiché non è improprio pensare ad Euterpe piuttosto che ad Erato né lo
è volare fino a Mercurio, alla sua
tartaruga, alla sua lira… tanto più se, a fine lettura, suggestionati da
un titolo come Alla volta di Leucade.
Quindi
frenati gli impulsi e al di là del fascinoso percorso per leggende, un fatto è
certo: questo Poeta, di limpida intuizione e nutrito dalla formazione culturale
(docente in lettere e Laurea in Lingua e Letteratura Francese, nonché in Storia
e Filosofia) su cui le origini toscane
molto hanno inventato, questo Poeta – si diceva – può a buon diritto
riconoscersi in alcuni dei canoni specifici che Schopenhauer ci ha lasciato.
Pardini risulta, subito, uomo d’armonia, uno che ha addirittura il dono di significare
il suo sentire “… a quel modo ch’ei detta dentro”. Il linguaggio è infatti
puro, così come animo e cultura gli dettano: l’essere si protende e si dilata
scandendosi in raffinatezze.
I
subbugli interiori, i timori, le nostalgie, la natura, i luoghi, i ritorni sono
iperguardati da un’iride che riceve immagini trasfigurate, il reale diviene
“reale pardiniano”. E, se merito del vero poeta è quello di non segnare confini
attorno al “suo” evento, ebbene Egli ha questo merito. Basta “saper leggere”
(come indica Vettori chiudendo la sua sapiente prefazione) per entrare
nell’incantamento, fortemente attratti da quel dire aulico che mai
fallisce per significanza e delicatezza:
tutto su una scia interiore che è ricerca placante.
Le mille
ed una scheggia della sua sensibilità, Pardini le esterna grazie a vene
d’amore: per la Natura
(dove Settembre impera in sempre rinnovata metafora del nostro – diremmo –
Grande Tramonto) e per le cose semplici (dove ogni articolare assurge a dignità
di sentimento); ed, ancora, per poeti greci ed antichi miti (che sembrano
richiamo a migliore poesia). Schegge, con cui il poeta crea unità d’abbraccio
verso ciò che – nel bene e nel male – è, comunque, “superbo dono”: la
vita.>>
Lucia Bruno da “Hyria” dicembre 2000
Nessun commento:
Posta un commento