Fin
dalla veste tipografica il poeta
introduce e anticipa i contenuti della sua opera "Amore":
titolo e simbolo delle poesie, scritto in corsivo in modo delicato ed aereo,
delinea nitidamente su un sole che emana i suoi raggi su tutto il creato.
Subito sotto i due quadrifogli con le loro suggestioni e la loro carica
simbolica. Il suo acquarello è un'immagine dolce che sollecita una dimensione
atmosferica e sognante. È l’ingresso in quel giardino incantato che si rivela
poco a poco leggendo le sue poesie. I custodi di questo giardino sono, da una
parte, Dante nelle vesti di Paolo e Francesca e dall'altra, Baudelaire, il
poeta dello "Spleen". Dante dà voce ad un concetto ancora imperativo
dell'amore; Baudelaire, poeta cittadino, canta i suoi amori, irrisolti e
mitizzati, per le giovani espulse ed emarginate dalla nuova società borghese.
Tra l'amore potente e totalizzante di Paolo e quello irrisolto di Baudelaire si
apre la porta che ci conduce dentro il giardino incantato dell'amore risolto,
completo e perenne. Come ha sottolineato
il professor F. Donatini nella sua mirabile introduzione, è un "giardino"
in cui spira un'aura elegiaca, ma in una dimensione concreta, partecipata e
sentita che si staglia in uno spazio immateriale ed eterno.
Il
percorso dell'amore disvelato si articola in tre distinti momenti. Ognuno di
essi è preceduto da una massima dove la sintesi concettuale si unisce alla
carica poetica e simbolica. Nella prima si definisce l'amore: "L'Amore
eterna la luminosa sacralità”. L'amore non è uno stato emotivo, non è un
comportamento, non è una idealità mentale condivisa, non è un dover essere a
cui tendere; o meglio, può essere tutto questo, ma all'interno di una identità
concreta, sostanziale e specifica che le permette di essere un soggetto agente.
L'amore compie l'atto di rendere eterna la sacralità. Probabilmente questo
termine indica la totalità del creato, o meglio, la totalità del creato come
atto divino dato che la sacralità è definita "luminosa", cioè come
capacità di irradiare da sè stessa la luce divina.
Con
la seconda massima: "La percezione dell’essenza del tempo /è la mancanza che
ri-vive nell’essenza /della poesia." la poetessa vola ancora più in alto.
Si riferisce all'essenza del tempo e all'essenza della poesia, al di là di
Newton, di Bergson e di Heidegger. L'essenza del tempo è semplicemente
"mancanza" che torna a rivivere nell'essenza della poesia. In altri
termini è l'essenza della poesia che condiziona la nostra capacità di percepire
l'essenza del tempo. Cosa sia l'essenza della poesia non è chiarito, ma per
capirlo basta far riferimento a tutto il contenuto poetico del libro.
Infine,
nell'ultima parte si parla di felicità: "La felicità non è un appuntamento
mancato: /è un appuntamento condiviso nella bellezza.". La felicità non ha
una dimensione solipsistica, non è la fuga dall'io, non è rinchiudersi in un
eremo: ("La felicità non è un appuntamento mancato:…"). Ha una
dimensione relazionale, ma non una dimensione relazionale umana o sociale: è un
appuntamento con la bellezza. La quale bellezza non è definita, è data: ha una
esistenza assoluta in sé e per sé; e riveste una prospettiva storica.
L'amore,
che è sempre stato presente e dominante nelle sue opere precedenti, individuato
da queste massime che ne definiscono la base metafisica e filosofica, viene ora
analizzato in tutti i suoi aspetti. Nella cultura greca e romana l'amore era
una potenza magico-divina che aveva un rapporto dialettico con l'uomo: a volte
desiderata, come l'infinito del desiderio e della passione cui abbandonarsi (il
"Pervigilium Veneris"); altre volte vista come un influsso misterioso
e impositivo da cui era difficile o impossibile liberarsi (Lucrezio). In tutti
i casi essa non aveva una dimensione né emotiva né psicologica.
Nel
medioevo fino all'età moderna, la parola "amore" viene
marginalizzata, relegata al rapporto d'amore con la divinità o affidata alla
retorica delle composizioni di intrattenimento o a poemi fantastici.
È
solo col romanticismo che essa ritorna protagonista. Ma ora è una potenza
umana, come umane e rivalutate sono le passioni e i desideri. Amare come
massima realizzazione della propria personalità.
Poi
il novecento: c'è la crisi. Da Proust a Elena Ferrante c'è l'incomunicabilità,
il solipsismo; l'amore è misterioso, sempre ricercato e negato e mai raggiunto;
è molesto, tossico, distopico.
Ora
Rita Fulvia Fazio nelle sue poesie lo riporta al centro dell'uomo e del suo
comportamento morale. L'amore non è un sentire umano, non una disposizione psicologica ma è una
realtà spirituale e metafisica che si impone all'uomo e che ne definisce il suo
dovere essere. L'inevitabile confronto con ideologie e poetiche profondamente
altre, in particolare in riferimento ai diversi modi di intendere e vivere
l'amore oggi; la distanza dalla poesia e dai referenti ideologici del Novecento
e dei giorni nostri è incolmabile. Per questo motivo la ricerca poetica
dell'autrice, in questo contesto, incarna la sua identità e si staglia come
diversa e alternativa, profondamente sentita e profondamente vissuta; da me
connotata come fierezza. È una fiducia, la sua, espressa con versi caldi e
appassionati che rivelano una fede e una partecipazione profonda. Con i suoi
versi, il sentimento amoroso, da conquista umana, difficile, rischiosa, mai
garantita, diventa ascesa alla felicità di un mondo spirituale vissuto e
perenne.
Tra
tutte le poesie quelle più intense, materiche a me affascinanti, sono quelle
che si riferiscono ad un rapporto d'amore ben definito. Il desiderio carnale
dell'uomo è espresso con versi di grande forza ed incisività: "...avessi i
tuoi occhi cristallini, / le tue labbra rosse e carnose /che baciano le
mie,..." (Incantesimo); "...ti Amo stretta /tra le tue braccia
infinite / avvolgenti ogni mio pensiero /e desiderio di sospiri e baci."
(Riluce di noi Amore); "...Voglio il sapore dei tuoi baci…"
(Indefinitamente); "...sento le tue braccia stringermi /ne percepisco
l’appartenenza;..." (Fervore). Ma tutto questo è mediato dall'amore visto
come forza che è al di fuori dell'umano, ma che si realizza solo nell'umano:
"...fu la sublime / e originale voce dell'Amore…" (La voce dell'Amore).
È l'attuazione dell'amore. Dalla sensualità non si passa alla passione, non si
passa alla ricerca di una relazione carnale o di possesso con l'altro. L'amore
trasforma la passione in una felicità vissuta e partecipata. Per questo motivo
la sensualità che traspare è temperata e modulata da quella tranquilla serenità
che danno le certezze profonde. L'amore visto come entità spirituale reale che
garantisce, rinsalda, dà un senso al rapporto sentimentale: "...è
nell'Amore /che egli ritrova il sogno /e il mio sogno sei tu." (Il mio
Amore sei tu.). È l'amore che costruisce il vissuto di felicità:
"Fervore"; "Fotografia"; "Felicità".
Dall'analisi
della raccolta poetica si evince che, secondo la poetessa
-l'essenza
della poesia è verità: sua Massima: "Allegro";
"Beatitudine".
-
e che l'amore è libertà: "Libertà d'Amore"; "Incantesimo";
espressamente dichiarata nell'augurio "Al lettore": "E che brilli la vita /…".
Inoltre
la limpida Nota critica del Professor Nazario Pardini (pag. 53), mette in
chiaro l'autenticità e la musicalità del dettato: "... dove pathos e logos
si completano in un messaggio forte e armonioso.".
Grazie a Francesco Righi per la sua limpida lettura. Profondamente grata al relatore Franco Donatini che acutamente interpreta la modernità dei miei versi e scrive: " ...In questa interpretazione sta la modernità di questi versi, ... "; e a Nazario Pardini che ne connota la autenticità e la musicalità. Rivolgo un caro saluto ai lettori con l'augurio, che cade nel giorno di San Valentino, di trovare, come descritto in quarta di copertina e consegnando ad ognuno, idealmente, un quadrifoglio portafortuna, riprendendo l'incipit: "Qua si parla di AMORE. Di quell'amore forte e sereno che, se abbiamo coraggio, sappiamo trovare in ognuno di noi e che ci permette di amare, come diceva Elizabeth Barrett Browning, per l'eternità. Rita Fulvia Fazio
RispondiElimina