L’ultima
fatica letteraria di Maria Rizzi
presentata nell’accogliente e suggestiva libreria “Hora Felix” di Roma,
“L’arcobaleno nelle pozzanghere”, Graus Edizioni, ieri 15 febbraio ha riscosso
un successo di pubblico straordinario.
Ben
meritato!
Nonostante
una trama tragica che coinvolge i suoi
personaggi per i fatti esecrandi che sarà il lettore a scoprire, che a nessuno
venga in mente di sigillare il romanzo con l’etichetta di libro GIALLO, senza
nulla togliere a un genere degno di entrare a testa alta nella letteratura
italiana e straniera dell’Ottocento e i primi del Novecento ma che oggi ne rimane ai margini tranne pochissime eccezioni. Per amore della verità un solo libro, a mio
avviso, “giallo”” si discosta da queste
mie riflessioni ed è quello che vede protagonista Poirot, l’investigatore
uscito dalla penna di Agatha Christie che ne “Assassinio sull’Orient Express”
viene assalito da una tal pietas per gli assassini e per la causa del loro
misfatto che li lascia andare liberi. Ma gli orrori del Nazismo ammorbidiscono
persino un integerrimo difensore della
legge.
Torniamo
al romanzo della Rizzi che affascina
soprattutto per i molti temi di riflessione
che turbano l’animo della protagonista e del suo gruppo di lavoro. Prima
fra tutti è la presenza del Male. Liberi ormai dalla Vulgata che vorrebbe
Satana, l’angelo ribelle, il male assoluto,
lanciato da Dio nelle viscere della terra, La domanda che ci si pone è
la stessa per tutti: cosa è il Male? Da dove ha origine? Anche se mai
direttamente espressa, la questione è sottintesa nelle continue riflessioni di
Miriam,( la commissaria trasferita in un commissariato lontano dalla famiglia),
sulle azioni malvage, inaccettabili, becere. In un libro giallo non succede
mai. L’autore è interessato ai fatti, non ai perché. Giusto così se il romanzo
è un Giallo.
Ma
questo non lo è. i ‘perché’ avevano innondato la stazione di Polizia come
innondarono la mente, di Anna Aren’t, che
si recò a Gerusalemme per assistere al processo al terribile capo delle
SS, Eichmann. ad ogni domanda del
giudice il boia degli ebrei, il torturatore di donne e bambini, rispondeva con
gli occhi impassibili con una sola
risposta: “Era un ordine”. Il male non nasce con l’uomo. “L’uomo nasce buono e la società lo rende
cattivo” – afferma Rousseau. E nemmeno questa risposta è completamente giusta.
L’essere umano è il risultato della ambiente che lo circonda. Il male è banale,
come lo definisce la Aren’t, perché il soggetto non si rende conto di cosa gli
sta intorno e assorbe tutto inconsciamente. Un solo individuo emerge, il boia,
il tiranno, il despota, insomma il carnefice e tutti lo seguono senza domande. Se si volesse allungare l’analisi a Darwin …
ma non è questa la sede. In questo libro vivono lupi e agnelli, vittime e
aguzzini. Vero è che i carnefici della nostra autrice hanno aspetti
lombrosiani, truci econ gli occhi infiammati di odio, ma nulla camia nella
nostra analisi.
Lasciamo
da una parte per il momento l’aspetto tragico del racconto per seguire i
pensieri di Mirian, non quello che riguarda le indagini, ma quello dei ricordi.
La commissaria vive in una dicotomia continua tra presente e passato, tra
giovinezza e maturità, tra nostalgia e arido vero, come direbbe il
Poeta. Conosce bene il Comune
dove ha passato la sua giovinezza nella villa della nonna Bea, di cui oggi
rimane ben poco. Ne ricorda il giardino pieno di fiori di mille colori e
profumi, ne ripercorre i ruderi con la disperazione che la sua memoria abbia
subito una lacerazione insanabile.
La
stessa la scopre nel mondo reale.
La
“sedia del dovere”, che si era imposta di
usare sia per sognare sia per razionalizzare un mondo nel quale voleva essere maschio ribelle o un
poliziotto, era rimasta vuota permeata solo di nostalgia per un tempo che non
sarebbe tornato più.
Ma
alla nostalgia si univa la dolcezza del ricordo. Il porticciuolo, il primo
bacio del futuro marito, le strade ridenti del riverbero del mare e del sole.
Cari
pensieri che si intrecciavano quasi beffardi con il presente terribile,
narcotici dell’orrore da necessariamente
vivere immergendosi nel fango delle pozzanghere.
Il
sole però non manca di brillare. Qui, la salvezza, qui, gli amici d’infanzia,
le compagne della consolazione e soprattutto lui, l’amico vero, quello che
sente in anticipo le sue telefonate, che la consola, la consiglia, le vuol bene
come solo un amico di infanzia sa fare. Ma sopra tutto e al di sopra del tutto
c’è la famiglia che Miriam sente solo per telefono, ossigeno che riceve e dà
coraggio. La lontananza angoscia lei, il marito e i figli ma ognuno nasconde
l’ansia fino al coraggio estremo. Passioni, dolori, orrore, vittime e carnefici
investigazioni complesse si intrecciano con ricordi, nostalgie, amori, profumi
, olezzo di discariche e pozzanghere
dove, a volte, ma per Maria Rizzi sempre, si specchiano colorati
arcobaleni. Una frase questa e un
titolo che non lasciano dubbi sulla prosa limpida e soprattutto lirica della scrittrice.
Non vi è pagina che non contenga un aggettivo o una intera frase che non
rimandi al linguaggio poetico. La descrizione dei fiori di villa Bea, la
sistemazione dei pesci sulla mensa del ristoratore Pasqualino, la grazia con
cui questi mostra la sua mercanzia, la natura stessa nella sua complicità con
il dolore sembrano usciti dalla penna di un poeta fattosi pittore.
Vogliamo
per forza chiamare questo psicologico e sensibile romanzo un “giallo”?
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