giovedì 15 agosto 2024

Giusy Frisina :" Luna Perduta "


 

                                                                POSTFAZIONE

                                                             di Jacopo Chiostri

 

Potremmo fare un gioco. Scrivere sui suoi ciottoli lavati dall’onda, quelli che conservano anche le memorie della sua esistenza, i versi, ciascun verso, di questa raccolta di Giusy Frisina, mescolarli in un elegante contenitore, rosso ‘come una borsetta di pelle lucida abbandonata su un prato dopo una notte di pioggia, a fine estate, in una folle corsa a perdifiato’, e dopo un’energica mescolata, estrarli uno ad uno e comporre una, dieci nuove poesie. Ciò sarebbe possibile in ragione di due fattori: la potenza individuale dei singoli versi e la loro coerenza non solo con ogni singolo enunciato, ma soprattutto con quello che, a chi scrive, pare il filo conduttore di questo lavoro.

Ci sono, tra le tessere che lo compongono, due di loro, dove, illuminate dalla rifrazione della luce lunare, appaiono, infatti, e in tutta evidenza, due voci, nostos e algos, ritorno a casa e dolore, le quali, legate assieme, ne formano una terza, quella che, mal compresa, abusata, bistratta, va sotto il nome di ‘nostalgia’; nostalgia nelle stelle ‘che stanno a guardare’, nel ‘tempo di una ruga’, nella ‘notte dei rimpianti’, nello ‘scorrere dei ruscelli’, nel voler credere ciecamente che, davvero, ‘domani è un altro giorno’.

Attenzione però, anche se la poetessa dedica una lirica struggente alla casa avita, il suo ‘ritorno a casa’ non è un abbandono del presente, una rinuncia, un abbandonare le armi o peggio il rifugiarsi nei confini, accomodati, ed accomodanti, del ricordo. C’è al contrario, nel suo canto, un modo di vivere la ‘nostalgia’ che diremmo di pasoliniana memoria, nostalgia cioè come conseguenza dell’accettare di perdersi, in quanto premessa indispensabile per, poi, ritrovarsi e come passaggio, anche questo indispensabile, per legare assieme i passi del nostro cammino a salire e scendere le montagne russe della coscienza.

Le ‘madeleine’ quindi non sono, qui, un sapore perduto, bensì un’esperienza, in questo caso sensoriale, acquisita, di cui servirsi per riconoscere e scegliere i nuovi gusti che incontreremo lungo strada. Valutarne la consistenza e, eticamente conditio sine qua non, chiedere a viva voce che a nessuno sia negata la propria parte.

Giusy Frisina si affaccia a una finestra per salutare quel cerchio pallido, consumato dalla responsabilità di ogni notte risvegliarsi e farsi carico del compito di sentinella delle umane debolezze: da quella finestra, guardando davanti a sé, si vedono due mari, uno metafisico e uno terreno (che profuma di salsedine), che lei sovrappone fino a renderli indistinguibili; quindi la seguiamo mentre pone i piedi nella risacca e dopo, quando chiusi gi occhi, aspetta, consapevole che quel perpetuo ‘ritorno’ ci rassicura che una speranza ancora è possibile.

Da quella stessa finestra entreranno, e verranno accolti, Pinocchio, ‘la vita parallela’, ucciso dai pregiudizi e dalla paura, Giovanna d’Arco, simbolo di chi perde una battaglia ma ancora non si arrende, e infine, accolto con tutto l’amore di cui è capace, un piccolo essere, venuto, forse... ma no: venuto per certo, a ricordare che ‘la vita è bella’.

Si può avere nostalgia delle cose mai cominciate, come pure, paradossalmente, dei luoghi che già abitiamo e il genio è indifferentemente chi si allontana come colui che rimane, così come, altrettanto, credere o non credere possono essere ‘la stessa cosa’, come leggiamo in ‘Mi manchi’, struggente colloquio col padre, la figura che, a ben guardare, è presente in ciascuna delle infinitesimali molecole della filigrana di ciascuna di queste pagine; il padre che difficilmente vorrà tornare a vedere un tramonto con la figlia perché ‘l'Eterno, che aspettava curioso ormai da tanto tempo, pare sia molto più bello del sole che va giù’.

Il ricordo però non si arrende, ed è sola consolazione per la poetessa con fermezza credere che anche la perdita ‘si capovolgerà nel buco bianco della resurrezione’.

È lì che il nostro cammino si dirige? Difficile a dirsi. Certo è che prima, transitando dalla porta di quello che siamo, resta tanto da fare; per tutti i bambini di tutto il mondo. Per loro e perché, in fondo, solo questa è la vera, possibile, restituzione di luoghi e di persone. 

 

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