lunedì 22 aprile 2024

Anna Vincitorio legge Jean Tardieu

 JEAN TARDIEU


Il fiume nascosto

Poesie 1938 – 1961


Scrittore di forte fecondità si è espresso in opere di ogni genere e tono: umorista, metafisico, drammatico e poeta… Un poeta fortemente inquieto. Importante per lui “chiedere senza fine come si possa scrivere qualcosa che abbia un senso”.

Concepisce la poesia come la conquista di un mistero. Per lui la conoscenza è intuitiva e discontinua. Sempre presente la violenza del desiderio. Quello che lui scrive deve appagare la sua necessità di esprimersi indipendentemente dalla comprensione e dal diletto del lettore.

Poesia che non sempre s'intuisce ma ti afferra e disorienta. Siamo davanti a dei muri di silenzio nei quali immergersi e sconfinare in sogni inquieti. Nulla è spiegato. Davanti al lettore il caos; la morte un istante di distrazione. Il poeta non può che assaporare la bellezza del mondo e salvarla almeno provvisoriamente dalla rovina. Sul destino delle cose il profondo fetore della morte.

“Tutto sarà disperso, il mondo e l'uomo”.

Figlio di artisti: la madre musicista (suona l’arpa) e il padre pittore. Cominciò a scrivere in giovanissima età. Molto influenzato dal suono dell’arpa è portato a sognare e amare seguendone l’armonia.

E nella musica col passare degli anni, il ricordo della antica felicità legata all’infanzia.


Gli occhi bendati, le mani tremanti

tradito dal rumore dei miei passi

che segue ovunque il mio silenzio

perdendo la traccia dei miei giorni

e io, sia che aspetti o che vada oltre

mi rigiro nel fondo del mio sonno

desolato come la speranza

innocente come il rimorso.

Un uomo che finge di vegliare

imprigionato nella sua infanzia

l'avvenire splende immerso

nella sua immobilità.

Noi ancora ce ne ricordiamo

Il sole vibra senza fare un moto

Il tempo monta come il mare. 

Trad. Anna Vincitorio

Per lui l'infanzia anche se imprigiona, è certezza alla quale attingere per poi proseguire. Frequenta a Parigi il Liceo Condorcet e pubblica i primi testi sulla Nouvelle Revue Française. Per avvicinarsi a Tardieu bisogna leggerlo, leggerlo e assimilarne il messaggio. È difficile penetrare le sue parole.


Noi siamo riuniti presso il male

che l'invisibile uragano percuoteva

Questa notte pareva cospirare con noi;

colma d'oro sottratto, era come un cofano

risuonante di consigli

“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero:

“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato

“nostro capo”.

– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,

nel medesimo istante si fusero,

le nostre mani serrate e febbrilmente

unite come una nuvola d'uccelli

Ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,

Un leggero soffio bianco di luce

che preso – nella sua corsa – venne verso di me

e passò sulla nostra ombra, disteso, distrutto, fluttuante,

col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”

Mormorò l'ultimo dietro di noi – Partivamo!

Era solo al sorgere del giorno

Ho visto un solo volto: l’onda

Loro si sono riuniti lontano da me

per parlare nella loro lingua sconosciuta

io aspetto 


Trad. Anna Vincitorio


Va riconosciuto, a mio modesto avviso, che pur non penetrando il significato della poesia di Tardieu, ne siamo inghiottiti e vaghiamo in essa percorrendo il suono delle sue parole, sperduti ma emotivamente coinvolti. È chiaro che suoi compagni sono le ombre, la speranza, la paura, la certezza e il rimorso. 

“oh aliti che rianimate la fiamma spenta

quale fumo ai margini della morte!”

Per concludere possiamo definire la sua opera come poesia evidente, diretta e tragica; carica tuttavia di una grazia misteriosa se non quando lui stesso si avvicina all'ammissione dell'irreparabile.


Per la notte e per il sole

condannato senza prove e colpe

ai muri del mio stretto spazio

io mi rigiro nel fondo del mio sonno

desolato come la speranza

innocente come il rimorso…


Trad. Anna Vincitorio

NOTA BIO BIBLIOGRAFICA


Jean Tardieu nato il 1° novembre 1903 a Saint-Germain-de-Joux e morto Creteil in Val di Marne il 27 gennaio 1995.


OPERE:


Accents (1938): Les Dieux étouffés (1946); Monsieur Monsieur (1951); L’espace de la flute (1958); Le fleuve caché – Poésie (1938-61 – Trad. italiana 1971); Forneries (1976); Margeries – Poèmes inédits – 1910-1985 (1986); Poèmes à voir (1990).


PREMI:


1982 – Grand prix de poésie de L'Academie française

1986 – Grand prix de litérature de la Société des Gens de lettres

1993 – Grand Prix national des lettres

Vasta anche la sua produzione teatrale e Saggi in Le Miroir ébloui (1993).


Il 1995, anno della sua scomparsa a 92 anni.


NOTE CRITICHE:


Claude Michel Cluny – nome de plume – Nato il 2 luglio 1930 a La grandville (Ardennes) – Morto a Parigi 1'11 gennaio 2015. Poeta, critico letterario, rinomato grafico, novellista e romanziere francese.

“J. Tardieu occupa nel panorama poetico francese un posto molto singolare, – a volte tradizionale per il lirismo contenuto che si può inserire nella progenie di Maynard e di Nerval e per un perpetuo rimettere in discussione dello spirito e del linguaggio, si può avvicinare a Max Jacob e Queneau.

La sua è una voce nel deserto “Vaux sans personne” e che accetta una via d'uscita verso il nulla se non quella di un uomo distrutto e condannato in anticipo, senza che niente lo giustifichi o lo salvi.

La difficoltà di essere per Tardieu, è originale; vuol dire che sorge dalla coscienza di essere: questa inquietudine (mal di vivere) la scrittura l’ha presa in carico. Non cede davanti ad ogni dogmatismo, così come scarta le illusioni della metafisica. E questa opera sa ben svelare il volto nascosto delle cose. Pochissime parole – Pochissimi gesti. Ma le une e gli altri organizzati per un poema da recitare…


Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: – Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocca è per metà pietra e per metà spuma –.


Trad. Anna Vincitorio


Jules Supervielle – Montevideo 1884 - Parigi 1996 – legato alla NRF visse tra la Francia e l'America del Sud affermandosi soprattutto come poeta surreale. Di Jean Tardieu afferma: “Poeta molto diverso e sempre suggestivo; egli ha più toni provenienti da una stessa voce. E come egli si pone tra i migliori, niente lo designa meglio di quanto lui stesso non dica: – che lui ama tutti i colori perché la sua anima è oscura –.


Trad. Anna Vincitorio


Federica Locatelli – Diffidate delle parole – …Autore classico ai tempi dell'Assurdo, Tardieu perseguì una ricerca originale che nella padronanza del linguaggio in tutte le sue gamme dalla lirica al divertissement, ci conduce con passo fermo ma bonario oltre gli orizzonti del non senso…”.


Maria Gabriella Bruni – “…La sua opera in effetti non si caratterizza per la linearità nella sua evoluzione determinata da eventi esterni. Si avvolge al contrario su se stessa, come attratta da un centro inesistente, quasi che l'autore esegua una sorta di strano passo di danza sul bordo di un abisso che allo stesso tempo lo respinge e lo trattiene, e dove dà appuntamento a se stesso per tutta la vita. Ed è dal fondo di questo buco che sale la musica della sua scrittura, quella musica disperata, quella musica da lui creata con passione…”.


Georges Emmanuel Clancier – Poeta, romanziere e saggista francese – (Limoges 1914 – Parigi 2018) Opere: … Le pain noir – 1956; La fabrique du roi – 1957; Les drapeaux de la ville – 1959; La dernière saison – 1961; Vari romanzi e tra le raccolte in versi ricordiamo: – Le Paysan céleste, 1943; Une voix, 1956; Terres de Mémoire, 1965; Oscillante parole, 1978; Chansons sur porcelaine, 1984; Passagers du temps, 1991; L'Orée, 1987; trad. di Anna Vincitorio (Presentata a Firenze il 10 maggio 1988 all'Università di Scienze Politiche – Cesare Alfieri – alla presenza del poeta Clancier).


Dalla prefazione a Le fleuve caché. “…L’opera di Tardieu si impone in lentezza, dolcezza, con tutte le sfumature meravigliosamente sensibili, commoventi, erudite, fresche e raffinate, che fondano l'originalità di questa poesia a volte aperta e tragica, tenera e solenne, sottile e stramba. Sembra il risultato di una perfetta civilizzazione del linguaggio piuttosto che una risposta ossessiva a una ossessionante questione… Per Jean Tardieu ogni poema è un teatro senza enfasi dove si gioca in parole di silenzio. Sempre lo stesso e solo il dramma di essere e non essere al mondo, e il teatro un poema che passa dal silenzio del soffio alla drammaturgia delle voci. Questo doppio aspetto del poema-teatro e del teatro-poema si trova per esempio confermato dalla musicalità che Tardieu sa preservare nei dialoghi in apparenza i più quotidiani delle sue creazioni cosi egualmente con l'intrusione del linguaggio parlato nel canto del poema. L’invenzione di una parola per un’altra sa mirabilmente dire senza dire, dal momento che la poesia tende al silenzio attraverso la parola come l’incertezza della vita all’assoluto della morte…Pochissime parole, pochissimi gesti. Ma gli uni e gli altri organizzati per poema da recitare… Tutto è in noi. Noi siamo il luogo del dramma. Questo fiume è ciò che passa e ciò che sarà. Lo crediamo nostro e ci sfugge. Noi siamo e già non siamo più: “Tutta la mia vita è segnata dall'immagine di questi fiumi nascosti o perduti ai piedi della montagna. Come loro per me, l'aspetto delle cose si immerge e si alterna tra la presenza e l’assenza. Tutto ciò che tocco è per metà pietra e per metà spuma…”


Trad. Anna Vincitorio


   20 febbraio 2024

JEAN TARDIEU


Le fleuve caché

Poésies – 1938-1961


Pref. di Georges Emmanuel Clancier.


Accenti – 1932-1938


L’allarme


Palude di paura nella sua stanza

la porta chiusa vedeva oscillare una mano

una mano al di fuori tormentava a tratti il pomello

ma non l’apriva! E due voci corrucciate

risuonavano nel corridoio

“È di me – pensava – che si parla!”…

“Chi mi accusa? Chi mi cerca? Chi mi segue?”

“Di quale crimine sono a conoscenza od ho commesso?”

“Cosa ho dimenticato, o perduto?” ah… la porta

“si apre!…”

Ma no –

si allontanano sui parquéts tremolanti

Si trattava di lei (o di un’altra) Tuttavia!…


I drammi della memoria


Sovente si riuniscono per lottare

contro ricordi troppo forti

ciascuno prende posto in una poltrona

e iniziano a raccontare

Gli accidenti si manifestano per primi

poi l'amore, poi i sordidi rimpianti

infine le speranze mai spente

Tutte queste immagini sono appese

al muro, tra i fiori del foglio


Pensano anche di abituarsi

ai veleni trasfusi dalla loro memoria

– Io nel frattempo, dietro la porta,

vedo il Presente fuggire coi suoi segreti


Incubi


Noi siamo riuniti presso il male

che l'invisibile uragano percuoteva

Questa notte pareva cospirare con noi;

colma d'oro sottratto, era come un cofano

risuonante di consigli

“Lavoriamo!” dice la mia voce – Mille voci risposero: 

“Dove sei?” – “Vicino a voi” – sii nominato

“nostro capo!”

– E le nostre voci, come un fuoco tra i rami,

nel medesimo istante – si fusero

le nostre mani serrate e febbrilmente unite

come una nuvola di uccelli


ad un tratto, vacillò dividendo l'aria e l'acqua,

un leggero soffio bianco di luce

che presto – nella sua corsa – venne verso di me 

e passò sulla nostra ombra disteso, distrutto, fluttuante

col dolce fremere dell'alba… “Addio dunque!”


Mormorò l'ultimo dentro di noi – Partivamo!

Ero solo al sorgere del giorno

Ho visto un solo volto: l’onda


Loro si sono riuniti lontano da me

per parlare nella loro lingua sconosciuta

Io aspetto


Il testimone invisibile

1940-1942


Giustizia sconosciuta


Sempre nell'altra camera lei risuona,

questa voce bassa a traverso il tramezzo;

lei giudica, condanna e poi perdona

un crimine estraneo dalle ragioni profonde


Io non so se sono io il colpevole

Io non so se la voce porta un nome


La paura del sogno


Felice chi per lo sbattere delle porte,

per la presenza di una lampada o il mormorio

di voci che un corridoio conosciuto porta via

per il frusciare delle imposte mal chiuse,

per un riflesso su un mobile, scongiura

un orribile sogno alla sua perdita accanita! 

Per lui il caro difetto delle cose, trema 

così dolcemente, lo chiama, lo richiama!

Tutti gli oggetti che tocca

gli rassomigliano

“Sono io, sono io” si ripete ridendo

Il sogno allora sbattuto contro il muro vacilla

e dall'altra parte striscia fischiando


“Alla fine! Ecco le cose che sono pure

e senza rimpianto di ciò che non è loro!

Io stesso così tengo indosso come un’armatura

ai confini del tempo, contro tutto ciò che è proibito

come un frammento d’una pietra immortale

dove mai sogno o spettro non ha morso”.


Ma o cielo! sventura se c'è ancora un sogno

capace di planare in attimi senza idee

se ogni sponda si solleva in spuma

se lo sguardo è un cammino perduto

e se il tuo cuore sotto le tue mani atterrite

batte per lui solo in un mondo sconosciuto!


Ombre


Frangia d’invisibile,

tremante di segreti,

l’assente che ti prega

e che ti ha condotto

bagnato nella sua ombra

attraverso il giorno,

legato nel silenzio

a tutte le foglie,

a tutte le pietre

e a tutti i tempi

non è sempre

questo vasto te stesso dove ti sei perduto?


Qui mi vince la speranza, qui la paura,

qui in certezza e il rimorso –

O aliti che rianimate la fiamma spenta

quale fumo ai margini della morte?


Per andare avanti io ruoto su me stesso,

ciclone per l'immobile abitato

di ogni lampo attendo che lo attenui e amo

dal fondo di un abisso intravedere luccicanze


Fiori! Fiamme! Giochi e canti di un giorno senza affanni

Posso infine sorridere alle vostre immagini

E vi vedo con uno sguardo alieno!


XII


Quando ascolto e non comprendo

quando guardo senza vedere,

quando cammino senza un passo,

quando il mio sole diventa nero,


Io scompaio senza morire, 

vivo senza muovermi, 

nessuna speranza, nessun ricordo

nelle fucine del momento


Sciogliersi? Sia, ma per rinascere!

Finire per ricominciare!

Il mondo va guardato con nuovi occhi

sui cammini cancellati


XV


Una strada si rievoca

tutti i passi dispersi

Ma lei aspetta e niente ancora

è realmente apparso


1942-43 Notte

La città ai piedi dello spazio


Questo piccolo spazio è per lo spirito

sferzato come il cielo dalla rondine

dove il vuoto pavimento per l'esile rumore

di una bicicletta vista da persone dalle sopracciglia

cupe, le braccia colme di pacchetti tristi

Lo spazio, quale sete! con i nostri passi

così lenti a srotolare

delle strette piste

sotto le case dove non ci sono sorrisi

Scorre il tempo ma il limite è sempre là –


O sorgente sui tetti sempre presente

emetti vapore in senso contrario per occhi colmi di ardore

e sempre più ti sforzi di essere assente

spazio, tieni unito il tempo per rilasciare

i nostri corpi torturati dalla speranza!


Troppo poco spazio e troppo tempo! O tugurio,

nave spazio compressa in questo porto,

solleva le pietre dalla tomba

di questi morti,

sradica cordoni di fumo, apprestati nella notte

fa di ogni finestra un’apertura

spalancata sulla libertà dell’infinito!


Giorni pietrificati 1943-47


Gli occhi bendati, le mani tremanti

tradito dal rumore dei miei passi

che segue ovunque il mio silenzio

perdendo la traccia dei miei giorni

e io, sia che aspetti o che vada oltre

mi rigiro nel fondo del mio sonno

desolato come la speranza

innocente come il rimorso


Un uomo che finge di vegliare

imprigionato nella infanzia

l’avvenire splende immerso nella sua immobilità

noi ancora ce ne ricordiamo

il sole vibra senza fare un moto

il tempo monta come il mare


Non c'è nessuno


Questa assenza ha gli occhi degli alberi

una figura cava e alta si riversa

estranea alla mia primaria essenza –


Fiori e abisso 


1

Sotto i fiori che so non ci sono praterie

ma il latte nero dell'abisso ignoto,

nel mio sonno amaro io li restituisco alla notte

loro calano spegnendosi lentamente –


2

Una sola casa si appressa

al bordo fiorito dell'abisso

il suo fumo già si tinge d'azzurro –

Ah! che le parole possano salvarla

prima della sua caduta

e che senza rumore, senza sofferenza

diviene aura!


IV


Due mani che hanno perso le tracce di un viso

avanzano fiutando l'ombra alla ricerca

di una forma un tempo umana. Ma

la maschera è colma per l'abisso –

le mani spaventate si ritirano e riportano via i fiori


Per guadagnare i terribili favori dell'abisso

noi alberi saliremo dall'interno fino ai nostri fiori

Allora il vento, allora l'autunno, allora

il nostro adempimento sarà

questa caduta leggera, felice o desolata –

Regina della terra

Dedicata a Albert Camus



Come un ricordo

io ti ho incontrato

persona perduta


Come la follia

ancora ignota


Fedele, fedele

senza voce e figura

tu sei sempre là


Nel fondo del delirio

che da te proviene

io parlo, ascolto

e non comprendo


Tu solo, tu vegli

tu sai chi sono

la terra si gira

dall’altra parte

non ho più giorno

non ho più notte


Il cielo immobile

il tempo trattenuto

la mia sete e il mio timore

mai placato


Perché io ti cerco

tu le hai protette!

Sorella impenetrabile,

delirio della mia vita, lasciami andare!


Se del tuo mistero

Io sono il corpo e beni

l’attimo e il luogo


oh ultimo naufragio

di questa ragione

con il tuo silenzio

col mio dolore

con l'ombra e l'uomo

cancella il dio!


Sbaglio che non potrò espiare

io non ho rimorsi –

In un solo spazio

voglio un solo mondo

una sola morte


Monsieur Monsieur

1948-50


Monsieur Monsieur ai bagni di mare


Un giorno vicino al mare

Monsieur e Monsieur soli

parlavano tranquillamente

e mangiavano una mela!

e quale quiete

quando l'abisso senza margine

mescola senza sforzo

le cose e le genti!

Per chi è simile a Dio i giorni particolari

non sono necessari


La questione non è là

Monsieur risponde a Monsieur

noi siamo effimeri,

ora la totalità

della grande Unità

essendoci rifiutata

è per la quantità

che noi ne siamo fuori

E noi ne facciamo tesoro


Dunque la diversità

per noi su questa terra

è la necessità –

Guardate questo pesce

che non è un uccello

non è una mela

non è la balena

non è il battello…


– Ah per me è la medesima cosa,

interruppe Monsieur

la balena e la mela

dinanzi all'eternità

sono eguali –


A queste parole il vento soffia

portando via i loro cappelli

e i due personaggi

nel cielo blu e bello

svaniscono all'improvviso


la notte il silenzio e l'aldilà


Un sospiro nello spazio infinito

poi una voce mormora:


“Gondran, sei tu là?”


Nessuna risposta

Dei passi si allontanano come le nuvole


Il piccolo ottimista


Fin dal mattino

ho guardato dalla finestra;

ho visto passare dei fanciulli –


Un'ora appresso erano persone

un'ora dopo, vecchi tremolanti –


Come invecchiamo velocemente, ho pensato!

E io che ringiovanisco in ogni istante!





Oracolo


(Dapprima esitante attraverso il fumo profetico

Poi, affermativo, ritmato,

scontroso il piede che batte il suolo)


Dello ieri non c'è più

c'è piuttosto il domani

oggi come ieri

è sempre per domani –

Nel fuoco

Nel fuoco

nel fuoco nel fuoco

nel fuoco della terra

metterò le mie due mani


Metamorfosi


In questa notte nera

che la Storia ci crea

avanzo a tentoni

sempre stupito

sempre sbigottito:


Io prendo il mio cappello

è un carciofo


abbraccio la mia donna

è un guanciale


carezzo un gatto è un annaffiatoio


apro la finestra

per respirare aria pura

c'è un vecchio armadio

pieno di muffe

prendo un rospo

per un calamaio

la bocca di nausea

per la cassetta delle lettere

il fischio del treno

per una rondine

il rumore di un motore

per il mio stesso cuore

un grido per ridere

la morte per la vita

gli altri per me


Una voce senza nessuno

1951/53


Il mondo immobile


Pozzo di tenebra

fontana senza suoni

lago senza splendore


presenza densa

battito debole

l’istante è là


niente, nessuno

un’ombra pesante

che non parla


io attendo dei secoli

niente risuona

niente appare


su questa tomba

lo spazio si muove

è il mio pensiero


per nessuno sguardo

per nessun orecchio

la verità









Storie oscure

1955-60


L’inferno a domicilio


Nel segreto di un oscuro corridoio

nel fondo di un ghiaccio fluttuante

un uomo incontra la sua immagine


Si vede come vorrebbe essere

fiero, gioioso, trionfante

e soprattutto giovane, ah come un dio!


Ma l'immagine svanisce e si perde

al rumore dei tubi che gemono

e all'improvviso gli vien meno il cuore:


nel ghiaccio (che trema un po’

al passare di ogni vettura)

sembra un nuovo abitante

che lentamente, lentamente

si svincola,

una sorta di cane dal dorso rotondo

che verso il cielo squadrato del cortile

urla alla morte e lancia uno sguardo pieno di lacrime


Una donna un uccello


L’uccello molto grande

che sorvolava la pianura

al medesimo ritmo che le valli e le colline

lungamente l’abbiamo visto planare

in un cielo assoluto

che non era il giorno

che non era la notte

Una cicogna? Un aquila? All’improvviso 

il volo silenzioso di un gatto che fischia

e questa regale apertura alare

di un dio che diveniva uccello…

I nostri occhi un istante deviati

improvvisamente videro scendere la meraviglia:

era la figlia dell’aurora e del desiderio

angelo nei nostri solchi caduto

con un corpo più femmineo dello stesso amore e che lungamente

posa i suoi piedi appena sul suolo perché il vento delle sue ali

lo sollevava ancora – Infine il liscio e bianco piumaggio

su questa donna di cristallo si ripiegò

Lei sembrava non vederci

né stupirsi che un lago

davanti ai suoi passi si era già aperto

lei ci si tuffava sorridendo per se stessa

felice di ricordarsi

degli elementi precedenti

e di un tempo senza limite…Lei ha

ordito in quest’acqua trasparente

i segni di un linguaggio sconosciuto

poi agitandosi, cerchiata di perle

di nuovo brillante e ghiacciata

batté il piede sulla terra

Così io la vedo ancora leggermente inclinata in avanti

e già quasi distaccata

cosi noi l’abbiamo vista risalire scomparendo nell’azzurro

È da dopo quel tempo là che io so

per quale esile volere e quale segreto movimento

noi possiamo volare quando ogni cosa dorme


Il boia dei fanciulli


Il fanciullo terrificato mine il suo braccio sugli occhi,

ma l’Uomo a passi sempre più grandi scendeva –

Il fanciullo chiamò a suo soccorso

tutto ciò che è visibile e invisibile. Ma l’Uomo

con il passo sempre più largo e pesante

gridava: “Tu non dovevi vedere e hai visto,

tu devi morire! E il suo pugno si alzava

e i suoi occhi lampeggiavano


Il fanciullo fece un ultimo sforzo

per staccarsi da questo mondo

e siccome il boia lo attendeva

divenne brace di un fuoco di rami

e dal vento dissolto


Allora il vagabondo sull’erba fredda vacillò

scosso dai singhiozzi –


Natura


C’è un uccello che si avvicina piangendo

C’è una nuvola che parla sognando

una roccia rotola per passare il tempo

un roseto si ammira nello specchio d’uno stagno

gli alberi della foresta

sono là come genti, genti

Tutto questo forma una folla che aspetta

– ma l'uomo, – assente, assente, assente…


Traduzioni di Anna Vincitorio

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