martedì 8 novembre 2011

Paolo Ruffilli, L'isola e il sogno, Fazi, 2011


 Commento 
L’isola e il sogno, Fazi, 2011
di 
Paolo Ruffilli 

Nievo, l’uomo e il potere; il sogno di un’isola.
  
Caro Paolo,

sono rimasto affascinato dalla narrazione puntuale e avvolgente; lo definiamo romanzo storico?, lo definiamo romanzo biografico?, lo definiamo prosa poetica?, lo definiamo poema risorgimentale?, o una grande rielaborazione di epopea storica annaffiata di pathos personale, e rigettata sul foglio? Il fatto sta che L’isola e il sogno è tutto questo. Ma soprattutto è l’originalità del linguaggio (a volte troppo nuovo, a volte “celiniano” direi, pur sempre personalissimo) ad attrarre il lettore. 
               Tutto ruota attorno al personaggio Nievo, umano, troppo umano con il suo spleen che in parte riesce a soddisfare con il suo coinvolgimento patriottico. E tutto, anche se sequenza narrativa e descrittiva, (oh quei profumi di zagare!) volge a far dilatare la introspettiva, a far risaltare l’inquietudine, l’incertezza, la malinconia, e anche quel poiein decisivo che fa del personaggio un grande patriota risorgimentale. Ma a parte l’aspetto storico, ho trovato coinvolgente l’uomo, la complessità del personaggio con tutte le sue vicende esistenziali, con tutto il patema quasi pirandelliano dell’essere e dell’esistere. Risalta in maniera romantico-realista, o storico-romantica, o elegiaco-analitica la complessità del giovane Nievo, complessità che lo rende attualissimo, molto vicino a noi contemporanei nelle sue esitazioni e nelle sue, anche, avventate risoluzioni. E attualissimo fuoriesce dal contesto il senso di un potere che forse non merita tanto sacrificio. E la morte, la morte, quanto ci è vicina con tutti i suoi rimpianti, con tutte le affrettate meditazioni sulle nostre incompiutezze! Sottintende anche il dilemma umano del destino delle nostre memorie. Chi le affida ad un dio, chi le affida ad un credo, chi ad un’isola (quale potrebbe essere quella di  Leucade), come aspirazione laica ad un approdo che non è ultimazione, ma quella parte di noi che più ci avvicina all’inarrivabile. Ma soprattutto nel libro si colgono scintille emotive, sprazzi di panismo esistenziale (oh la Sicilia coi suoi profumi visivi!), che ci riportano ad un interrogativo annoso quanto l’uomo: è il poeta che trascina il narratore, o è il narratore che un po’ sperso nei meandri, nei momenti liricamente superbi ritrova il poeta? Perché solo se si è veri poeti si possono scrivere pagine tanto affabulatrici quanto quelle che riguardano la Sicilia.
   
                                                                                                 Nazario Pardini
Arena Metato 15/ aprile 2011

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