lunedì 1 agosto 2016

N. PARDINI: LETTURA DI "IL TAVOLO ANTICO" DI MARISA CECCHETTI



Marisa Cecchetti: Il tavolo antico. Giovane Holden. Viareggio (Lu). 2016. Pag. 72. € 12,00

Il tema del ritorno nella poesia di Marisa Cecchetti

Della mia terra ho riscoperto il grano
voltava al giallo chiacchierava basso
con l’aria appena mossa era dovunque
volgessi gli occhi - fino al fiume e ai monti –
fino al profilo delle prime case
(…)

Il tema del ritorno è comune nella letteratura contemporanea e non solo. Ed è proprio su questo gioco che la Poetessa tesse la trama del suo  nostos; una trama odisseica che fa dell’uomo il viaggiatore infinito alla ricerca di una verità che Ella, alla fin fine, trova proprio nel suo ritorno. «Dove siete diretti?» la domanda ai viandanti nello Heinrich von Ofterdingen (1798-1801), di Novalis. La risposta «Sempre verso casa»: il viaggio quale odissea, quale ricerca, quale formazione, quale metafora della vita, quale nostoi. In Ulisse la stasi del focolare non ha seguito, si riparte per perdersi nel nulla; nella letteratura esistenziale prevale, spesso, un ritorno come scoperta di noi stessi; di ciò che cercavamo fuori. “Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via”. (Pavese, La luna e i falò). “…Ritorno con nell’anima lo sguardo/di una fanciulla intenta al corredo/che giocava spensierata a palla/sorridendo con le ancelle. Torno a sera/zeppo di vita, arricchito di genti di mari e di città/che colmarono in parte le mie voglie./ E questa è la mia sera:/ è un’ora che lascia all’incoscienza del mattino/la ricchezza del ritorno/alla mia casa…” (Nazario Pardini: La ricchezza della sera, da Le simulazioni dell’azzurro).
 Questo il tema centrale della plaquette che strugge in bocca per la delicatezza del suo incedere metrico. Una vera empatia che ti acchiappa e ti fa suo col procedere del canto. Poesia schietta, fluente, di eufonica elasticità, i cui versi, con impennate di ontologica trasparenza, concretizzano input emotivi di rara vicissitudine umana: una storia, un vissuto, trasmessi tramite il ricorso a fiumi, a grani, a campagne colorate e possenti, che, con i loro policromi azzardi, si fanno corpo di stati d’animo tornati freschi e vivi dopo un lungo riposo nell’alcova dell’anima: “Spesso ci sono più cose naufragate in fondo a un’anima che in fondo al mare”. (Victor Hugo). Sì, tornano a galla nuovi e incisivi, questi subbugli; rivestiti di un pathos che il tempo crea con il suo potere storicizzante; è così che la realtà di una volta si è fatta immagine; si è fatta serbatoio di una poesia calda e umanamente vicina. In ciò sta la grandezza del poièin della Cecchetti; in una simbiotica fusione fra dire e sentire; in una esplosione interiore che trova il terreno giusto a far fiorire parole per intarsi narrativi di resa poematica; per giochi sinestetici di forte intrusione significante. Mai si scade in lamentatio becera e scontata; tutto è armonicamente controllato da una creatività adusa alla scrittura; le emozioni di sana natura epigrammatica trovano un giusto equilibrio in nessi verbali che fanno da argine a corsi in piena verso il mare. Ed è la vita, zeppa di ogni suo accadimento, che alimenta questo scorrere fatto di memorie, di rimpianti, di illusioni, delusioni, saudade, di odeporici innesti; la vita c’è tutta coi suoi luoghi magici che assumono valenza edenico-rievocativa; è là, in quei luoghi dove la Nostra torna, sperando di ritrovarli eguali, immarcessibili, non soggetti ad un tempo che tutto fagocita e consuma senza rispetto alcuno per le cose sacre rimaste con noi come patrimonio insostituibile. Ma le cose cambiano, assumono aspetti nuovi, proprio perché toccate da quella brezza gentile dell’onirico; da quella sedimentazione produttiva a livello artistico. Forse eguale resta l’immagine di un mare che inghiotte il fiume; che rapina tutto il patrimonio del nostro essere ed esistere, dacché la vita che scorre per perdersi nell’ignoto è il frutto della ricerca verso cui volge il patema di questa silloge. La Poetessa sa, ora, che la verità da sempre cercata si trova in quelle umili cose a cui, una volta, dava poca importanza: le acque che riflettevano i primi bagni di Lei bambina, o la pietra levigata testimone di ancestrali e immortali usi:

“Ho ricercato il fiume là dove la zattera traghettava
biciclette e mamme con la sportina della spesa
e alla gonnella qualche figlio che guardava magico
il barcaiolo che spingeva la pertica sul fondo
ho cercato la pietra piatta della nonna
dove sbatteva le lenzuola la pozza chiara
di mio padre che mi insegnava a nuotare
la casa che il fiume gonfio allagava in golena
e gli occhi spaventati ho cercato a rincorrersi
i ragazzini prima della scuola – ha risposto soltanto
un canneto che spettinava il vento e una vietta
sull’argine tra l’erba di un inverno mite –
ma lì mi è apparsa la sagoma del nonno
in equilibrio sulla bicicletta con il sacco del grano
per la macina. Non ha la stessa voce il fiume
di quando ero bambina né la stessa magia
ma sì la stessa luce là dove volge quieto ala foce.

 Tornare a quelle chiarìe, ripescare il profumo di antiche primavere, abbracciare stagioni fuggite per incanto significa per Marisa dare un senso alla vita; rimettere in ordine accadimenti il cui processo tanto si avvicina a quella verità di difficile conquista “Noi siamo quello che ricordiamo/ il racconto è ricordo/ e ricordo è vivere” (Mario Luzi). “Après un long voyage, j’ai trouvé la verité dans ma petite maison” (Baumarchais). Un’attrazione verso le radici che ci cova dentro, e che matura sempre più a mano a mano che ce ne allontaniamo; un mondo di piccoli oggetti, di luoghi, vie, piazze, che torna con forza, per darci risposte ai tanti perché mai risolti:
piazza San Martino, piazza San Giovanni, la mia casa, via Gozzano, peri bianchi, peschi rosa, l’azzurro trinato del rosmarino, la bicicletta, lo zaino, il  capolinea degli autobus, silenzi bianchi di neve…; un trionfo di memorie che si concretizza in“un tavolo antico/  che mio figlio mi aiutò a collocare / più di vent’anni fa ricordo/ il nostro daffare operoso tra/ tavolo e libreria…”. E anche se qui  risalta viva la coscienza della precarietà del tempo e dello spazio; anche se umano risulta vivere un soggiorno ristretto senza vie di uscita; anche se cosciente la Poetessa della miopia dell’uomo di fronte al tutto, Ella sa trovare quel tutto nel potere della poesia. E’ con essa che, partendo dalle cose più umili,  ricuce le tappe del  suo viaggio, volgendole in realtà; e lo fa con una creatività che rende oggettivo e universale il suo amore per la vita. Niente è poco, tutto contribuisce a rendere luminoso il percorso, come la luce di un faro che schiarisce le tenebre del mare:

… Da grande –mia madre
diceva da grande mai ha detto da anziana-
ogni cosa acquista un valore speciale
e quindi la gioia.

Nazario Pardini       

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