venerdì 16 maggio 2025

Maria Rizzi, “L’arcobaleno delle pozzanghere”, Napoli, Graus, 2025

 L’autrice non desidera che sia definito un crime, questo suo nuovo romanzo: piuttosto, un giallo sociologico di denuncia, dove il genere letterario funge un po’ da mezzo e sfondo raffigurativo di una tematica tremenda quale lo sfruttamento di esseri umani (in questo caso deboli e di sesso femminile).

        E’ dunque un’ispirazione morale, ben più che poliziesca, ad animare la nuova fatica letteraria della Rizzi (da anni instancabile animatrice culturale con l’IPLAC: https://www.circoloiplac.com/), che nel libro oltretutto si dimostra molto attenta ai percorsi interiori e della memoria, i quali costeggiano – quasi per compensazione emotiva, si direbbe – la durezza di una realtà professionale cruda e provante.

        Ecco dunque che gli affetti ruotanti attorno alla protagonista Miriam – chiamata a dirigere il commissariato della sua cittadina natale – costituiscono un pendant alla fredda necessità di procedure e indagini (e non manca – come purtroppo è ovvio che sia – il rischio): la famiglia, le amicizie di sempre, ma anche la squadra, compattissima per spirito ed intenti, si alternano alle truci visioni di un mondo sopraffatore e spietato, in cui farabutti di varie latitudini trovano alleanza nel perseguimento dei loro turpi scopi.

        Il ritorno della commissaria nel suo luogo d’origine innesca un viaggio nei ricordi, in cui ciò che rimane rassicura sulle brutture del presente. Il tempo passato è perduto e non si ritrova, sembra suggerire la Rizzi oggettivando quest’irrecuperabilità negli scempi delle moderne e orribili tratte di ragazze e bambini, come pure (anche se in misura minore) nel deturpamento della villa di cui lo scrigno della memoria conserva le reminiscenze più care.

        Nell’armoniosità di fondo cui aspira il sentimento dell’autrice, che compensa peraltro abilmente ogni ingenuità con la tensione investigativa e un’aderenza realistica a personaggi e situazioni, rientra la compattezza valoriale che rende il contesto valoriale ben definito (si potrebbe dire anche schematico): niente sfumature noir, i buoni sono tutti d’un pezzo, i cattivi sono totalmente cattivi, e le vittime purtroppo ancora più vittime in un gioco troppo più grande di loro.     

        Ed è proprio in virtù di tale chiarezza che il messaggio della Rizzi giunge netto, proponendosi come testimonianza/denuncia in forma di fiction, che da questa prende il surplus dell’intrattenimento – condito di toni true crime oggi tanto apprezzati – per attirare l’attenzione su una piaga sociale e internazionale drammatica e vergognosa.

 

        Alberto Raffaelli (albertoraf@gmail.com)

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