sabato 17 dicembre 2011

Da L'azzardo dei confini, Booksprnt, Buccino 2011

Da L'azzardo dei confini
Booksprint Edizioni,
Buccino 2011

L'azzardo dei confini, Booksprint, Buccino 2011



Akragas







Man mano che Agrigento si avvicina

s’infoltiscono i mandorli. Si coprono

di nuvole di perla sopra i prati

o sul grigiore brullo di colline

dall’umore ipogeo. È proprio il tempo

che la città si rianima e fa festa

per la sagra del Mandorlo

in fiore. E per la strada è un’emozione

quando il sole cala rubicondo

a tingere di porpora il candore

delle trepide gemme. Dalla costa

si stagliano allungate sul crinale

le case di pastello. E il tempio d’Eracle

s’infoca in primo piano

- entro in città dalla valle dei templi -.

Dal cavo il tauro bronzeo bramisce

disperati muggiti, e dalla valle

i lamenti di donne e di bambini,

che ai ferri di Carthago disperati

pensano in fiamme i lari. Io mi ritrovo

spaesato e commosso. Sono in preda

di miti e fantasie. Di una storia

che superba mi avvince. Eppure l’Etna

vomita gli urli del divino Empedocle

assieme al suo calzare incandescente.

E le celle, schiarite dall’Oriente,

evadono dattorno                  

metafisici suoni. Il crepitare

mi sembra che diffonda misterioso

il senso della vita e del divino,

se soprattutto il tufo si fa d’oro

quando si mischia il rosso della sera

al fiottare del sangue ed ai singulti

di cento buoi sgozzati. Ancora l’ara,

che è turgida e crepata, esala l’acro

umore dei bovini. Ma è dintorno

alle soglie di Zeus che si levano

le voci bisbiglianti o i gridi acuti

per ingraziarsi il dio. Ed io mi fondo

assieme a quelle genti che scampate

si videro dall’armi del nemico.

Le colonne arrossate

rimbalzano nel cielo la mia voce.



25/04/1999


L’azzardo dei confini







Parliamone. Non ti pensare

che le cose più belle vengano fuori

da quei giardini in fiore.

I profumi più intensi

di solito respiri

sulle pianure incolte;

rimaste abbandonate.

È là che si sprigiona

la coscienza di esistere,

l’azzardo dei confini.

Ricordati le strade

che sortiscono i silenzi dei fossati

fattisi piste

per i ragazzi allegri del paese.

I viottoli che vanno lungo gli argini

a immettersi tra il folto dei canneti

ad ascoltare i cori di cicale.

O meglio ancora l’azzurro che divora

il chiasso dei mortali.

Là sentirai più schietto

del chioccolio lo scorrere dell’acqua

tra il verde profumato d’abbandono.

Là delle contrastate ambizioni

tutt’a un tratto svanisce lo sfronto,

e spetta anche a noi una fetta di mistero

tra il silenzio degli ulivi.

Credimi, in questi momenti,

dove le immagini si lasciano afferrare

come disposte a svelare

il loro sottile legame,

quasi quasi ci sembra di carpire

la debolezza del cielo,

l’errore umano commesso dal divino.

E l’occhio trasmette

i minuti schizzi all’anima che li assorbe

al variare dei tocchi appena è sera.

È qui che il silenzio ci dice

quanto l’ombre degli uomini

si allunghino all’umano degli dei.



Ma quanto brevi i ritorni

ad indagare il senso. È il bagliore

che torna accecante a sommergere

il filo di luce

che demarca i confini.

E squilla forte il sole

per nascondere

i brevi acuti che ci fanno inquieti.



07/08/2000


Sull’isola di Crono







Passai tutto quel tempo coi pescatori

dell’isola di Crono. Non era umano,

non lo era quel verde che mordeva

con tutta la sua forza. Non c’erano tracce

della nostra civiltà poco civile.

M’infilavo in quei tratturi dai rami

macerati dal tempo. Si arcuavano  

e tappavano i profili tra gli intrichi

sconnessi e misteriosi.

È là che ti conobbi (amore è dire poco)

bellezza rara nata ad ospitare

le spelonche dei sogni. Onde celesti

dell’Oceano più grande gli occhi tuoi.

Esondarono su me con le cascate

dei capelli lucenti di diamanti.

Quanto può esser vera una finzione

se gode l’anima in armonia con l’eros

oltre ogni ragione. Mi ricordo:

c’era una spiaggia bianca di sale.

E una capanna

sotto le palme al borbottio del mare.

Il sogno non ha tempo e non lo ha

l’amore che sognato resta sogno.

Ma la ragione,

quella che fece la storia,

la sola facoltà che fa dell’uomo

un essere pensante; la ragione,

quella che partorì

la casa, la parola, la memoria;

fu proprio lei che spense il mio piacere.

Riuscì perfino ad inserirsi

nell’anima dell’anima

con una sua finzione.

Un sogno dentro il sogno.

E sempre in sogno

mi attendevano gli amici e il mio lavoro.

Quando venne l’ora di partire

si stagliava nel cielo un cumulo di nubi:

una città sul mare,

una piccola città che galleggiava

sopra un immenso mare.



15/09/2000








Ignoto verso il mare







Il cielo è terso e il bianco della brina

quasi inneva i miei campi. I passerotti

rapinano il tepore delle piume

sui rami che sperano dal cielo

nuove buttate da donare ai nidi.

È febbraio. Non vedi per i campi

traccia di paesani; tutto è fermo.

Persino lo svolare

attende l’ora calda. Mi soffermo

sul prato più vicino a casa mia,

calpesto il suolo,

e il piede batte fesso sul tostato.

Ma è il mese che si avvia

a prometterci speranze; la mimosa

staglia il suo giallo sopra la campagna

e ricorda il colore di ginestra

che gonfierà l’estate. A te mi dono

mese di nostalgie! Di quando a sera

ci si accostava al fuoco con un animo

già pronto ad incontrare primavera:

il piede scalzo, le corse fra le vigne,

la sorpresa di un nido tra i filari.

E ti rivivo,

seppur la mia speranza

non cova rami in fiore;

e anche se negli spasimi

di due colombi sopra la grondaia

me la ricordo lesta,

ora è la voglia d’altro

che mi riporta a un fiume

e mi trascina ignoto verso il mare.



24/01/2010     h. 10







Il profumo della giovinezza







Un ricordo qualsiasi e quel giorno

pieno di luce che torna reale

a illuminare l’anima. I bei volti

che fanno giovinezza e che sprigionano

la voglia della vita. Mi guardavi

un po' vaga e distratta

senza affrontare sul serio l’amore.

Ed io che ti perdevo. Inutilmente

restarono i tuoi occhi appiccicati

alla mia resistenza. Giovinezza:

sortivi il tuo profumo

intento ad un sorriso dolce amaro.

Ed i falò sul mare, le nottate

a cacciare la luce del mattino,

le corse a piedi nudi sulla sabbia

arroventata. E tu che mi guardavi

con aria sospettosa.

Andiamo ancora insieme in quel paese:

quello con la piazzetta in mezzo ai tigli,

quello del barettino che ci offriva

il cioccolato caldo. Andiamo, andiamo

tu ed io soli, giovinezza, andiamo.

Ritroveremo nel verde dei tigli

gli occhi fugaci della nostra Delia.

Quanto profumi ancora! Il tuo sapore

sa di mare, di campo, di verbena,

sa di gioia, tristezza, di vaghezza;

sa d’amore, d’amore sano e puro

di un tempo fisso in seno. Forse là,

là dove il cielo incontra l’orizzonte,

resistono gli sguardi

a un’aria che sapeva di speranza.



Si chiudono le imposte al mio paese;

tornano a casa i giovani, ma tu

ti trattieni con aria indifferente

sulla panchina della piazza verde

a seminare amore.



09/10/2007









Sotto il sole della nostra Toscana







Ti chiedo solamente di restare

ancora assieme a me sotto il bel sole

della nostra Toscana. Tutt’attorno

ci faranno compagnia le verdi groppe

delle sparse colline ricamate

di biondi girasoli. Ed i poderi

che allungano viali limitati

da giganti cipressi. E i casolari

sulla cima dei colli a contemplare

gli spessi grani mossi dal respiro

di un cielo cristallino. Questo chiedo.

Ti chiedo di restare assieme a me

a bearti di torri e di castelli,

di piazze chiacchierate da fontane,

di chiese incise da mani di artigiani,

di sagre, di bandiere svolazzanti

su rughe di contrade

a ricordarti arcaiche vestigia.

E poi insieme movendo su sentieri,

profumati di timo e rosmarino,

ritroveremo i passi di un viale

che ci portava in cima a un paesino

coccolato da mura medioevali.

Di certo avrai in memoria una fontana

dove specchiammo i volti

che dicevano speranze. Affacceremo

i nostri sguardi sul piano fecondo

di allodole chiassose. E gusteremo

in vetri ricamati dai tuoi occhi

il sangue di una terra

sforato al solatio. Resta ancora.

Non mi lasciare solo. Senza te

la mia Toscana è povera di sole,

le mura medioevali senza te

non parlano di storia.

Restiamo ancora fino a tarda sera.

Il sole è là che trova il suo riposo,

lontano, in fondo al piano.

Ti emozionavi se i raggi rubino

tingevano di rosso le tue vesti,

e le vesti di un mare

che ti portava dritto all’infinito.



15/10/10   h. 17,30










Il mio ritorno







Si accendono le luci nelle case

e per le vie del borgo. Sarà notte!

Per ora il giorno mangia virtuale

la luce dei lampioni. È il mio ritorno.

Presto l’oscuro mangerà il cammino

e il verde dei miei colli e le memorie.

E spero solo che la luna in cielo

porti a spasso del sole, col suo volto

perlaceo e le sue chiome, dei frammenti

di luce. Tanto spero di vedere:

se privo di ricordi, alle colline

nell’ora del ritorno il mio partire.




25/02/1978

1 commento:

  1. Veramente intenso il succedersi delle immagini e dei pensieri nella poesia eponima. Anche se in qualche verso risalta chiaro il messaggio montaliano, e addirittura mi sembra che l'autore ne riportati qualche verso, nell'insieme ci arriva, come richiamo nuovo e poeticamente valido, il concetto che l'uomo è più vicino al mistero dell'universo quando è a contatto di una natura abbandonata nel suo disordine primitivo. E' là che ci si può avvicinare il più possibile all'inarrivabile. "Là sentirai più schietto / del chioccolio lo scorrere dell'acqua / tra il verde profumato d'abbandono". Credo che sia stata scelta una poesia veramente adatta al titolo del testo. E che il contenuto centrale della poesia stessa sia motivo di unità e compattezza dell'opera. L'ho letta tutta. Ci sono alti e bassi, come in tutti i testi. Ma nei momenti migliori Pardini raggiunge delle vette di liricità esistenziale veramente coinvolgenti. Mi piace poi il linguaggio volutamente semplice e privo di orpelli imgannevoli e mistificatori. Un linguaggio arrivante a prima lettura. Un grazie a Pardini per L'azzardo dei confini.

    Prof. Franco Petruzzelli

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