martedì 9 settembre 2025

Recensione a Maria Rizzi, L’arcobaleno nelle pozzanghere (Napoli, Grausedizioni, 2025) di Maria Luisa Daniele Toffanin


 Maria Rizzi  poetessa, scrittrice, insigne critica, presidente di IPLAC, si conferma con quest’ultimo suo L’arcobaleno nelle pozzanghere, una vera esperta del romanzo poliziesco, già di per sé ricco di suspence, mistero, ricerca, tensione, in un continuo coinvolgimento del lettore.

La vicenda, riportata in quarta di copertina e ridotta a poche parole, è la seguente: “Miriam De Falco riceve l’incarico di commissario nella sua città di origine, trasferendosi da Roma e allontanandosi dalla sua famiglia. L’omicidio di una ragazza apre la strada a squarci torbidi che metteranno a dura prova la stabilità emotiva della squadra che deve risolvere il caso, in cui spicca la determinazione degli ispettori Ferragni e Girotti e degli agenti Rondelli e Scotti. La macabra storia mostrerà scenari inaspettati, grazie a cui la protagonista intraprenderà non solo un viaggio legale contro criminali privi di scrupoli, ma anche un’esplorazione del suo mondo interiore, fatto di una villa antica, di sapore di glicine, di vecchi amici ritrovati e di un’adolescenza di cui sente ancora il richiamo. Il ritorno nei luoghi della memoria si rivelerà catartico e saprà restituire al tempo la sua giusta dimensione”.

Maria Rizzi, rivela qualcosa in più: una tecnica particolare nella costruzione dell’opera. Potenzia le capacità introspettive dei protagonisti nell’approccio con l’altro, acuita poi dal loro mestiere, ma spontanea, innata in Miriam, in particolare. Il tutto crea un buon gioco di squadra, fondamentale nella situazione. Costante la sua attenzione all’aspetto fisico dei diversi personaggi in funzione della loro interiorità, e all’ambiente, spesso ridotto all’essenziale, come riflesso del loro vivere quotidiano. E, nel caso delle vittime, approfondisce una ricerca del contesto storico-sociale in cui si cnsuma l’orrenda, complessa vicenda dalle diverse chiavi di lettura. Fa da contraltare, come per alleggerire la trama, il riflesso del cielo che nelle sue diverse declinazioni, dall’alba al tramonto, lenisce, illumina il vissuto di Miriam nel faticoso ruolo di commissaria, svolto con esasperato senso del dovere da cui non sa staccarsi “come da una sedia”. Quindi, un paesaggio sempre minimale, sempre sotteso ai sentimenti umani, tale da creare, però, spiragli poetici indispensabili per riequilibrare la tensione narrativa. Il linguaggio, infatti, nell’insieme misurato, alza, talvolta, il registro seguendo i peculiari stati d’animo degli stretti collaboratori ‒ particolarmente incalzanti e sofferti ‒ acquisendo toni drammatici che  così  si stemperano in liriche espressioni.

In questo modo, l’autrice sa tenere le redini per modellare quel modus in rebus che caratterizza sempre la sua opera. Leitmotiv  del romanzo è la memoria, intesa come ritorno a Villa Bea, scrigno di affetti, amicizie, incontri umani che, in questo  particolare momento turbato da problematiche lavorative e dall’assenza del suoi cari, diviene risorsa psicologica non indifferente.  Lì, spesso ritorna con il pensiero nel giardino degli oleandri e del glicine della nonna, sovrabbondante di ogni fiore, con la Madonnina in fondo e la recita della preghiera serale. Ritrova i compagni di gioco dell’adolescenza, quelli del Liceo, dei dialoghi confidenziali di varie stagioni della vita giovane, mondo con cui ancora è in contatto. Qui, cerca le sue radici che, come spiegheranno le amiche successivamente incontrate in città, costituiscono in lei la linfa viva per procedere verso il futuro, anche con scelte di vita meditate. Le telefonate con questi amici, in particolare con Guido, diventano fondamentali per un rinnovato incontro, e per riconoscersi in tutta la sua umanità.

Infatti, Miriam, talora, si sente priva di questa ricchezza interiore quando il lavoro, feroce e crudele, inaridisce qualcosa di sé, ma per lei Villa Bea, tutto il contesto affettivo amicale, le permette di rivitalizzarsi, di riscoprire, soprattutto, l’appartenenza alla famiglia, ai figli, al marito, e quindi di rivedere le vere dimensioni del vivere, senza tradire il radicato senso del dovere.

Un romanzo poliziesco che, per il suo stesso genere letterario, coinvolge il lettore, qui ancora più per i diversi e drammatici temi d’attualità proposti. In questa vicenda, cattura la figura femminile di Miriam, divisa tra lavoro e impegno familiare, combattuta costantemente nella sua interiorità. Problemi, fortemente sentiti, perché rappresentano la dinamica del mondo d’oggi. Una bella scelta, allora, quella di Maria Rizzi, di introdurre  nella vicenda le difficoltà di tante donne del nostro tempo, argomento a cui l’autrice è molto sensibile. Perché Villa Bea, Itaca, la stanza bassa per me, sono scrigni che appartengono forse più al mondo femminile e diventano quella preziosa forma catartica per una vera lettura della realtà, per scorgere anche “l’arcobaleno nelle pozzanghere”.

Maria Rizzi in ogni sua opera, pure nella presente, proietta tutta sé stessa, i suoi valori, la sua fede nell’uomo e nella vita, nonostante tutto, rendendo così il romanzo personale, autentico e universale.

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