POSTFAZIONE
di Jacopo Chiostri
Potremmo fare un
gioco. Scrivere sui suoi ciottoli lavati dall’onda, quelli che conservano anche
le memorie della sua esistenza, i versi, ciascun verso, di questa raccolta di
Giusy Frisina, mescolarli in un elegante contenitore, rosso ‘come una borsetta
di pelle lucida abbandonata su un prato dopo una notte di pioggia, a fine
estate, in una folle corsa a perdifiato’, e dopo un’energica mescolata,
estrarli uno ad uno e comporre una, dieci nuove poesie. Ciò sarebbe possibile
in ragione di due fattori: la potenza individuale dei singoli versi e la loro
coerenza non solo con ogni singolo enunciato, ma soprattutto con quello che, a
chi scrive, pare il filo conduttore di questo lavoro.
Ci sono, tra le
tessere che lo compongono, due di loro, dove, illuminate dalla rifrazione della
luce lunare, appaiono, infatti, e in tutta evidenza, due voci, nostos e algos,
ritorno a casa e dolore, le quali, legate assieme, ne formano una terza, quella
che, mal compresa, abusata, bistratta, va sotto il nome di ‘nostalgia’;
nostalgia nelle stelle ‘che stanno a guardare’, nel ‘tempo di una ruga’, nella
‘notte dei rimpianti’, nello ‘scorrere dei ruscelli’, nel voler credere
ciecamente che, davvero, ‘domani è un altro giorno’.
Attenzione però,
anche se la poetessa dedica una lirica struggente alla casa avita, il suo
‘ritorno a casa’ non è un abbandono del presente, una rinuncia, un abbandonare
le armi o peggio il rifugiarsi nei confini, accomodati, ed accomodanti, del
ricordo. C’è al contrario, nel suo canto, un modo di vivere la ‘nostalgia’ che
diremmo di pasoliniana memoria, nostalgia cioè come conseguenza dell’accettare
di perdersi, in quanto premessa indispensabile per, poi, ritrovarsi e come
passaggio, anche questo indispensabile, per legare assieme i passi del nostro
cammino a salire e scendere le montagne russe della coscienza.
Le ‘madeleine’ quindi
non sono, qui, un sapore perduto, bensì un’esperienza, in questo caso
sensoriale, acquisita, di cui servirsi per riconoscere e scegliere i nuovi
gusti che incontreremo lungo strada. Valutarne la consistenza e, eticamente
conditio sine qua non, chiedere a viva voce che a nessuno sia negata la propria
parte.
Giusy Frisina si
affaccia a una finestra per salutare quel cerchio pallido, consumato dalla
responsabilità di ogni notte risvegliarsi e farsi carico del compito di
sentinella delle umane debolezze: da quella finestra, guardando davanti a sé,
si vedono due mari, uno metafisico e uno terreno (che profuma di salsedine),
che lei sovrappone fino a renderli indistinguibili; quindi la seguiamo mentre
pone i piedi nella risacca e dopo, quando chiusi gi occhi, aspetta, consapevole
che quel perpetuo ‘ritorno’ ci rassicura che una speranza ancora è possibile.
Da quella stessa
finestra entreranno, e verranno accolti, Pinocchio, ‘la vita parallela’, ucciso
dai pregiudizi e dalla paura, Giovanna d’Arco, simbolo di chi perde una
battaglia ma ancora non si arrende, e infine, accolto con tutto l’amore di cui
è capace, un piccolo essere, venuto, forse... ma no: venuto per certo, a
ricordare che ‘la vita è bella’.
Si può avere
nostalgia delle cose mai cominciate, come pure, paradossalmente, dei luoghi che
già abitiamo e il genio è indifferentemente chi si allontana come colui che
rimane, così come, altrettanto, credere o non credere possono essere ‘la stessa
cosa’, come leggiamo in ‘Mi manchi’, struggente colloquio col padre, la
figura che, a ben guardare, è presente in ciascuna delle infinitesimali
molecole della filigrana di ciascuna di queste pagine; il padre che
difficilmente vorrà tornare a vedere un tramonto con la figlia perché
‘l'Eterno, che aspettava curioso ormai da tanto tempo, pare sia molto più bello
del sole che va giù’.
Il ricordo però non
si arrende, ed è sola consolazione per la poetessa con fermezza credere che
anche la perdita ‘si capovolgerà nel buco bianco della resurrezione’.
È lì che il nostro
cammino si dirige? Difficile a dirsi. Certo è che prima, transitando dalla
porta di quello che siamo, resta tanto da fare; per tutti i bambini di tutto il
mondo. Per loro e perché, in fondo, solo questa è la vera, possibile,
restituzione di luoghi e di persone.
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