L’isola e il sogno, Fazi, 2011
Nievo, l’uomo
e il potere; il sogno di un’isola.
Caro Paolo,
sono rimasto
affascinato dalla narrazione puntuale e avvolgente; lo definiamo romanzo
storico?, lo definiamo romanzo biografico?, lo definiamo prosa poetica?, lo
definiamo poema risorgimentale?, o una grande rielaborazione di epopea storica
annaffiata di pathos personale, e rigettata sul foglio? Il fatto sta che L’isola e il sogno è tutto questo. Ma
soprattutto è l’originalità del linguaggio (a volte troppo nuovo, a volte “celiniano”
direi, pur sempre personalissimo) ad attrarre il lettore.
Tutto ruota attorno al
personaggio Nievo, umano, troppo umano con il suo spleen che in parte riesce a
soddisfare con il suo coinvolgimento patriottico. E tutto, anche se sequenza
narrativa e descrittiva, (oh quei profumi di zagare!) volge a far dilatare la
introspettiva, a far risaltare l’inquietudine, l’incertezza, la malinconia, e
anche quel poiein decisivo che fa del personaggio un grande patriota risorgimentale.
Ma a parte l’aspetto storico, ho trovato coinvolgente l’uomo, la complessità
del personaggio con tutte le sue vicende esistenziali, con tutto il patema
quasi pirandelliano dell’essere e dell’esistere. Risalta in maniera
romantico-realista, o storico-romantica, o elegiaco-analitica la complessità
del giovane Nievo, complessità che lo rende attualissimo, molto vicino a noi
contemporanei nelle sue esitazioni e nelle sue, anche, avventate risoluzioni. E
attualissimo fuoriesce dal contesto il senso di un potere che forse non merita
tanto sacrificio. E la morte, la morte, quanto ci è vicina con tutti i suoi
rimpianti, con tutte le affrettate meditazioni sulle nostre incompiutezze!
Sottintende anche il dilemma umano del destino delle nostre memorie. Chi le
affida ad un dio, chi le affida ad un credo, chi ad un’isola (quale potrebbe essere
quella di Leucade), come aspirazione
laica ad un approdo che non è ultimazione, ma quella parte di noi che più ci
avvicina all’inarrivabile. Ma soprattutto nel libro si colgono scintille
emotive, sprazzi di panismo esistenziale (oh la Sicilia coi suoi profumi
visivi!), che ci riportano ad un interrogativo annoso quanto l’uomo: è il poeta
che trascina il narratore, o è il narratore che un po’ sperso nei meandri, nei
momenti liricamente superbi ritrova il poeta? Perché solo se si è veri poeti si
possono scrivere pagine tanto affabulatrici quanto quelle che riguardano la
Sicilia.
Nazario
Pardini
Arena Metato
15/ aprile 2011
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