Nazario Pardini
Luglio
E mi giunge acuto il canto
di stridenti cicale
portato da brezze di sale
lente, affannate di calura
giù per la radura lucente;
mi trai nel solito stradone
tra spalliere bruciate,
contornate d’acre fragranza
di grano,
e ancora i convolvoli
agresti,
i sesami, i papaveri
sparsi dintorno:
gocce di sangue disciolte
sui fulvi vestiari
o di latte
da mammella divina cadute;
dondolìo di vespe
sulla tua fronte
tumida di sudore
sulle ore di una pigra
clessidra.
Mi attendo paziente
uno spento languore
di fiori essiccati sulle
reste
del tuo letale calore.
Poesia fortemente impregnata di panismo cosmico, si avverte quasi l'afrore del grano, il frinire di cicale tra le stoppie...una realtà che vive nel poeta come fonte d'ispirazione e di florilegi d'inaudita potenza e valenza, perché Pardini sa esprimere la sua calda vena terragna come nessun'altro, ha ristagni di luce la sua parola, come la luna quando fa capolino tra gli alberi e risplende in tutta la sua intensità planetaria.
RispondiEliminaBellissima poesia, complimenti vivissimi.
Ninnj Di Stefano Busà
Sembra incredibile che nel cuore della (in)cultura globalizzata e megalopolitana dei tempi attuali possa esistere qualcuno, come Nazario Pardini, così sanguignamente e visceralmente immerso nei ritmi della natura, negli abbracci esaltanti e poderosi della Terra Madre. Non si tratta di una visione bucolica, di una pastorelleria agreste o di un arcadico ozio letterario. No, qui c’è il figlio della terra che rinasce nel proprio cordone ombelicale. C’è l’uomo di sempre, l’uomo antico e l’uomo nuovo, capace di risvegliarsi, dopo tanto torpore, nelle proprie più autentiche radici spirituali. Concordo con la Busà: questa è una poesia “d’inaudita potenza e valenza”. Ed è veramente una poesia nuova. Complimenti, Nazario.
RispondiEliminaFranco Campegiani
Questa lirica (perché di liricità si deve ed è importante dire quando si leggono poesie così), questa lirica - dicevo - è prettamente pardiniana. Lo è perché tutto, ogni lemma riconduce al sentimento naturale - e dunque armonico - dell'esistenza. Vorrei (se mi è concesso un suggerimento) si fermasse l'attenzione sul verbo che esprime l'azione, il fare, la poiesi dell'uomo, ma, non di meno, quella della stessa natura. Mi riferisco a quel "mi trai", segno - per me - di una forza irresistibile, che trascina, appunto, lungo un cammino dove le "gocce di sangue" dei papaveri si mescolano al "latte" caduto da "mammella divina", rallentando l'artificioso attivismo come una goccia di sudore che, lenta, scende sulla fronte. E cosa si aspetta il poeta? Uno struggimento del cuore: "spento" - certo - ma non come si potrebbe pensare: il "letale calore" - a mio parere s'intende - è tale perché vince ogni resistenza immergendo l'anima nell'estate, facendola "essiccare" come i fiori che, anche loro, attendono quello stesso "languore".
RispondiEliminaNon aggiungo altro: è Luglio che ha parlato; a Luglio, Pardini ha dato voce e respiro.
Sandro Angelucci
Un canto alla vita, alla natura e alle radici della terra che sa esprimere appieno la miscela fisico/emotiva dell'uomo moderno costretto alle catene da un turpe destino di relatività e solipsismo. Dentro questa poesia c'è la speranza di un mondo migliore, non deturpato dalle miserie umane e più vicino alle autentiche facoltà spirituali, al quale, con autentica evocativa ispirazione si riferisce il poeta. Complimenti vivi, con stima.
RispondiEliminaGiorgio Muoni
Il pegno della visione precisa della morte, consegnata al mese di luglio, al letale calore di quei fiori essiccati che rimandano, inesorabilmente all'enigma di un lume infantile che fu anche aroma di un passaggio divino ( come scrive il poeta N.Pardini): sui fulvi vestiari/ o di latte da mammella divina cadute; dondolio di vespe sulla tua fronte tumida di sudore/
RispondiEliminaUna poesia intensa, complessa; dedicata alla musicalità che si fonde alle scenografie amabili alla memoria poetica.
Miriam