E ti rivissi, vita,con un sentire lieve e tanto amato che in ogni fatto lieto o meno lieto,ma scampato, vidi un superbo dono
giovedì 22 marzo 2012
Tre poesie di Sandro Angelucci commentate da poeti e critici
2 commenti:
- Anonimo26 marzo 2012 alle ore 10:03
Sandro AngelucciMar 23, 2012 02:14 PM
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Riporto il commento del poeta Giannicola Ceccarossi:
Poesie di Sandro Angelucci
1 - "Dove il limite si perde"
Aria, refoli di vento, fiori di campo, erba recisa. Sono queste le fragranze che avverte il poeta e tutto espresso con un linguaggio delicato e coinvolgente. Ma il poeta si chiede dove troverà quelle stesse emozioni. Forse nel cuore o forse in un mondo sconosciuto o solo immaginato. E gli ultimi due versi danno il segno, un profondo segno, che non c'è più nulla da capire perché la vita ci ha accompagnato in un percorso non voluto. Ci salverà il cuore? Forse è proprio così!
2 - “Sovvertimento”
“E' qui/la bellezza che cerchi/se solo la guardi”
Uno specchio a più facce dove il poeta immagina canti e suoni. Dov'è il principio delle cose? Dove la nascita? Quali i percorsi da seguire? Forse ciò che unisce questi specchi deformati è il desiderio di credere, la fede dei fanciulli e così il poeta può riconoscere anche i segreti della morte. E' la fiaccola che è nel cuore del poeta ad accendersi. E non si spegnerà mai!
3 - “Matriosca”
E' un piccolo quadro con il merlo che canta la fine della pioggia e una fessura dalla quale prorompe – indisturbato – un lembo di luce. No, caro poeta, cerchiamo in noi stessi, scaviamo nel profondo del nostro cuore con i dubbi che ci hanno tormentato e che ancora, alla soglia degli anni maturi, ci affliggono. Forse questo è il segreto del nostro vivere. “Matriosca” o petali di una rosa.
Giannicola Ceccarossi
RispondiElimina - Anonimo2 aprile 2012 alle ore 02:59
Riporto il commento del critico, Prof. Floriano Romboli:
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Per Sandro Angelucci
E’ centrale nella poesia di Sandro Angelucci l’idea della non-autosufficienza della realtà sensibile.
Coglierne i dati immediati, apprezzarne l’evidente e coinvolgente bellezza rischia di essere operazione manchevole, allorché si chiuda alla ricerca di significati ulteriori, più profondi, metempirici. Questi ultimi di certo non oscurano ( e tanto meno umiliano) la dimensione prima dell’esperienza; piuttosto ne rivelano l’interna tensione, il valore riflesso, ne esplicitano le vibrazioni segrete, il mistero in essa contenuto che rimanda a una Presenza superiore pienamente avvalorante e illuminante.
Per questo Angelucci non si appaga del semplice sguardo “orizzontale” sulle cose; poeta “assetato di Dio”, predilige coerentemente una visione “verticale”.
Floriano Romboli
"Se non si può
almeno ci si provi con il cuore
ad intuire:
ci scopriremo non formati ancora
proiettati come luce nel futuro." E' tutto là il grande senso della poesia: andare oltre i confini dello spazio ristretto del soggiorno.
Ed è quello che fa Angelucci con le sue impennate verbali, con le sue intuizioni etimo-foniche, con le sue vibrazioni interiori e con quel grande slancio estetico-linguistico vòlto a completare quell'equilibrio eternamente umano e dis/umano fra l'anima che canta e la parola che suona. Ed è proprio Angelucci a dimostrrarci che la Poesia non è uno scherzo, è proprio lui che con i mezzi umani, forse troppo umani, cerca con una vertginosa verticalità, di allungare lo sguardo oltre quei limiti che esigono l'apporto dell'anima. Se poi l'abbondanza di emozioni è sorretta e controllata da intrecci metrici di grande impatto armonico si fa esemplare il dettato poetico. E parlo dell'impiego di una saggia varietà versificatoria, che passando da misure brevi quali quinari o senari, prepara il terreno a una cascata di armonie endecasillabe, epicentri e culmini di luminosa liricità.
"Forse il segreto
è quello di non porsi le domande
che non possono avere una risposta
o, se ce l’hanno,
è quella che sappiamo,
che da sempre fingiamo d’ignorare"
Direbbe il poeta: "La vita ha bisogno del sogno, come la morte ha bisogno della vita.
Ma è proprio la morte a far sì che il sogno vada oltre l'umano per farsi sostanza, e pezzo di un cuore che vinca la sorte."
Nazario Pardini
Andrea Mariotti
L'accezione mistica che spesso li connota reputo sia altamente
riduttiva.
L'autore, infatti sia nel primo volume che nella silloge
"Verticalità" porta avanti una disamina scrupolosa sulle tematiche forti che caratterizzano il nostro tempo, legandosi a concetti filosofici e a programmi poetici, che rendono i suoi lavori ben diversi dalle semplici raccolte di liriche.
La tendenza del caro Sandro a valorizzare il mondo degli affetti , a cercare il ritorno ai valori rispecchiano il 'fanciullo' intimista... in parte pascoliano, che permea la sua arte e il suo quotidiano, ma anche l'uomo che non si arrende, che di fronte al male tiene alti la dignità e il rispetto di se stesso e del prossimo.
La chiusa del primo componimento: "S'inizia a vivere / quando non
c'è più nulla da capire", che a mio modesto avviso, rappresenta una lirica in se stessa, rende l'idea di quanto Sandro sia teso ad arco verso l'irrazionalità della fede, ma non la consideri la ragione delle stagioni che attraversiamo, bensì il limite ultimo per poterci definire 'vivi'. La sua ascesi mistica è un cammino in salita, irto di ostacoli, di difficoltà, è un perenne mettersi
in discussione... Non a caso in "Verticalità" si ispira al filosofo Kirkegaard e ripercorre le tappe dell'esistenza in modo
analitico e, a tratti, doloroso. Sandro nei suoi libri non esita a farsi male. E la grandezza dell'Artista si evince proprio dalla capacità di dare ai versi una consecutio, di crearli con stile fluido, diretto, fruibile, eppure di raro lirismo, come tessere di un grande mosaico, che racconta la pienezza e la fatica della vita.
Sullo stile mi piace precisare che egli rifugge dalla gabbia metrica, ma impreziosisce i suoi versi di endecasillabi perfetti
e si sottrae alla seduzione delle metafore ardite, dell'ermetismo, per arrivare come spada di luce a trafiggere le anime dei lettori... incatenandole!
Lo ringrazio ancora e sempre per tanto Dono!
Maria Rizzi
La poesia di Angelucci scaturisce dall’interno di un’onda pensante che si sbaglierebbe a confondere con un pensiero costruito nel proprio laboratorio mentale, bensì recepito nello stesso, e ciò riporta l’attenzione sui processi ispirativi propri della poesia e dell’arte in generale, senza per questo svalutare l’indispensabile lavoro (poiesis) del genio artistico.
Ispirazione e fare artistico si pretendono reciprocamente e non si capisce come mai in sede idealistica e strutturalistica abbiano cercato di escludersi vicendevolmente, come il diavolo e l’acqua santa. In realtà stanno l’una nell’altro esattamente come l’una nell’altro stanno la materia e lo spirito, il naturale e il sovrannaturale: facce diverse della medesima medaglia. Non c’è separazione tra le due, ma solo mutamento di prospettiva (“lo specchio che ci capovolge): “Forse non esistono segreti / o sono così grandi / da contenersi l’uno dentro l’altro”.
Superficie e profondità si coappartengono e inutilmente si cerca di dividerli, tendendo trappole all’unione. Da qui l’esortazione di Angelucci ad andare oltre la ragione: “almeno ci si provi con il cuore / ad intuire”. Non dovremmo affidarci ciecamente e totalmente alla ragione. Dove questa fallisce, dovrebbe scattare la molla di altre risorse insite nell’animo umano: “S’inizia a vivere / quando non c’è più nulla da capire” e “Forse il segreto / è quello di non porsi le domande”. Abbandonarsi all’Essere, dunque, e crescere nel mistero, anziché ostacolarlo con le isteriche e pretestuose pretese della dea ragione.
Franco Campegiani