martedì 9 settembre 2025

Premio Nazionale di Poesia “ A e c l a n u m ” XLIII Edizione

PREMIAZIONE

13 Settembre 2025 ore 17:30

Teatro Comunale di Mirabella Eclano (AV)

Via Municipio

Interventi:

Imprenditore Giancarlo Ruggiero

Sindaco di Mirabella Eclano

Dott.ssa Raffaella D’Ambrosio

Ass. alla Cultura

Relatore:

Prof. Antonio Crecchia

Poeta, Saggista, Storico e Critico Letterario 


GIURIA DI MERITO

Presidente

Ch. mo Prof. Nazario Pardini - Ordinario

di Lingua e Letteratura Italiana - Pisa

Vice Presidente Prof. Antonio Crecchia

Poeta, Scrittore, Saggista,

Critico Letterario

Prof. Mario A. Iarrobino

Critico Letterario

Prof. Carmelo Consoli

Poeta, Critico Letterario,Presidente della

Camerata dei Poeti di Firenze

Prof. Gerardino d’Errico

Professore di Chimica f isica Università

degli Studi di Napoli Federico II


Premio “Aeclanum” alla Cultura

“PASQUALE MARTINIELLO”

è assegnato ad :

Alessandro Di Napoli

Critico letterario ,Poeta

Castelfranci (AV)


Poesia edita - Sez. A

VINCITORI

1° Premio “Giuseppe Giacalone”:

Maria Luisa Daniele Toffanin-

Salvazzano (Padova)

2° Premio:

Ignazio Gaudiosi - La Spezia

3° Premio:

Davide Rocco Colacrai-

Terranuova Bracciolini (AR)

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Poesia Inedita - Sez. B

VINCITORI

1° Premio “Giuseppe d’Errico”

Davide Rocco Colacrai-

Terranuova Bracciolini (AR)

2° Premio:

Angela Ambrosini-Città di

Castello (Perugia)

3° Premio:

Lorenzo Piccirillo-

Pontinia(Latina)


Le Poesie dei Vincitori saranno lette

dalla D.S. Prof.ssa Luisa Martiniello

e

dalla Prof.ssa Antonella De Caro

con relativo giudizio critico


Note sez. A  opere edite



Davide Rocco Colacrai : Ritratto del poeta in autunno, Carmina, 2024

Il grigiore meditabondo dell’autunno fa tornare alla mente sprazzi di vita vissuta o vista vivere in un brano, in una canzone, in una scena filmica, tema: l’essere, ovvero, il percepito di sé e da altri e la croce quotidiana da sopportare.

Il grigiore porta alla memoria un pugno di periferia/umido come la nostalgia…/e grigio//tra i corridoi umidi …impregnati di quello  struggimento tipico del fuorisede alla ricerca nello scontro ideologico di un’educazione diversa,/e il più lontano,da quella dei padri//uniti dalla paura di diventare adulti.

E’ forse questa la chiave di lettura di questa silloge: lo struggimento, di qui gli interrogativi e le lagrime rugginose per storie umide di preghiere che il ventre rifiutava, di qui la necessità di sentirsi nel pane dei miei ossimori, di qui il ricordo del professore-eroe-padre, instancabile stella cometa, che coglie nei suoi alunni, tangenze di solitudini, il bisogno giorno dopo giorno di essere innaffiate d’amore.

Il poeta dà voce a chi, abortito dal proprio cordone ombelicale, sogna di essere pittore e sconta quella che è “una malattia” per altri in un letto, nella posizione di una sillaba di luna, e s’aggrappa a una pennellata per sopravvivere/un’altra per salvarmi/e la terza per esistere nella cruna di una preghiera.

Dà voce agli esclusi o espulsi, ai cristi che fanno i conti ogni giorno con la propria fragilità, in un mondo che non conoscono e non li riconosce: ed io canto i chiodi/ che ho tolto alla mia sorte/per celebrare il mio messaggio d’amore// e brucia il mio sangue/ in un roveto di chiodi con cui assolvo l’uomo che sono/ per le coordinate di nuova razza.

Dà voce alla preghiera di chi si dicesse aveva 19 anni con un ventre umido di stelle cadenti e rum/bruciava/ con una luna verde limone.

Dà sostanza a quel corpo che ossimoricamente è di rosa e di ruggine con l’urgenza di avere un focolare/ per non tremare da solo davanti all’universo, ma chi è troppo grande per essere un bambino/troppo piccolo per essere un uomo è costretto a fare i conti con le sole ceneri delle variabili, con la mia apostasia d’uomo che sanguina arcobaleni d’amore ancora oggi.

La quotidianità infranta è colta là dove il respiro si confonde con il sangue e nelle macerie ci si fa lentamente ricordo, nell’ombra di se stesso, nella dilatante speranza di lieviti d’amore, nella precarietà dei giorni quando con la parola ancora umida di sogni si finisce tra tamburi di fiamme in una ragnatela/gonfia di citazioni di sangue, mentre altrove Eva diventa l’istmo che salda due sogni d’uomo e diventa quella variabile che libera la radice di due semi in una nuvola d’argilla.

I personaggi, tutti, sono portavoce di un dramma, tutti hanno cercato uno spazio. Mia Martini ha condiviso il suo desiderio di amore e libertà attraverso il canto-poesia: ogni poesia una storia che ha addosso// ogni storia la mia confessione. Gli intrappolati nel grembo cavo di una terra ancorati all’ansia di sentirsi bussare alla porta, al credo dei fukù, aspirano alla iolla per pagine bianche da scrivere, accompagnati da un scordatidimé nell’educazione di un esilio. Evan col suo zaino sulle spalle e gli occhi sui suoi passi è l’emblema di chi è confuso dalle promesse/ e dalle solitudini che s’infrangono senza rumore/ nudo alle paure e alle parole/ nella fragilità del desiderio di esistere. Matthew Sheppard è il Cristo/ a cui hanno negato il giardino e la spina/inchiodato alla mezzanotte, vittima di un’efferata aggressione. Altre vittime si perpetuano nel canto dei poeti: sono gli indifesi della strage del 2 agosto 1980, le ombre di se stesso nel Gulag di Goli Otok del 1950: ognuno colto nella solitudine della propria sopravvivenza. Storie di solitudini come quella di chi ha avuto per amico/solo un cuscino, il poeta riconosce nel suo cane Manny il solo contrappunto alla mia costellazione storta e sterile.

La salvezza è nell’amore per il verso e nella sua continuità: in un’ora azzurra che la parola poetica inquadra a voluto discapito delle ombre.

 

Luisa Martiniello



Ignazio Gaudiosi: Verso la luce, Edizioni Setteponti, 2025

La silloge Verso la Luce è testimonianza di un itinerario che negli anni attesta una tensione mai sopita o compromessa dal dubbio, una attestazione della fede ereditata dai padri, che anche di fronte agli inciampi, alle cadute, alle incrinature sapevano trovare  la via della ricucitura, che lascia sì l’impronta della ferita, ma che è prova di accettazione: Fiat voluntas Dei.

In Respiri in semiluce (1983) la brezza nel cuore dei bimbi, che portano la palma, è quella che dovrebbe scorrere nel cuore di chi non trova pace, di chi vacilla. E’ un invito ad aggrapparsi alla fede, a nutrirsi del pane visibile, che si concretizza in contraddizione ossimorica o falso chiasmo nel dramma amore, sangue, pace, tradimento che Leonardo seppe raffigurare nel Refettorio delle Grazie: la stanza dove io mangi la mia Pasqua; un invito a che il cuore si apra al canto dell’amore e del perdono, a liberarsi del peso del nulla, che preclude la gioia delle piccole cose nell’arsura del tribolo nascosto.

Nella trama dei ricordi s’impiglia una vigilia. La sera-personificazione- s’affretta nei vichi, cogliendo da una parte un quadretto d’interni: i cibi delle costumanze, i piccoli che baloccano gli anziani, il presepe, gli occhi assenti, che cercano memorie, dall’altro di rimando in sogno la città di Davide. L’eco di un Natale rimanda a una notte nella quale nel sonno/che s’appropria degli affanni… una stella è punto di richiamo, indica il luogo del prodigio. Il poeta prolunga il suo pulsare con l’uso del gerundio occhieggiando: la paglia nella mangiatoia splende, mentre giuoca il Bambino con l’argentea luce. Un terzo elemento, il vento, che accarezza la fronte del Bambinello, attraversa i secoli e disfiora il viso.

Lo scandaglio non è visto come preclusione, anzi l’ansia diventa dono e l’anelito al Vero, si concretizza in un’ala di libellula, /misterioso palpito/ fra l’eterno e il nulla.

In Archi di parole (1986) meno silente è la tensione tra finito e infinito, tra ciò che si è concretizzato: Sindone, fine tessuto/ornato di pensieri e ciò che è vagheggiato, l’invito a non volgersi dove s’irradia/il falso riflesso della luce. Male s’addice all’assetato/ il miraggio che lo fa impazzire.

Anche gli elementi naturali acquistano particolare valenza: La neve con la sua danza rituale ha una funzione di purificazione, di salvezza, mentre il senso di precarietà si manifesta ne la Preghiera del contadino -personificazione dell’uomo- che deve fare i conti con il sale, l’acqua, il vento/ amici con l’insidia quando affida i semi agl’insulti/di giorni senz’anima né cuore. Non ha pegno da offrire, ma solo la chiusa di una preghiera atavica: E così sia.

Il poeta-uomo teme l’acerba invidia, /la nera gelosia, /l’oppiato fumo dell’adulazione//la povertà dell’anima, /l’usura della maldicenza, ma il suo occhio valica l’immenso, /perde trasparenza,/s’adagia sull’arcano/che fa smarrito ogni riverbero. E non stupisce che un cane ai rintocchi della messa vespertina, ululi il vezzo conosciuto e sia in sintonia con le lodi più di altri suoi non simili.

E degna di una sequenza filmica è la lirica Sud in Signora solitudine (1994): Al Sud tremano ancora /le dischiuse labbra...Sacro e profano in una pennellata: i parroci discutono tra loro/ di prebende,…/e in contrasto: avanzano col viso rubicondo/ e sbiancano di più le gote smunte/dell’aureolata. Il ragazzo catturato dal volto fermo della santa rappresenta ognuno di noi che si lascia divenire ostaggio/d’una lunga eternità. Incisiva la similitudine: come lucciole, lanciano richiami/smoccolando, le fiammelle dei ceri, che illuminano quante devote mute vanno sul selciato a forma di via lattea, con nel petto uguale una pena, /furtivo un desiderio inconfessato.

Da Vertigine (2013) Autunno dell’anima ripropone la vulnerabilità, così come da Antinomie (2010) Nulla di te posseggo il timore che si incrini o si sfalda sotto l’incerto piede la roccia della fede, che non s’apra la soglia sui gangli misteriosi del tormento. Si coglie il silente disappunto di volere una certezza: che tu sia a me vicino, che la voce antica si faccia risentire, spente le chimere, i frastuoni, ma il creato, l’Incarnato ci parla anche attraverso il garbo di un fiore, che si esprime nell’eloquenza del linguaggio con parole contenute, che esplicitano un limpido messaggio. Si codifica l’immanenza.

Un due novembre ci riporta a specchio la città dei morti e dei viventi, la prima di ammonimento ai sopravvissuti in calca con quelli che fermi sul freddo di lapidi lustrate/ attendono l’avarizia di un saluto, /qualche carezza di uno sguardo amico e s’aggrappano al sussurrìo d’un’ orazione.

Il ruere del tempo in Parodia rende il desiderio di Luce struggente, l’afflizione più sopportabile se altra luce avanti immaginata ,/…. potrebbe divenire certa, / e se si accendesse quella aspettazione/per un eterno sito./ Quella diventa vita/ se l’impeto fervente te lo grida.

L’amore per la consorte Grazia è scandito da frasi brevi, lunghi silenzi dell’intesa, ma in questa accettazione serena di palpitante brevità si fanno i conti : si raccoglie  il meglio, ovvero la continuità in una voce nuova tanto attesa o in una ben salda intesa ombelicale. Particolare tenerezza suscita la sintonia tra il nonno e il bimbo dagli occhi come cristalli azzurri nel cogliere in una farfalla la stessa levità di cuori.

L’ultima lirica La casta in Tra sogno e realtà(2023) è la denuncia di una fase storica che si rinnova nel gioco di chi detiene le fila e sovverte gli eventi: la nascita di gemelli non suscita  un sussulto di cuore paterno, giacché nella fossa con altri senza nome e non più avversari.

La morte livella, ma la speranza di un altrove rende meno oscuro il presente.

 

Gaudiosi ci ha abituato ad una verseggiatura che ha musicalità intrinseca e quindi contrapposizioni, correlazioni, assonanze , richiami visivi o di suoni non sminuiscono la tensione, né tantomeno l’uso ponderato di termini altamente poetici: aspettazione, dumo, tramenìo, tribolo, assillo, agrezza, sussurrìo, asserto, che testimoniano invece la ricercatezza fonica oltre che un non comune afflato sensoriale, nell’anelito a  un travalicare Verso la Luce.

 

Luisa Martiniello


Maria Luisa Daniele Toffanin: La stanza alta dell’attesa, Valentina Editrice,2019

La stanza dell’attesa è il luogo ove si custodisce il ritmo dell’amore, nasce alla vita Maria Luisa nel letto-custode di memorie, della vita e della morte all’ombra della romanica chiesa di Santa Sofia; è la stanza nella quale si sperimenta l’attesa, resa meno dura dal conforto della preghiera e dell’amicizia, che si erge come “un grande albero che dà ossigeno e rifugio”. È il luogo dell’attesa materna in primis dello sposo dai campi imici /a lei stretto da un rosario epistolare/d’amore dolore premura, che quadruplica il vuoto dell’abbraccio, l’angoscia per la mancanza della presenza per lei piccina, che diventa comune linfa interiore, sotto cieli plumbei, solo da neri corvi solcati/ per magia d’amore/ mutati in candide colombe. Un padre da conoscere attraverso le lettere scarne per effetto della censura, un padre conosciuto realmente, a poco a poco, dopo il suo ritorno. Nella prima sezione dal titolo Rituali suoni, attimi, immagini sbiadite ricostruiscono fotogrammi: Pippo con le sgravanti bombe mortali, il rifugio aereo, un Bubi addosso che difende dalle fredde notti. Da un lato la madre: la sposa-madre-vestale, dall’altra il padre di cui ricorda il battito del tuo non detto/per quel pudore-dignità: sudario/sull’altare del dolore, che in prigionia supera la straziante lontananza richiamando l’immagine baluginante ad ogni ora / di profili sguardi sorrisi incisi nella cavità del cuore/ richiamo che chiama richiama la vita/la casa-gomotolo di speranza infinita. La tensione è nella mancanza di punteggiatura, nella sequela di termini che si rincorrono per associazione, rimandi fonici e non solo. L’uso di metafora e/o sineddoche contribuisce a ritrarre in poche pennellate di versi l’atmosfera intrisa di ricordi, odori, suoni, sottolineati da una musicalità che è riscontrabile per le rime, le assonanze, l’uso qua e là di termini aulici quali: lietante, captivo, casa-cuna franta. La logorante attesa nel Campo di Benjaminow n.5437 ripropone la trama del vissuto/ incubo di giorni umiliati arresi/nel vuoto smarrimento del proprio ego/alle fauci della fame del gelo/al raschio degli insetti/all’alito di morte sui reticoli e diviene specchio dei tempi bui, di tutti i tempi bui in cui l’umanità è ancora colta nel fruscìo del pacco//condiviso come una comunione, nel fruscìo dell’ago-filo a ricucire una parvenza di rispetto di sé  e trova una via d’uscita nella linfa-logos dei Grandi che fa andare come sottolinea l’anafora oltre il limite delle baracche/oltre lo sguardo folle del presente. Con una sequela di flash-bach, la poetessa riattiva il cono di luce su frammenti di ricordi e riaffiorano presenze più nitide : Giannina che incornicia col canto gli occhi del padre quali azzurre essenze del giardino,o più sbiadite dal tempo, ma tutte custodi del vostro mio passato, Jolanda nel suo musicale veneziano, la nonna Elvira, la zia Amalia ,lo zio violinista, ardente partigiano, quei ragazzi che frequentavano la scuola al Portello,Ada,  a ricordare che proprio “nei periodi di terra più magra l’amicizia germoglia come albero frondoso-riparo, con radici profonde diramate in trame davvero inattese nel dopo,quasi un dono immortale degli dei”,e si scopre luce che si ravviva per desiderio così vivo dell’insieme, che si scopre più sincera nel periodo magro postbellico// all’ombra dei  portici nelle piazze patavine con un ardore riacceso dal ritrovarsi vivi/nella vita rinata a un’aria frizzante di attese, mentre nell’opulenza si va più veloci più avari di parole gesti/l’aria più satura d’apatia d’indifferenza. Le voci autentiche sulle terrazze, lungo i portici  fanno pensare all’appartenenza al una famiglia più grande, tessera valoriale, ecco perché per la poetessa vagare nel travaglio della memoria non è ricerca del tempo perduto/sofferta nostalgia del passato//ma ricupero di calchi da calcare/cifra di un vivere altro//cum-divisione di gioia e dolore/per una nuova umana dimensione.Lo struggimento caratterizza l’attesa, che a sua volta contraddistingue i giorni dell’infanzia; l’attesa del padre  si concretizza in un dono di due scarpette di cuoio e la cenere della sigaretta caduta sulla sua manina, segno d’un giubilare tremore d’incanto, nell’attesa della notte di Natale si perpetuano presenze amicali, parentali, tutte accolte come antichi eroi, ed ecco  suggestioni in uno svolgersi da pellicola: lo stupore-bambino di fronte ai  guizzi girini//sorpresi nel vaso di latta, il soffione tarassaco//lampo setoso sfrangiato nell’aria, la statuina di gesso trasmessa nelle mani del figlio e poi della nipotina,il suono struggente di cornamusa: l’attesa//della Luce nella tenebra;la focaccia materna dall’odore inconfondibile di mela e cannella, gli scampoli comprati a poco nelle botteghe del ghetto, gli stupori campestri, le cantilene contadine della nonna che il vento smemorato s’è portato via, i rifugi agresti dove difendersi dai bombardamenti; un emergere di rimandi emozionali che sgorgano dalle stanze dell’anima/ come lava dal cratere, ed ecco sul palcoscenico dell’anima farsi avanti l’oco bianco che beccava il gesso dall’intonaco per mancanza di calcio,la terrazza, la cucina, il salotto buono, la processione del Corpus Domini lungo le vie a petali di rose o quella per la città intera attraversata/dal santo dei miracoli presente nelle radici delle case; ore rincorse nel gioco, giardini, slarghi, piazze con un profumo di amicizia, d’eleganza, cifra di un’antica Padova altra, che educava al buono e al bello, all’armonia e alla bellezza, di ciacoe scambiate con sorrisi, luoghi operosi all’insegna di solidarietà per risollevarsi insieme dall’inerzia del diluvio bellico,episodi,presenze che il tempo sbiadisce, amicizie consolidate con un carico di fatti, scelte, emozioni che la poetessa fa riaffiorare e cristallizza per tramandarne la loro epicità, anzi come uccello di passo è migrata in altra casa, ma qui un’altra stanza bassa ha già in serbo uno scrigno/cratere indicibile di attese da raccontare. Nell’attesa, noi lettori, diamo spazio al recupero memoriale delle nostre antiche presenze, al sapore condiviso d’un batuffolo di zucchero filato, di una calza promessa di promozione d’intenti e diamo fiato perché anche i nostri versi - soffione dilaghino nei cuori altri.

Luisa Martiniello


  Note sez. B opere inedite


Angela Ambrosini : nota critica alla silloge inedita Premio Aeclanum  XLIII ed.

Il titolo della lirica Trame d' acciaio – in ricordo di Augusta,  ricorda la metafora di Max Weber del capitalismo moderno : l' acciaio, materiale forte e rigido, come la natura inscalfibile delle costrizioni e dei vincoli del sistema societario, diventa qui il dorso della carta, sineddoche e metafora implicita della copertina di un libro, contenenti le pagine della vita : senza conoscerci ancora, ognuna leggeva l’altra . Rimane solo la fede, nella speranza che la trama, il filo orizzontale venga ancora letto. È interessante come sia stata scelta con cura la parola trama e non venga menzionato l' ordito, perché la lettura occidentale avviene in orizzontale. Le linee possono essere considerate delle parallele che non si incontrano, ma la fede può rompere le leggi ineluttabili della tangibilità dell'evidenza. All 'imperativo iniziale ascolta specularmente si pone in conclusione un altro imperativo lasciami . La ripetizione del verbo lasciami nelle sue varianti crea una circolarità, che nasconde la ciclicità della vita, inizi e conclusioni, ma anche la speranza nel ritornare sui propri passi come in un eterno ritorno.

Speranza che nella lirica Nella notte della storia viene personificata da una stella, che dovrebbe squarciare il buio delle tenebre e svegliare dal sonno profondo,  senza posa, senza una fine, quella luce inseguita al canto di candele nell’infanzia dovrebbe anche/ per noi , di fronte ad una culla di paglia/ e rovi , far ritrovare quella fede che va oltre l' evidenza, che era già nello sguardo mite/della Madre che vede oltre la Croce.

La luce e le ombre si alternano anche nella lirica Purificazione , che rappresenta una climax ascendente dei sentimenti della poetessa. Deposta ogni ansia, non più assalita da passati dissidi o gioie rapaci,  prende atto del soffio all’orizzonte. L' alternarsi di toni freddi a quelli caldi racchiudono  l' alternarsi di gioie e dolori, in un gioco cromatico dove lo scorrere del tempo stempera, come in un acquerello, le ferite della vita, lo scorrere dei giorni  rivela il suo io più profondo,  l’anelito ad una vita che alita incenso . Punto fermo diventa il deittico qui.

 

Antonella De Caro


Davide Rocco Colacrai : silloge inedita premio Aeclanum XLIII ed.

La luce nascosta nelle sere d’inverno-a mia madre

Il lumino diventa personificazione della luce che risulta fragile, si affievolisce con  il passare inesorabile del tempo, scandito dal saluto della buonanotte.   L' ossimoro fiamma/ fragile culmina in una similitudine: fragile come l' ora della buonanotte , che  nasconde un 'ipallage, infatti  lo stesso poeta e la madre risultano più stanchi al calar della sera. L' ossimoro deserto liquido , riferito allo spazio, definisce la tavolozza dei colori del luogo del saluto, anch’ esso ossimorico. I gesti quotidiani serali diventano un rafforzativo di un arrivederci: chiudere i fornelli, accarezzare le finestre, contare i lampioni. Un arrivederci che si può tramutare in un addio in un attimo, non voluto dall' io narrante, inatteso. L’ iterata anafora iniziale c’era rimarca il richiamo dell’upupa in sottofondo, e il lumino in cucina, che, in chiusura di lirica, viene connotato con l’aggettivo tremulo, dando vita  ad un’altra similitudine : come era tremulo il silenzio del sonno nell’immenso che apre alla nostalgia dell’assenza, rimarcata dall’uso costante dell’imperfetto: scaldavi il cuscino con le storie di un ricordo/che pochi ancora ricordavano.

Ricordo è il verbo in prima persona che fa da tredunion tra le liriche della silloge, in Il piccolo zaino rosa-in memoria,il poeta ricorda la sua compagna di classe, Wendy personificata nello zaino rosa, che definisce il mio universo, nel quale è rimasto tutto  un mondo,i sogni,stroncati nell’azzurro gelido di un giorno di gennaio. Alla descrizione dolce e angelica della  routine quotidiana: l’odore di caffè, i biscotti nel latte, la quiete tremula in attesa che il giorno decida metaforicamente il suo vestito  si contrappone un' iperbole discendente di un mondo sottosopra, per un volo d’angelo, per un respiro nel pugno del vuoto , che ribalta all’improvviso e senza un perché il rosa dello zaino nel grigio del giorno. Il non poter proseguire nelle consuete usanze,  nell'abbracciare lo zaino, nel disegnare, nel vedere insieme il Natale successivo porta il lettore a riflettere sulla caducità della vita e sulle scelte che ognuno di noi compie.  L'io narrante non giudica,  ma fa tendere alla riflessione: all’impossibilità di tendere la mano, all'impotenza di aiutare, ad una ritmicità incalzante che non permette una via d'uscita, all'amarezza nel cuore che è contrapposta al ricordo della dolcezza della marmellata e dello zucchero a velo.

 

Il poeta sostiene nella nota descrittiva In un sospiro da Dio  che il luogo più idilliaco può nascondere una trappola mortale, che sia una zona innevata o che sia il perimetro di nove piani, chiamato casa. Il poeta Colacrai riesce con un linguaggio seppur in apparenza semplice e chiaro, colloquiale, a coinvolgere il lettore in un viaggio sinestetico e emozionale, dove la parola viene plasmata e dà forma a un susseguirsi di eventi travolgenti. La ricerca di una vita migliore spinge anche a valicare confini segnati dalla neve, che aprono a panorami, che sembrano dare il benvenuto, ma intimoriscono, con le loro case fiorite nelle costole delle rocce , o su un fianco//aggrappate alle loro radici. Anche qui  Ricordo è il verbo in prima persona che riporta alle soglie della memoria una tragedia, in questa lirica quella dei migranti sul confine italo-francese, che riassume in una forma ciclica il dramma nella iterazione e similitudine dei versi iniziali e di chiusura:Ricordo la mano di mia madre/che stringeva la mia come fosse un’ancora-/e ricordo lei, mia madre. Poco più in là, sottolinea amaramente Colacrai, turisti scieranno indifferenti, godendosi la loro settimana bianca.

 

Antonella De Caro


Lorenzo Piccirillo: da Il sospiro della “rosa”, nota critica  silloge inedita - XLIII ed. Premio Aeclanum

I titoli  delle liriche :Cotta, Opium, Comunella  rappresentano il segmento dell' Amore, che inizia con l' infatuazione, prosegue con l' inebriamento e termina con un patto segreto, con una complicità. L' epilogo di Comunella , però svela che l' unica persona che può decodificare il codice non scritto del poeta è lei, l' Unica che ha la sola copia di quella chiave, la cui  matricola è irrecuperabile. Gli Stati d'animo delle tre fasi della vita sono scanditi dai versi : Siamo stati sorpresi da una lacrima /sfuggitaci in un temporale d’amore/mentre ci nevicava nell'anima in piena estate, - per quanto smisurata fosse l' ampolla del tuo desiderio, con il tuo sorriso si moltiplicava, - per sempre tua. L' ultimo verso risulta il codice evocativo di un ricordo mandato al macero, che diventa vivido nel momento del ritrovo. Anche la stanza viene chiusa a chiave, per cercare quel silenzio interiore, ossimoro del sentimento provato dall' autore. Da notare che  la porta d’ingresso  viene chiusa ponendo, con un’ardita e allusiva metonimia,  il  tavolo con la sedia sotto la gola della maniglia per isolarsi. La persona fisica può essere raggiunta, ma è l' anima del poeta ad essere irraggiungibile, l' essenza del proprio essere, l’io più profondo.

 

Antonella De Caro  


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