Angela
Ambrosini - questo il suo nome - ci raggiunge da Città di Castello, borgo
medioevale disteso lungo l’alta valle del Tevere e non distante dai confini
umbri con la Toscana.
Le
sue opere sono molto spesso ispirate dal cuore verde della sua regione (tanto
prossima - sia geograficamente che spiritualmente - ai paesaggi del reatino e
della sabina).
Sarebbe,
tuttavia, limitativo soffermarsi esclusivamente sulle descrizioni naturali, in
quanto questa poetica è, sì, incentrata sui luoghi e le suggestioni dagli
stessi esercitate, ma questi stimoli producono, nell’animo della poetessa, un’accoglienza
ed una dilatazione tali da farli espandere in tutte le direzioni.
Si
passa perciò - con una disinvoltura disarmante - dai paesaggi fisici a quelli
dello spirito, dagli spazi dell’infanzia a quelli del dolore. E dirò di più:
tanto profondi sono, da divenire un’unica dimensione interiore, che ingloba
anche il tempo, anche le emozioni, anche la vita.
Facciamoci
rapire dall’armoniosa musicalità della sua poesia. Da Infanzia (una delle ultime liriche che contribuisce alla
costruzione della più recente silloge, Il
tempo rappreso, data alle stampe per i tipi di “LuoghInteriori Editore” in
Città di Castello, nel giugno dello scorso anno) stralciamo alcuni dei versi
più modulati e significativi: “Sentivo il tepore degli orti / farsi germoglio a
sera /. . . . / Non l’ansia del poi / m’era compagna: / solo il tonfo della
pioggia / ostinato alle ringhiere /. . . . / Poi, di nuovo / a piedi nudi il
giorno / aspettavo inarcarsi / d’attese avido, / d’addii avaro. / Non più
sentivo / nel giro dei cieli / il cappio del tempo / stringersi piano.”.
Ho
scelto questi passi perché li ritengo esemplificativi sia dal punto di vista
dei significati che dei significanti. Occorre ricordare che la scrittura
poetica è l’unica in grado di comunicare il proprio messaggio contenutistico
attraverso la forma, l’unica a renderla non solo maniera ma sostanza.
Riflettiamo su questo, se davvero vogliamo entrare nel vivo, nella carne, nel
sangue dell’autentico poetare.
E
mi piace ritrovare tutto ciò sul finire della mia citazione, dove è evidente la
ricerca di un periodare inusuale per l’utilizzo normale e canonico che se ne fa,
ma che, per la Ambrosini, costituisce la cifra stilistica attraverso la quale
ogni vero poeta si distingue da qualsiasi altra voce. Canta così la poetessa:
“…Poi, di nuovo / a piedi nudi il giorno / aspettavo inarcarsi / d’attese
avido, / d’addii avaro. / Non più sentivo / nel giro dei cieli / il cappio del
tempo / stringersi piano.”.
Proviamo
a rendere tangibile il succitato assunto proponendo una versione - diciamo così
- prosastica dello stralcio in questione. Il risultato sarà il seguente: “…Poi,
di nuovo a piedi nudi aspettavo inarcarsi il giorno, avido d’attese, avaro
d’addii. Non sentivo più il cappio del tempo stringersi piano nel giro dei
cieli.”.
La
differenza è manifesta e irrefutabile, nel senso che chiunque avrebbe potuto
esprimere un pensiero (comunque profondo) come quello appena riportato, ma
nessuno sarebbe stato in grado di rivelarlo nel modo in cui ce lo ha esposto l’autrice
della lirica. Questo per dire che lo stile è indissolubilmente legato
all’artista in ogni manifestazione dell’arte stessa ed in particolare nella
parola, per ciò che concerne lo strumento usato da chi comunica in versi.
Ma
torniamo ad occuparci dei vari stadi di un poiein tanto proprio quanto
suggestivo. Ho, finora, preso in considerazione l’ultima raccolta della
poetessa; si rende, tuttavia, necessario ripercorrerne l’iter creativo a
partire dalle prime prove, dai primi vagiti, onde risalire, con lei, la vena
ispiratrice fino alle polle sorgive.
La
Ambrosini rende pubblico il suo sentire nel 2006, con la pubblicazione di Silentes anni, per conto di “Tracce
Edizioni”. Sfogliandone le pagine, ci si avvede subito che i temi prediletti
sono già presenti: l’attenzione agli anni infantili, ad esempio: “Tutto quello
che ho imparato / tutto quello che so ora, / prima vorrei fosse stato, / negli
arpeggi / della gioventù, / nel tempo che il tempo ignora”, dov’è palpabile
l’anelito ad una condizione che possa fare tesoro della maturità in un tempo -
oramai trascorso - in cui l’innocenza non aveva ancora lasciato il posto al
disincanto. E poi la natura - come potevano mancare i versi dedicati alla
stessa - il colloquio tra l’animo suo e le presenze del creato. Da Quest’ottobre chiaro: “S’innalzeranno
taciturni i fiumi / all’abbraccio dell’imbrunire, / s’udrà solo l’indecifrato
merlo / effondersi alto nel tempo / e il canto suo m’accoglierà ricolma /
all’incalzare dei boschi….”.
Intervallato,
nel 2007, dallo sconfinamento in Semi di
senape (L’Autore Libri Firenze), breve raccolta di racconti in prosa
poetica, esce, nel 2008, Fragori di note,
sempre per “Tracce Edizioni”. A distanza di soli due anni dall’esordio in
poesia, è già possibile riscontrare dei progressi nella nuova silloge: il
dettato si fa più articolato e la ricerca linguistica diventa più esigente.
Da
Sinfonia: “Indimenticati suoni
d’estate, / quando il cane latrava nell’ora / della notte più alta / . . . . /
Poi la cicala a inondare / schegge di cielo fra mare / di bossi e puntuti
abeti, / . . . . / Mai taceva il pomeriggio / sulle folte note del grillo / . .
. . / A tratti, greve il ronzio / d’un aereo rapiva la mente / …proprio come
ora / qui, che dal centro del tempo / tutto questo mi rivive, / fra brandelli
di suoni / trapunti d’eterno.”: versi che si distendono tanto nel passato come
nel presente.
È
di marzo del 2012 Controcanto, una
nuova raccolta che la Nostra dà alle stampe per i tipi di “Edimond” Editore in
Città di Castello. Prosegue, anche qui, il suo lavoro intorno alle figure
retoriche ed ai registri poetici che più le si confanno: l’enjambement, che
contribuisce a creare un senso di continuità dilatando il ritmo ed enfatizzando
parole-chiave legate al concetto basilare del testo; la sinestesia, ossia
l’associazione espressiva di parole pertinenti a due diverse sfere sensoriali.
In Acquerello - ad esempio - si
ritrovano insieme sia l’una che l’altra figura “E azzurro era / il silenzio”,
nel poco spazio di due brevissimi versi. La reiterazione, in Qualche volta d’estate, del titolo nel corpo della lirica e
finanche, in fondo, alcuni Haiku (rispettandone la metrica originaria delle
sillabe, ossia 5-7-5): “Soffio di luce / l’autunno oggi mi parla: / pace che
trema”.
Cinque
anni dopo è la volta di Ora che è tempo
di sosta (CTL Editore in Livorno). Dedicata al padre, con un’opera
pittorica di Liliana Agostini Ambrosini in copertina, la nuova silloge è
preceduta da una introduzione dell’autrice: “Credo sia d’obbligo una premessa -
scrive - a una raccolta poetica nata, in buona parte, dall’accostamento a
immagini (foto, dipinti e, persino, creazioni in ceramica) nell’intento di sbriciolare
l’apparente asimmetria tra i due codici espressivi, semantico e asemantico. Un
sodalizio, quello tra immagine e parola, al quale sono stata educata fin
dall’infanzia […] A sostanziare tale ricerca non solo di stile, ma,
prioritariamente, di contenuti, è la metafora, la cui amplificata capienza
semantica consente di annullare tutte le dissonanze, tutte le distanze […] La
poesia, diceva Ezra Pound […] è ‘semplicemente linguaggio caricato di senso al
più alto grado possibile’ (e) ‘la bellezza in realtà non è che la vita fisica
in una sua condizione ideale’, asseriva William Butler Yeats […]”.
Ho
voluto riportare questo estratto, dalla presentazione, in quanto ci dà l’esatta
misura del libro, un libro che riesce davvero nell’intento euritmico d’interazione
tra le arti.
Ma
questo processo non è destinato a concludersi, tanto è vero che, nel 2021, Angela
- in collaborazione con l’artista Edi Magi e la scrittrice Daniela
Calzoni - dà vita ad un elegante e multidisciplinare catalogo d’arte e poesia
dal titolo Di forma e di parole, nel
quale convergono le esperienze di ciascuna sia in ambito letterario (ivi
compresa la traduzione dallo spagnolo all’italiano delle sue liriche) sia in
quello della pittura e della ceramica. Un’opera, che appaga tanto l’occhio quanto
la mente, pubblicata anch’essa da LuoghInteriori Editore in Città di Castello.
Un’opera dove i colori delle splendide tavole vanno ad intrecciarsi con i versi
dalle stesse ispirate alle poetesse. Mi sento di compendiare con l’haiku della
Ambrosini, che così si esprime in proposito: “con altra lingua / a specchio si
cercano / forma e parole”.
E
siamo arrivati alla silloge più attuale: l’ultima fatica letteraria della
poetessa: Il tempo rappreso, di cui ho parlato in apertura. Ci
torniamo, tuttavia, molto più preparati, molto più edotti su quelle che sono le
caratteristiche, le peculiarità di questa scrittura. Possiamo farlo poiché
l’abbiamo vista nascere e l’abbiamo seguita lungo il percorso della sua
crescita graduale e costante negli anni. In virtù di ciò, mi urge, in questa
sede, disquisire delle conquiste raggiunte attraverso un labor limae certosino,
messo in atto con risoluta umiltà. Un lavoro di cesello tanto sulla parola
quanto sulla sua collocazione all’interno del verso.
Scorrendo
le pagine dei libri precedenti, mi sono reso conto che diverse liriche erano
già presenti in quelle raccolte, ma più d’una non venivano semplicemente
riprese, bensì recuperate alla luce di una rilettura successiva che tenesse
conto delle nuove esigenze dell’autrice, necessità non solo formali ma
esplorative dei significanti fonici e logici dei versi. Come già fatto, darò conferma
concreta di tutto questo.
Le
poesie Per te e 2 Novembre sono presenti sia ne Il
tempo rappreso che in Ora che è tempo
di sosta. Desidero comparare dei passi che sono stati modificati
nell’ultima versione. Mi riferisco alla cernita che segue: dalla silloge del
2017, “…onda d’acque e di cieli, / a lavare tradimento e martirio / in silenzi
d’amore…” e ancora: “…Non più ti sia dubbio / e affiliata lamiera l’attesa /
del figlio…”, mutati ne Il tempo rappreso
con l’elisione della parola tradimento dalla
prima citazione e trasformando il secondo stralcio in “…Non più ti sia dubbio /
e affilata lamiera quest’attesa, / padre,…” (da Per te). Analogamente in 2
Novembre 2015, dove, dalla raccolta del 2017, viene anzitutto rimosso
l’anno dal titolo e, successivamente, cambiata la disposizione dei seguenti
versi: “…Mi rimane l’espiazione / per la proda inesplorata / d’un infanzia, la
mia, che fu serena…” in “…Mi rimane la proda / d’un’infanzia, la mia, che fu
serena… (da 2 Novembre).
Com’è
evidente, siamo di fronte a rifiniture delicatissime e molto attente. In
particolare, a me hanno colpito le elisioni, cioè a dire la grande vigilanza,
posta dalla Ambrosini, all’essenzialità del dettato. Non si tratta di
aggiungere ma di togliere (come qualcuno, più importante di me, osservava).
È
tempo di chiudere: lo faccio con l’auspicio, per Angela, di persistere nella
ricerca meticolosa di una parola sempre più densa ed essenziale; ispirata dal
canto, dai colori e dalle atmosfere di una natura che ci parla ancora, che
resiste e ci offre momenti di bellezza assoluta, pari a quelli che stiamo
vivendo oggi, qui, a Vallecupola.
Sandro Angelucci
Mi sento onorata oltre che commossa per questa attenta, profonda recensione del critico e poeta Sandro Angelucci sull'intera mia produzione poetica. Grazie infinite per l'acribia e la sensibilità!
RispondiEliminaAngela Ambrosini
Grazie a te, Angela, che mi hai permesso di scrivere in virtù della tua autentica e validissima poesia!
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