Cinzia Baldazzi
di Valerio Di Paolo
Era il 4 di
luglio
quando abbiamo
bussato alla tua porta,
ci hanno risposto
che non abitavi lì da tempo.
Eri andata via
con un amore scapestrato
e una valigia di
siringhe monouso.
Quella luna di
miele è diventata un incubo.
Sei rimasta a
contare le porte,
ad abbassare le
maniglie per uscire
ma dietro ad ogni
porta
sempre lo stesso
muro
lo stesso
silenzio ad aspettarti:
ti eri murata
dentro.
Ti hanno trovata
con la faccia sul selciato
mentre il muro ti
raccontava la solita bugia.
Avevi le palpebre
di piombo
quando hai visto
l’ultima volta il cielo.
Il silenzio si
era accanito sulle tue membra
fasciandole di
galaverna,
per fare sempre
inverno avevi usato la neve giusta
anche la notte
che trovasti era quella giusta.
Sei andata ad
abitare nel condominio del silenzio.
Un silenzio che
nemmeno sa di esserci.
Era il 4 di
luglio e bussando alla tua porta
non ti hanno più
trovata.
Forse non
aspettavi i passi di nessuno.
Qualcuno si è
anche sbucciato le nocche per bussare
ma non hai
risposto nemmeno quella volta,
forse le ultime
parole le avevi lasciate tutte sul selciato.
Eppure
l’indirizzo era quello giusto,
anche il colore
era quello giusto,
nero, blocco 4,
fila 12, loculo 23.
Quel 4 di luglio
quando siamo andati tutti via
dietro quella
porta chiusa è rimasto solo il freddo
e dietro di noi
il silenzio dei nostri passi sulla neve.
Da allora nessuno
si è più chiesto perché non hai risposto.
Valerio Di Paolo: autopresentazione
Sono nato nel 1953 a Scafa, un piccolo paese industriale in provincia di
Pescara, da madre casalinga e padre operaio. Mi sono trasferito ventiduenne a
Roma, dove ho conseguito la laurea in Psicologia nel 1984. Ho lavorato per
trentasette anni nel settore dei servizi rivolti a persone diversamente abili e
ad ex-degenti psichiatrici. Nell’anno 2000 mi sono trasferito a vivere a
Marino, ora di nuovo a Scafa. L’incontro con la poesia è stato fortuito. Nella
consultazione di Internet per motivi di lavoro, mi sono imbattuto nel 2010 nel
bando di un concorso letterario: ho così inviato una composizione scritta tempo
addietro per mia moglie, senza attendermi nulla. L’essere incluso tra i
finalisti mi ha fornito la “carica” per continuare quel percorso e da allora non
ho più smesso, ottenendo tanti riconoscimenti di varia entità tra cui trentadue
primi premi in concorsi nazionali e internazionali. Nel 2016 ho pubblicato la
raccolta poetica In punta di piedi. Non scrivo molto perché ritengo
importante dedicare tempo alla lettura delle opere altrui nonché allo studio
dei testi poetici. Da qualche anno sono membro di giuria in concorsi letterari.
Porte chiuse ma
numeri giusti
Note critiche sulla
poesia 4 luglio 2004 (A Patrizia)
di Cinzia
Baldazzi
Il titolo della poesia, con il giorno e l’anno
del mese, accompagna nell’immediato all’interno del mondo dei numeri, situati fuori
dal contesto fisico essendo gestori di una dimensione immanente, causa del
reale: essi infatti ricordano quanto la scelta
di contare coincida in effetti con l’attività
di delimitazione o separazione di oggetti nello spazio, oltre che, ovviamente,
nel tempo. Per i seguaci della Scuola pitagorica, l’ἀριθμός (arithmòs) sarebbe addirittura il limite
conoscitivo di ciò che, duemila anni dopo, Martin Heidegger avrebbe chiamato quidditas: l’onda lunga del mistero si attiva, con Valerio Di Paolo, già
all’esordio con il titolo dell’opera 4
luglio 2004 (A Patrizia), e prosegue oltre perché solo tra parentesi
conosciamo il nome dell’almeno ipotetica protagonista dei versi.
Ma con quale precisa icona femminile
coincide la main character del brano
se in quella data, bussando alla sua porta, non l’abbiamo trovata? Poco meno di
dieci anni fa, alla mia prima lettura e commento della poesia, avevo rintracciato
un leitmotiv di natura heideggeriana.
Il padre dell’esistenzialismo, nel lottare contro il pericolo esercitato dal
dominio della ragione formale, o meglio per far sì che vuote e illusorie
apparenze non trasformassero la vita in un deserto desolato, si appellò al
“pensiero poetante”: nel comunicare messaggi ricorrendo alla ποίησις (pòiesis), Martin Heidegger
trovò qualcosa precedente il tutto - in via utopica, il nostro 4 luglio - non
essendo costretti, sosteneva, a «distinguere il modo di essere della vita o
dell’anima da quello della natura o del mondo».
In altre parole, quella fatidica mattina, bussando
alla porta - icona di apertura o chiusura adeguata a inaugurare o spezzare,
nell’incanto, l’autorevole, matura ars
poetica del brano - scopriamo che da quell’appartamento la donna era assente
da molto. Grazie alla poetica di Valerio Di Paolo, confermiamo dunque il
riconoscimento scettico del flusso naturale della morte: può accadere senza che
si sappia.
Ma cosa dico: possiamo morire senza
saperlo? Mi si stringe il cuore pensando a Patrizia con la «faccia sul
selciato», le «palpebre di piombo», neanche in
grado di guardare per l’ultima volta il cielo. Non le è stato permesso di cancellare
da se stessa la necessità di procurarsi la morte, scivolata e inghiottita, come
le è accaduto, nell’utopia di un cieco piacere mortale per cui, scriveva Sigmund
Freud, «noi lasciamo il cielo agli angeli e ai passeri». Eppure la gens humana, dopo il 4 luglio, ha
continuato a contare le ore dall’alba al tramonto, superandone, così come vuole
il fato, i limiti della solidarietà, non solo dal punto di vista
spazio-temporale. Infatti, non sappiamo quanto dopo «siamo andati tutti via / dietro
quella porta chiusa è rimasto solo il freddo / e dietro di noi, il silenzio dei nostri passi sulla neve».
Cos’è successo, come abbiamo potuto trovare
Patrizia all’indirizzo giusto, al colore esatto («nero, blocco 4, fila 12,
loculo 23»), soltanto dopo la morte? Nonostante le apparenze, il gesto,
l’evento di poterla contattare non prima della scomparsa, non coincide con una condanna
della sua esistenza, né della sua memoria. Ludwig Feuerbach, esponente della
sinistra hegeliana, nei Pensieri sulla
morte e sull’immortalità (1830) scriveva: «Soltanto se l’uomo tornerà a
comprendere che la morte non è mera apparenza, ma qualcosa di reale e di autentico
che conclude senza residui la vita dell’individuo, e acquisirà coscienza della
sua finitezza, soltanto allora egli avrà il coraggio di ricominciare una nuova
vita, sentirà il bisogno pressante di dare alla sua attività spirituale, a
rimprovero del suo passato, un contributo che sia assolutamente autentico ed
essenziale, e davvero infinito».
Esiste un input incomprensibile nel procedere dei versi di Di Paolo, a
partire dal quale, per volontà dell’autore-voce narrante, senza poter far
nulla, noi destinatari del messaggio seguiamo l’altrettanto ineffabile hic et nunc della poësis nel suo trasformarsi da delitto autoprocurato in follia degna di compassione: «Da allora
nessuno si è più chiesto perché non hai risposto».
Le vicende accadute hanno sempre una ragione
alla base, anche quando un’immensa barriera appare nelle vesti di ostacolo
terrificante. Ascoltiamo il pensiero di Martin Heidegger: «Questa parete davanti a voi e dentro di me “è”. Essa si mostra in tutti noi
immediatamente come qualcosa di presente». Quando la tossicodipendenza diviene
padrona dell’individuo, essa non dipende se non da noi (a differenza dei casi
in cui esiste un obbligo, un’imposizione violenta), perché aderiamo, pur
sempre, a una proposta di piacere, di libido,
per giunta proibita, dunque sul momento piuttosto appetibile.
Tuttavia il tossicomane, cedendo alla
tentazione nefasta, obbedisce a una parte fondamentale dell’umanità - inclusi gli
atomi, le molecole, le cellule, grazie a cui viviamo - la quale impone a un
certo punto, prima o poi, di morire.
Giacomo Leopardi, del resto, considerava il Cupo Mietitore a capo dell’intero
universo, non solo del genere umano: il cosmo si affretta verso la morte, e noi
inevitabilmente con esso. Comunque si viva, andiamo incontro a una fatale, rapida
fine.
Nonostante tale indiscussa e inamovibile τύχη
(tiùche), rattristarsi con qualcuno
di un atteggiamento di dipendenza acquisito coincide con il rimproverarlo (nel nostro
caso, “rimproverarla”) di aver sottomesso l’amore alla sopravvivenza («Qualcuno si è
anche sbucciato le nocche per bussare / ma non hai risposto nemmeno quella
volta»).,
Tuttavia, dai versi di Valerio Di Paolo si
comprende quanto l’amore del quale si era circondata Patrizia fosse un legame
privo di un’eco finalizzata a giungere a noi risoluta e pronta a rimbalzare
prepotentemente su di lei (utilizzo le parole di Theodor Adorno in Minima Moralia). O forse siamo stati noi
(meglio: gli amici di Patrizia) a non comprendere come la condivisione della
grazia amorosa coincidesse, comunque, con l’accettazione del sacrificio, nemico
della felicità attuale.
Il silenzio è piombato su tutto, con il muro
di bugie si è concretizzato un non-detto complice o ignaro. Di Paolo presenta
una donna la quale forse aveva deciso di non parlare più perché temeva, con il linguaggio personale, di limitare
spontaneamente la «struttura irrigidita della società», immaginando di «avere infuso la vita e di avere comunicato la parola
al cemento armato» (cito ancora Adorno). Patrizia non ha voluto accettare una
condizione del genere e, pur essendosi «murata dentro», cercava sempre la luce.
Ogni volta ha provato a raggiungerla “contando” le porte da varcare: purtroppo
il suo oro non brillava come le pietre pregiate, un tempo venerate al pari di preziosi
atti di magia, incanti di onnipotenza. Il tanto agognato oggetto del desiderio
non era un oggetto magico. Lei perciò è stata costretta a mentire, in quanto si
avvicinava alla morte per ottenere un appagamento strappato al dominio benevolo
della natura, cercando nella sua «neve» una
beatitudine nutrita di disinganno, disincantata e antitetica a qualunque culto,
mito o beltà edificante.
In tal senso, i versi nei quali è articolata
la vicenda sono caricati dall’autore di figure, segni o sèmi associati e resi
omogenei da un eccezionale “senso unico” referenziale - lo suggeriva Umberto
Eco in alcune strutture assai significative - vale a dire la corsa verso la
morte, il buio e freddo θάνατος (thànatos):
«Il silenzio si era accanito sulle tue membra / fasciandole di galaverna».
È quanto mai doloroso subire il già annunciato
epilogo, ma nella tragica conclusione il poeta riesce a esaltarne le ultime parole,
«lasciate tutte sul selciato» in nome di una lotta (sebbene perduta) contro
tragitti predeterminati, decretati dalla sorte cieca, precaria; e il messaggio
tecnico-semantico con cui il componimento descrive una simile condizione, coincide
con il significante stilistico lirico, sempre da Umberto Eco definibile come il
significante che si presenta esso
stesso al di sotto della forma generatrice di senso.
D’altronde Patrizia non è rimasta succube
spettatrice della fine: per quanto fosse nel fondo di un abisso, seguitava
inconsciamente a difendere la propria esistenza, anche quando sarebbe svanita; pertanto
fuggiva da ogni dove, ma intanto preparava, ordinava, metteva le cose al loro posto,
affinché in seguito noi la trovassimo, come lei stessa agli estremi ha potuto trovare
il peggio: rintracciare la sua neve. Non era al pari di lei ghiacciata,
ricoperta dalla galaverna bianca ma, nell’immagine di desolante solitudine
espressa da Valerio Di Paolo, la nostra Patrizia, seppure immobile, correva
fortissima verso l’agonia del nulla. Ritorna prepotente la forza del numero, sia
in campo associativo sia nozionale, e mentre lei, quasi in un’icona allucinata,
continua invano a contare le porte, noi lentamente siamo giunti alla mèta con
in mano le cifre esatte: (blocco) 4, (fila) 12, (loculo) 23.
Ma dimmi, Patrizia, tu eri ancora lì? Non lo
sapremo mai, perché, scriveva in epoca illuminista
il barone Montesquieu nelle Lettere
persiane (1721), «la società è fondata su un vantaggio reciproco, ma quando
mi è diventata un peso chi mi impedisce di rinunciarvi? La vita mi è stata data
come un favore; posso dunque restituirla quando non lo è più».
Che dire ? Molto intrigante pieno di spunti di riflessione. Fa l'effetto di un ipertesto con tante diramazioni che inducono ancora a cercarla ma ... i numeri parlano chiaro: 4 Luglio 2004 e ... Blocco 4 fila 12 loculo 23!. Come dire la matematica non è un'opinione. Un abbraccio Valerio Di Paolo
RispondiEliminaIntrigante e pieno di spunti di riflessione la recensione di Cinzia Baldazzi alla mia poesia A PATRIZIA. Fa l'effetto di un ipertesto con tante diramazioni che inducono ancora a cercarla ma ... i numeri parlano chiaro: 4 Luglio 2004 e ... Blocco 4 fila 12 loculo 23. Come dire la matematica non è un'opinione.
RispondiEliminaValerio Di Paolo
Grazie sempre, Cinzia Baldazzzi, per la tua illuminata attività di critica letteraria che aiuta e sostiene, portando avanti un corpus letterario ponderoso. Anche in questo caso hai centrato in pieno il famoso punto, ma , al solito, hai ampliato le prospettive, fornendo significativi spunti di riflessione.
RispondiEliminaCi sono degli scritti, come questo di Valerio Di Paolo, che riescono a coniugare in modo inscindibile il τόπος e il λόγος, superando la barriera della distanza, pur ravvicinata, del fatto e del mezzo,del signicante e del significato. Leggere, in questo caso, è come entrare nella realtà di un accaduto, vivere momenti drammatici, sentirne il rumore, i colpi forse dati a quella porta, a quel muro, insieme a un frastuono 'silenzioso', vissuto in una dimensione di dolore, e poi vivere il nulla di chi resta. La poesia presenta una straordinaria vis evocativa, parla dritta alla dimensione dell'uomo, alla sua fragilità, coinvolge fino al punto da sperare che l'epilogo possa differire, e invece no. Resta un messaggio, non di oblio, tutt'altro, un senso di pietas, di nostalgia, di amore e di faticosa speranza, per chi resta. L'andare via dell'ultima 'scena' non conclude un affetto, ma lo continua.
La morte bianca come la neve.
RispondiEliminaFreddo inverno nel cuore di chi è rimasto a piangere per sempre una vita spezzata.
Ely Rossi
Una poesia dalla forza struggente, quella di Valerio Di Paolo. Un’analisi critica minuziosa e accurata, quella di Cinzia Baldazzi.
RispondiEliminaTraspare dai versi e dall’analisi un dolore intrappolato dentro a un corpo, al pari di Patrizia dietro al suo muro.
D’istinto penso alle varie forme di disturbi mentali e fisici che portano all’isolamento e al terrore di aprire una porta e di uscire dalla propria stanza, dal proprio dramma. Impattante e significativa l’associazione a precisi numeri che indicano la morte e il luogo della sepoltura di Patrizia. Pensando al loro significato, mi viene da dire che nella morte lei abbia trovato una forma, seppur tristissima, di “liberazione”; una “svolta”. E il guidare gli altri sulla sua tomba una ricerca di affetto, di conforto e di attenzioni che non è riuscita a chiedere in vita. Perché la paura rimane.
Grazie, Valerio Di Paolo.
Grazie, Cinzia Baldazzi.
Cristina Lora
4 luglio 2004 di Valerio Di Paolo, una lirica di una bellezza indiscutibile che mette in luce con metrica e psicologia il dramma, purtroppo, attuale, della droga e delle sue nefaste conseguenze. La prima cosa che salta agli occhi, il titolo: giorno, mese, anno. Data certa, pura coincidenza o voluta dall'autore? Non lo so. Nelle note critiche, la dr.ssa Baldazzi apre con precisi riferimenti il suo proprio saggio, citando proprio i numeri. Ben sappiamo come nella cultura antica, i numeri avessero un valore simbolico atto ad esprimere tre realtà: quantità, simbolismo, messaggio. Il 4 simboleggia il cosmo, il cosmo, e già, la morte appartiene a tutti, il 7 ( luglio) la perfezione; la perfezione poetica dell'autore o quella piallatura che agli uomini tutti procura la morte? (Totò: 'A morte è na livella). Quindi nessun giudizio, a nulla serve chiedersi perché e per come, Patrizia aveva scelto. Consapevolmente o no, aveva scelto di vivere la sua vita sognando e rischiando. L'attenta cesellatura critica fatta dalla grande Cinzia ai versi di Valerio, descrive una Patrizia che pur essendo “murata dentro”, cercava sempre la luce. Mi sovviene Antonia Pozzi; anch'ella, ingoiando una letale dose di barbiturici, sapeva di essere murata, ma morire, per lei, era entrare nella luce, in quella luce che la vita le aveva negato. (A. Pozzi: “Sono la siepe che sta muta a fiorire”) Mi piace notare che la Pozzi si lascia morire nel silenzio della neve, in chiusura, la poesia di Valerio:”Il silenzio dei nostri passi sulla neve”, un silenzio che ha il suono di altri mondi. Un silenzio, quello della morte, doloroso che gela ossa e carne, un silenzio che ti fa aggrappare con unghie e denti alla vita che per quanto amara essa sia, te la fa amare disperatamente.(Ungaretti:”Non sono mai stato tanto attaccato alla vita”) Non ci è dato conoscere quale sia stato l'ultimo pensiero, l'ultimo desiderio di Patrizia, sappiamo solo che niente e nessuno potrà mai sottrarsi dal mutamento della carne in scie luminose, in quelle scie delle stelle cadenti nei cieli sereni di estati senza fine. Grazie Cinzia per questo tuo sensibile amabilissimo saggio ricco di cultura e umanità. Complimenti e grazie a V. Di Paolo per questi meravigliosi versi carichi di amore e di umanità.
RispondiEliminaAntonietta Siviero
Mi hanno sempre impressionato la tua capacità critica attenta e minuziosa in accordo assoluto con l’autorevolezza d’un pensiero libero. Solo così credo sia possibile andare oltre le parole con la sensibilità e la passione d’un ricercatore capace di trasmettere, con sapienza e semplicità, il ventaglio di sfumature che si cela dietro una lirica e il suo autore. Complimenti a Te cara Cinzia e complimenti a Valerio che ci porta delicatamente per mano a non chiudere gli occhi di fronte a una realtà, purtroppo ancora, tanto attuale.
RispondiEliminaCinzia Rota
Leggere le tue parole carissima Cinzia è sempre motivo e spunto di riflessione e di approfondimento. I temi che tu tocchi con sapiente accenno e profonda competenza spingono a cercare ‘risposte’ dentro di me e nei versi di autori bravissimi a ‘sentire ed esprimere emozioni’ come quelli del Poeta Valerio Di Paolo e, in particolare, di questa poesia, che mi ha colpito e commosso per la potenza evocativa.
RispondiEliminaGrazie ad entrambi!
A te un caro saluto con profonda stima!
Luisa Di Francesco
Una poesia bellissima struggente che lascia il segno, tratta un tema angosciante, difficile da trattare, e da descrivere, ma tu cara Cinzia riesci sempre a trovare la chiave d’entrata in ogni piccola sfaccettatura dell’animo umano.
RispondiEliminaQuando una persona decide di rinunciare alla vita è tutta l’umanità che perde, forse la domanda cosa in realtà rende la vita un dono?
Chi ha la fortuna di avere fede in DIO ha dentro di se le risposte a questa domanda.
Chi perde la consapevolezza di avere un anima si aggrappa a ciò che non ha nessun valore.
Una poesia che arriva dentro e un commento sapiente e profondo che spiega e accoglie senza essere mai per addetti ai lavori soltanto.Grazie all'autore Valerio Di Paolo e a Cinzia Baldazzi per questa analisi attenta e curatissima.
RispondiEliminaÈ una poesia interessante, imbastita su un parallelismo tra il noi "cercanti" e il tu "cercata". Ciascuno compie il suo percorso. Il "tu" fugge ma resta murata nel silenzio, quindi una finta fuga dell'anima, che altro non è che il tragitto portone di casa-loculo. Il noi compie il medesimo percorso, che si riduce però al bussare a vuoto pareti senza echi (cambiano solo le pareti). Il tema è il classico della incomprensione del "male di vivere ", declinato però in una lirica originale, profonda a dispetto delle parole semplici impiegate. Il commento della prof.ssa Baldazzi è sempre penetrante, dotto nei riferimenti, arricchente sotto il profilo culturale. Una mia postilla: illuminante la presenza costante della neve, nelle accezioni di droga o di ghiaccio fisico o di gelo nell'anima che prescinde dalla collocazione temporale (luglio).
RispondiEliminaBuongiorno, poco fa ho inviato un commento a cui ho dimenticato di aggiungere il mio nome e cognome.
RispondiEliminaChiedo cortesemente di inserirvi in calce: Flavio Provini.
Ringrazio per la cortesia, scusandomi per il disturbo.
Flavio Provini
La poesia di Valerio di Paolo si squaderna in luoghi e tempi precisi entro i quali viene circoscritta un'esistenza che risulta tragica, delineata con pochi precisi riferimenti dentro i quali però si amplificano l'angoscia, la solitudine, lo smarrimento, la morte e un senso di fredda e irrimediabile immobilità. La lettura critica di Cinzia Baldazzi supera lo stretto articolarsi dei fatti che ruotano attorno all'amara scoperta di una fine desolata e si addentra in letture più profonde del testo dando spazio a una multiforme riflessione filosofica. Spazia mirabilmente infatti in un ambito vasto che include il personaggio chiave (Patrizia), l'evento clou (la morte), i fatti pregressi (la dipendenza dalla droga), un pubblico indefinito senza volto e senza nome, spettatore di fatti che sconvolgono la vita e inchiodano all'impotenza e a una sorta di colpa non colpevole in cui la precisione dei numeri (del tempo e dello spazio) e l'ineluttabilità della morte stanno addosso con la forza del destino. A sovrastare tutto la forza pietosa dell'amore che ha in quelle nocche sbucciate l'emblema della disperazione ma anche dell'ultimo estremo tentativo di opporsi all'ineluttabile e di dare filo a un destino diverso.
RispondiEliminaSin da subito scaturiscono naturali molti perché ma poi, eccola lì Patrizia, che ruba la scena con la sua “faccia sul selciato” e le “palpebre di piombo”. Un’immagine fredda, come la “neve”, bianca e pura solitamente, ma stavolta assassina e vicina, in un drammatico gioco cromatico, al suo opposto nero. Quello del loculo 23.
RispondiEliminaE le mura in cui si era rinchiusa, sono divenute condominio. Condominio del silenzio.
Loredana Aureli
Che dire Cinzia, la tua critica è un vero excursus, che condivido e leggo con interesse verso questo componimento toccante, "inquieto" come lo definirei io stessa, e altamente romantico. Si scorge il volto umano della morte, che infingarda non spiega, porta via e lascia sporche tracce di esistenza, le ultime, che ancora sanno di pulsazioni, di vene calde. I pensatori del romanticismo postkantiano, specialmente tedesco, come Schiller, Schlegel, Novalis e altri, insistono nell'individuazione della vera poesia in chi scrive del sé e del mondo in termini sempre nuovi, pur se sostanzialmente già ribaditi. Certo è che tale componimento va riletto, è talmente pieno da stordire, capace di dilatare il tema della caduca vita in sani voli liberi d'immaginazione, laddove ci si perde in acuta sensibilità, spremendo i momenti, quelle porte, analogia con la fine, in cui il poeta sa come spaziare, dosare e trasferire emozioni. Una lirica sincera che sa conferire sussistenza alla miriade di quesiti che suscita. Ma conta l'anima, l'unico alito insaziabile da saziare, anche dopo la fine. Grazie per questa condivisione, ho apprezzato molto.
RispondiEliminaSilvia Denti@
Una analisi accurata quella di Cinzia Baldazzi, come sempre, da grande professionista quale lei è:
RispondiEliminaun piacere leggere e cogliere i tanti spunti di riflessione su temi difficili e importanti. Tra le tante tematiche affrontate, sulle quali avrò modo in seguito di riflettere,
mi è rimasto impresso quel volto sul selciato, lo sguardo rivolto al centro della terra e non sollevato verso il cielo , quasi a voler indicare trattenere e nascondere, l'angoscia devastante interiore...
Acuta, profonda e coltissima l'analisi di Cinzia Baldazzi di questa splendida poesia di Valerio Di Paolo, che dal titolo parrebbe un'elegia e che invece ci trascina prepotentemente in un dolore muto e senza possibilità di riscatto. Patrizia fin dal titolo è identificata con la sua morte, perché lì solo vive; la sua stessa figura, riversa nella neve e ricoperta di galaverna, appartiene alla natura.
RispondiEliminaLa neve ci trasporta in uno stato d'animo di sospensione e di silenzio.
Il bianco, che comprende tutti I colori, ci conduce subito in modo inequivocabile al nero, all'assenza di colore alla morte.
Simbolo dell'incomunicabilità e dell'assoluta solitudine di Patrizia è la porta, le molte porte che non è mai riuscita ad aprire se non per scoprirvi dietro il muro da lei stessa costruito; quella porta cui avevano bussato insistentemente gli amici senza trovarla, senza poter comunicare con lei. Eppure lo avevano fortemente desiderato.
Ora che la casa di Patrizia è la tomba, nessuno si chiede più come mai la donna non risponda al loro bussare.
La poesia di Valerio Di Paolo mi ha fatto ricordare, oltre che "A porte chiuse" di Sartre, la Lucy di Wordsworth, "a violet by a mossy stone", una ragazza semisconosciuta, amata da pochi, morta nell'oscurità.
Qui però nessuna concessione viene fatta al sentire romantico.Qui è tragedia pura. Qui è una donna che vive soltanto nella solitudine della sua morte.
E non c'è neppure un Wordsworth cui importi.
Isabella Sordi
Una poesia dai toni forti e dal linguaggio schietto che permette al lettore di entrare direttamente nella drammaticità del fatto.
RispondiEliminaIl termine neve usato, dell'autore, per citare quella polvere mortale ritorna metaforicamente come luogo dove lasciare i passi gelidi, nonostante fosse il 4 luglio, per il dolore dovuto alla mancata apertura della porta o per l'indifferenza nel non averla cercata prima.
Anche parlare di luna di miele col "marito" sbagliato, chi, cioè, la ha irrimediabilmente, introdotta in questa strada senza ritorno, ha un effetto struggente, leggendo i bellissimi versi.
Complimenti a Valerio Dì Paolo e complimenti a Cinzia Baldazzi per l'accurata analisi dove ogni singolo verso, finisce per svelare al lettore la cruda drammaticità che la poesia nasconde.
Dolorosa ma veritiera la riflessione a chiusura della nota critica dove si sottolinea l'inevitabile assenza di alternativa nel restituire la vita quando è diventata un peso, per gli altri, ma soprattutto per sé.
Salvatore Ferla
Grazie sempre, Cinzia Baldazzi, per la tua illuminata attività di critica letteraria che aiuta e sostiene, portando avanti un corpus letterario ponderoso. Anche in questo caso hai centrato in pieno il famoso punto, ma , al solito, hai ampliato le prospettive, fornendo significativi spunti di riflessione.
RispondiEliminaCi sono degli scritti, come questo di Valerio Di Paolo, che riescono a coniugare in modo inscindibile il τόπος e il λόγος, superando la barriera della distanza, pur ravvicinata, del fatto e del mezzo,del signicante e del significato. Leggere, in questo caso, è come entrare nella realtà di un accaduto, vivere momenti drammatici, sentirne il rumore, i colpi forse dati a quella porta, a quel muro, insieme a un frastuono 'silenzioso', vissuto in una dimensione di dolore, e poi vivere il nulla di chi resta. La poesia presenta una straordinaria vis evocativa, parla dritta alla dimensione dell'uomo, alla sua fragilità, coinvolge fino al punto da sperare che l'epilogo possa differire, e invece no. Resta un messaggio, non di oblio, tutt'altro, un senso di pietas, di nostalgia, di amore e di faticosa speranza, per chi resta. L'andare via dell'ultima 'scena' non conclude un affetto, ma lo continua.
Maria Virginia Basile
Nei versi si legge temi forti di sofferenza umana, la solitudine, il dolore, l'emarginazione, l'isolamento dal mondo . Forte è la volontà di Patrizia che ha desiderato altro per se piuttosto che schierarsi con tutto ciò che si trovava oltre i muri. Interessante la visione della neve che rende tutto bello con il suo manto immacolato, un manto che incanta ma che nasconde tutto ciò che rimane sotto ed è proprio lì che forse si trova Patrizia, sotto ogni apparenza, ogni maschera, ogni superficie visibile all'occhio.
RispondiEliminaDi chi sarà stata la delusione più forte quella di Patrizia che ha deciso di rifugiarsi oltre i muri o di chi ha bussato a lungo senza ricevere alcuna risposta? Certo è che ogni soluzione rimane dentro quel luogo mentre fuori rimangono i dubbi, l'impotenza e lo sconforto. Il potere del cambiamento rimane sempre dentro di ciascuna persona che possa essere anche quella volontà di sparire e far perdere le proprie tracce. Rimane ancora il dolore di chi è rimasto fuori dalla porta.
La poesia dove suscitare emozioni e questa decisamente ne suscita. Non si tratta, però, di emozioni di gioia o di felicità. Si tratta, invece, di emozioni forti e profonde, emozioni che provocano nausea, rabbia, tristezza e solitudine (o almeno sono quelle che sono scaturite in me).
RispondiEliminaComplimenti all'autore e complimenti alla bellissima recensione della critica Baldazzi.
Versi molto forti e reali. La perdita lascia un segno indelebile e il solco è pieno di rimpianto misto a rabbia. Poesia bellissima e disperata e impotente.
RispondiEliminaFranca Mannu
Raffinata, profonda, illuminante la lettura critica di Cinzia Baldazzi, notevole come notevole è la poesia stessa '4 luglio 2004' di Valerio Di Paolo.
RispondiEliminaDai riferimenti al significato simbolico dei numeri a partire dalla scuola pitagorica via via snodandosi nella storia del pensiero umano, risulta un quadro articolato e complesso che esalta la scarna indicazione di date, fatti e riferimenti numerici in una precisa collocazione storico temporale e di luogo. È questa l'unica 'porta aperta' trovata dalla protagonista, quasi inizio e fine di quell'unica parte di vita in cui è tragicamente riuscita a realizzare il progetto di 'sopravvivenza nella fuga dalla realtà' che aveva disperatamente cercato o in cui era inconsapevolmente caduta cercando di placare la fame di vita, non soddisfatta, che aveva.
Questa mi pare una condizione esistenziale ossimorica perfettamente intuita dal poeta: cercare la morte per avere la vita.
Così, a mio parere, accade a chi si sente numero e non persona, pur avendo una inesauribile fame, necessità, di sentirsi persona viva, fame ingannata dalla neve, che pian piano diventa sudario per chiudersi in un preciso evento e ritrovarsi in un preciso luogo, dove, anche sbucciandosi le nocche, non si potrà più avere risposta se non l'unica certezza della vita: la morte
Valeria Maria Beatrice Motolese
Poesia dai toni apparentemente tenui che invece ci rimandano ad una riflessione che ci accompagna dalla notte dei tempi: di chi è la nostra vita? Quidditas cita la nostra Cinzia.....la domanda di Patrizia è rivolta all'essere umano : posso restituire il dono della vita? Si e la risposta arriva angosciante e triste dalla sua voglia incontrollata ma cosciente di morire.E' freddo, il ghiaccio (galaverna)non ha colore,nella sua neutralità c'è apparenza che è l'unica via per approdare alla verita(Parmenide),lei angelo senza volto fugge scappa rincorsa da quella voglia di liberazione che metta fine ai suoi tormenti.Limmagine è invece di un angelo che ha un volto ma che Patrizia non vuole riconoscere. Pareti mute che urlano il loro disappunto ,non c'è più nulla a cui rivolgersi il significato inghiotte il significante.... è l'ultima fone' di un possibile nuovo inizio ANDREA BARBACANE
RispondiEliminaHo avuto amici come Patrizia.
RispondiElimina"Il rosso" era il suo soprannome chitarrista bravissimo, alla Jimmi , è sepolto vicino alla tomba dei miei genitori.
Ho avuto occasione di premiare Paolo ad un concorso che ho organizzato tempo fa. Non posso che tessere la mia lode a questa poesia. Asciutta, filante, vera.
Non sono un critico come Cinzia, ma le sue recensioni ti trasportano in un altro mondo, facendoti pensare ed imparare. Un saluto ad entrambi. Una accoppiata veramente di alto livello.
Gianluca Regondi
Il valore delle parole che ripercorrono il filo del tempo arrivano inesorabilmente a toccare le vive corde dell' anima quando sono intrise di significato. Grazie per questa condivisione che suscita profonde riflessioni sull' esistenza. F. Scebba
RispondiEliminaUn argomento a dir poco spinoso, trattato con la delicatezza che merita, dove emerge l'indifferenza, la solitudine , la disperazione e la ribellione. Ho sempre pensato che certe dipendenze costituiscano una sorta di automedicamento, per essere in grado di andare avanti e di condurre un'esistenza che non lo appaga più; istinto di sopravvivenza o ricerca inconscia della morte? La poesia rende bene molte dinamiche di questa penosa situazione e la critica di Cinzia Baldazzi non solo ne fa un'analisi puntuale ed esaustiva, ma allarga il nostro orizzonte offrendoci una pluralità di punti di vista e chiavi di lettura. Il resto lo fa la nostra sensibilità e gusto. Complimenti a entrambi.
RispondiEliminaCinzia Perrone
Il testo poetico evoca un dolore latente, mai sopito. La malinconia trasuda da ogni parola, il rimpianto, forse, di essere arrivati troppo tardi. Si avverte l' irrevocabilità di una decisione presa e di un destino già segnato contro il quale è difficile combattere. Poesia molto bella, e profondamente lirica. Complimenti a Cinzia, che, come sempre, opera una critica costruttiva e accattivante.
RispondiElimina
RispondiEliminaLa morte per cause legate alla tossicodipendenza ci porta a considerare qanto sia attuale tale questione nella vita di tutti i giorni. Nel corso dell’anno 2022 i decessi per intossicazione acuta da sostanze stupefacenti, rilevati dalle Forze di Polizia o segnalati dalle Prefetture, sono stati 298. Dalla lettura della Relazione al Parlamento emerge che si è osservato un aumento dei decessi femminili che passa dal 10% del 2021 al 15% del 2022. I decessi per overdose complessivamente rilevati sono stati 26.749, dietro i quali vi sono spesso giovani.
La perdita improvvisa di un giovane, poi, essendo inaspettata, coglie impreparati e sconvolge l’intero progetto esistenziale di una comunità o di una famiglia. Spesso, infatti, quando muore un giovane è compromessa anche la vita dei genitori, che il più delle volte non si sentono capaci di riprogrammare la propria esistenza. Questo perché non solo i figli ricevono dai genitori, ma anche i genitori ricevono dai figli. Un bambino restituisce agli adulti l’amore intenso che riceve, conferisce senso alla vita e scandisce con la sua crescita il tempo che passa. Un figlio colora con la sua affettività la vita dei famigliari. L’exitus di un giovane è un evento contro natura … se non si è preparati si resta incapaci di gestire il dolore e il proprio equilibrio psichico.
Umberto Galimberti, psicoanalista e filosofo, scrive: “Una volta i padri vedevano spesso morire per malattie, pestilenze, guerre, e ciò rendeva la sofferenza e la morte una esperienza abituale e consentiva a tutti di sviluppare impianti emotivi idonei al trattamento del dolore che comunque era condiviso e collettivo. Oggi abbiamo isolato il dolore in quei luoghi chiusi che sono gli ospedali, le carceri, le case di riposo. Abbiamo rimosso anche i rituali, le cerimonie, i simboli e la religiosità, che attraverso le metafore potenti della spiritualità consentivano l’elaborazione ed il superamento del lutto. Oggi l’uomo è solo, (incapace di condividere) e privo di quell’attrezzatura emotiva in grado di impedire l’emersione dell’angoscia di morte”.
Dal punto di vista letterario, l’esperienza della droga ha rappresentato certamente il leitmotiv della vita di molti autori. È il caso di Ernst Jünger, di Henry Michaux, di Aldous Huxley e di Antoin Artaud. È sbrigativo parlare a riguardo di “personalità autodistruttive”: la distruzione, in un uomo - tanto più se creatore, artista - non è a volte che l’effetto di un’incontrollabile tendenza verso l’esistenza. Modello paradigmatico è qui Antonin Artaud. Scrive Artaud in una lettera dal manicomio di Rodez: “Coloro che prendono droghe hanno in loro una mancanza genitale e predestinata. Oppure, poeti del loro io in vita, hanno sentito prima degli altri quel che da sempre manca alla vita”. La droga è stata per loro non una scelta ma un destino, l’approdo quasi obbligato di una sensibilità tale da impedire una qualsiasi organizzazione dell’io. Priva di limiti e difese, l’area di conflitto che è il terreno vitale dell’io si è trasformata in abisso.
E, tornando al presente, mi sento di rilevare che - nonostante le diverse campagne pubblicitarie contro la droga - la gente non è ancora abbastanza informata al riguardo. Dunque, è necessario diventare più responsabili di fronte al dramma della droga, non soltanto a parole, ma con i fatti.
Non posso che concludere con le mie congratulazioni all'autore per le note evocative e, allo stesso tempo, struggenti della sua poesia e alla "mitica" Cinzia per il commento critico, in grado di elevare il lettore al massimo grado di conoscenza, sia sotto il profilo letterario, che di comprensione del testo.
Grazie
Complimenti a Cinzia Baldazzi per la sua attività di critica letteraria, operante in un ambito multidisciplinare, dalla letteratura all'arte, fino alla poesia. Il componimento poetico è veramente molto intenso ed al contempo doloroso. Cinzia Baldazzi, mediante la sua critica, riesce a fare immergere pienamente il lettore in un universo fatto di versi e tematiche che hanno una grande rilevanza, legate in questo caso alla crudezza dell'esistenza, alla caducità e provvisorietà della vita. Ciò che si evince dalla poesia è il "male di vivere" di montaliana memoria ed i versi sembrano scritti e scolpiti con e nella pietra. La critica letteraria Baldazzi, attraverso la sua analisi accurata e acutissima, entra nei meandri più profondi del componimento poetico, compiendo uno studio analitico che permette di andare oltre l'opera in sé per sé e di poter spaziare ed intravedere i punti chiave e maggiormente significativi della poesia e contestualmente insiti nella poetica dell'autore.
RispondiEliminaFrancesco Spilabotte
I versi di Di Paolo sono soavi e impietosi allo stesso tempo, proprio come la vita e la morte che si porta dietro - imprescindibile, terrifico, liberatorio orpello. Sembra di potersene, in qualche modo, appropriare, perché tutti abbiamo sperimentato la morte di qualcuno a noi caro e tutti possiamo immedesimarci nello sconcerto del vuoto e del silenzio che restano nel 4 luglio 2004 di ogni giorno, di ogni esistenza. Il senso di angoscia, il dolore dell'ormai troppo tardi trasudano dai versi e ci costringono a immedesimarci, a soffrire con l'autore, per una Patrizia che non conosciamo ma che, dopo la lettura, diventa anche un po' la nostra, ché il dolore è più universale perfino della felicità. L'analisi di Cinzia Baldazzi irrobustisce il valore del componimento poetico, collocandolo sul binario lungo e complesso del precedente storico-letterario, delle analogie e delle unicità che emergono per contrasto in confronti arguti e sottili, ma sempre profondi e condivisibili, suscitando una sincera ammirazione.
RispondiEliminaElisabetta Ferraresi
Complimenti all'autore Valerio Di Paolo.
RispondiEliminaRendere il dolore in verso è compito arduo. Rendere partecipe il lettore, in modo magistrale, dei conflitti e dei silenzi ermetici che possono alleggerire la sofferenza attraverso la morte, è da grande autore quando egli scrive al di sopra del dolore stesso. Applausi all'autore!
Complimenti a Cinzia Baldazzi, per la sua autorevolezza critica che ci mostra, sempre attraverso varie angolazioni, le relazioni, i nessi, i significati, le vere essenze che sussistono nella profondità dei versi che, nel complesso, si rivelano chiari attraverso i suoi testi. Inoltre, complimenti per la sua straordinaria sensibilità ed empatia nell"entrare in contatto, sapientemente e attraverso tante sfumature, con il pensiero degli autori.
José Carlos Morgana
La lettura di questa bellissima e struggente poesia, “4 luglio 2004 (a Patrizia)” e del commento critico che ne fa Cinzia, insuperabile nella sua capacità di cogliere in ogni parola un riferimento ora letterario, ora filosofico ora matematico (addirittura) e di collegare questi riferimenti ad altri ancora, come se aprisse nella sua mente pagine di un libro e le sfogliasse, trovando in ognuna di quelle il collegamento giusto, ci aiuta a entrare completamente nella poetica di Valerio Di Paolo.
RispondiEliminaPatrizia diventa così una ragazza che anche noi abbiamo conosciuto, che anche noi abbiamo cercato bussando alla sua porta non trovandola, che forse non siamo riusciti ad aiutare a superare il suo male di vivere. Anche lei, rinchiusa nel suo muro di solitudine, ha pensato che “non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”, come diceva Pavese, e lo ha fatto aiutandosi giorno dopo giorno con la “sua” neve. “Ai nostri tempi il suicidio è un modo di sparire, viene commesso timidamente, silenziosamente, schiacciatamente. Non è più un agire, è un patire” (continuava Pavese) e come non pensare a un suicidio silenzioso e schiacciato “con la faccia sul selciato” e “le palpebre di piombo”? Patrizia, che si fa trovare soltanto all’indirizzo giusto, nero, blocco 4, fila 12, loculo 23 e che lascia dentro di noi tanto silenzio e tanto freddo, come gelida è la galaverna che fasciava le sue membra.
Grazie a Cinzia, che ci ha accompagnati come sempre in modo colto ed erudito nella lettura di questa poesia e grazie a Valerio Di Paolo per questa sua lirica così triste e commovente, che tratta del tema tragico della droga, purtroppo sempre più presente nella nostra società.
Daniela Vigliano
La poesia di Valerio Di Paolo è struggente, diretta e talmente vera da trasportarci nei dettagli della tragicità di un evento come se fossimo presenti nei luoghi raccontati, con la vista e con l'ascolto e con una stretta al cuore. La bravissima Cinzia Baldazzi ha compiuto un'analisi illuminante, che porta a riflessioni e approfondimenti. Grazie a entrambi per il prezioso apporto al mondo della poesia.
RispondiEliminaLa lettura di questa bellissima e struggente poesia, “4 luglio 2004 (a Patrizia)” e del commento critico che ne fa Cinzia, insuperabile nella sua capacità di cogliere in ogni parola un riferimento ora letterario, ora filosofico ora matematico (addirittura) e di collegare questi riferimenti ad altri ancora,
RispondiEliminacome se aprissero nella sua mente pagine di un libro e le sfogliasse, trovando in ognuna di quelle il collegamento giusto, ci aiuta a entrare completamente nella poetica di Valerio Di Paolo.
Patrizia diventa così una ragazza che anche noi abbiamo conosciuto, che anche noi abbiamo cercato bussando alla sua porta non trovandola, che forse non siamo riusciti ad aiutare a superare il suo male di vivere. Anche lei, rinchiusa nel suo muro di solitudine, ha pensato che “non manca mai a nessuno una buona ragione per uccidersi”, come diceva Pavese, e lo ha fatto aiutandosi giorno dopo giorno con la “sua” neve. “Ai nostri tempi il suicidio è un modo di sparire,
viene commesso timidamente, silenziosamente, schiacciatamente. Non è più un agire, è un patire”, continuava Pavese, e come non pensare a un suicidio silenzioso e schiacciato “con la faccia sul selciato” e “le palpebre di piombo”? Patrizia, che si fa trovare soltanto all’indirizzo giusto, nero, blocco 4, fila 12, loculo 23, e che lascia dentro di noi tanto silenzio e tanto freddo,
come gelida è la galaverna che fasciava le sue membra.
Grazie a Cinzia, che ci ha accompagnati come sempre in modo colto ed erudito nella lettura di questa poesia e grazie a Valerio Di Paolo per questa sua lirica così triste e commovente, che tratta del tema tragico della droga, purtroppo sempre più presente nella nostra società.
Daniela Vigliano
Una poesia intensa, struggente, che tocca le corde del cuore e fa riflettere sulla caducità dell'esistenza e sulle molteplici sfaccettature della psiche umana. Molto bravo il poeta Valerio Di Paolo e anche coraggioso ad estrinsecare un capitolo così doloroso della sua esistenza. Il commento critico di Cinzia Baldazzi è come sempre sapiente ed istruttivo, direi, perchè riesce a delineare in maniera sapiente e anche analitica - e non è facile - una situazione molto dolorosa, di grande impatto emotivo, evidenziando tutti gli aspetti emotivi e di forte impatto, e sicuramente tutto questo non era facile. Molto brava Cinzia Baldazzi.
RispondiEliminaRita D'Andrea
Una poesia concreta, solida, oggettiva. Lo sguardo apparentemente distaccato è invece carico di emozione e non detto. Uno squarcio, un graffio su una tragedia individuale e generazionale. Preziosa la critica di Cinzia fino alla citazione finale di Montesquieu, le cui parole non conoscevo e sposo in pieno.
RispondiEliminaStefano Soli
Grazie Cinzia di averci proposto questa poesia così intensa e particolarmente significativa alla luce degli avvenimenti di cronaca, in cui la solitudine delle donne in difficoltà è notizia quotidiana. Le scelte stilistiche e semantiche di Valerio di Paolo rendono i versi drammatici e diretti senza nessuna concessione alla retorica. La fredda realtà dei numeri che traghettano la situazione da una vita anonima e squallida a una morte senza memoria e senza pianti è, come tu sottolinei in apertura, particolarmente densa di suggestioni. Anche la scelta di parole di un lirismo delicato come "galaverna", ad esempio, porta con sé la cruda realtà dell'algida indifferenza del mondo ai drammi dei singoli. La tua critica ha comunque analizzato in tutti i possibili risvolti questa splendida poesia, con la sensibilità e la competenza che ti distinguono. Grazie ancora. Luisa Puttini
RispondiEliminaLa scelta del poeta Valerio Di Paolo di includere il giorno, il mese e l'anno crea un'ancora temporale, richiamando l'attenzione a un momento specifico, come se fosse un'istantanea di vita. La scoperta si presenta come un elemento topico, ma in realtà, è solo la punta dell'iceberg, portando con sé un dolore profondo e un abisso di segreti nascosti dietro il silenzio del muro. La sensibilità di Cinzia emerge nel rivelare strati di significato, tessendo insieme emozioni complesse e verità sotterranee, lasciandoci immersi in una melodia malinconica e nella persistente domanda senza risposta.
RispondiEliminaUna poesia drammatica, nella sua cadenza, nei suoi sospiri. L'interrogativo "possiamo morire senza saperlo?" mi angustia e ogni giorno è bene vigilare affinchè nulla accada a nostra insaputa, senza nemmeno la coscienza della tragedia che incombe. Grazie all'autore e alla voce critica per il momento catartico. Un abbraccio. Fabrizio Trainito
RispondiEliminaGrazie Cinzia Baldazzi, con la tua critica illuminata e colta alla poesia "Patrizia" di Valerio di Paolo, ci hai regalato chiavi di lettura smerigliate passando da Heidegger a Eco esprimendo ipotesi diverse di visione della morte, voluta, abbandonata, da uso di sostanze. La soluzione della solitudine in quanto consapevolezza dell'abbandono riconosciuto al ritrovamento della posizione del loculo in una precisa posizione. La tua recensione fa riflettere sul senso della morte ma anche della vita.
RispondiEliminaRicordo quando più di cinquanta anni fa ascoltai per la prima volta l’LP di Fabrizio De André “Non all’amore non al denaro né al cielo” . Ascoltare quelle canzoni fu come aprire una porta sul vasto mondo della poesia anche perché subito dopo mi buttai a capofitto nella lettura dell’antologia di Spon River. Fu amore a prima vista e come si sa “il primo amore non si scorda mai! Il bagaglio di emozioni che ne derivò (grazie anche ad altre letture ovviamente) fu il punto di partenza di quello che oggi costituisce il nucleo del mio modo di intendere la poesia e di scriverla. Naturalmente, le emozioni, belle e meno belle suscitate dall’ascolto delle canzoni e dalle letture, nascono anche dalle esperienze personali; sono la vita e le “strade” percorse a dettarti, di volta in volta cosa scrivere e purtroppo mi sono trovato troppe volte a comporre testi poetici che erano “incisioni “scolpite” sulle lapidi di amori, di amicizie e di familiari. Quello dedicato a Patrizia ci racconta di una donna bella, intelligente e brillante persa, come tanti, nell’inseguimento di un “amore” scapestrato (l’eroina) che le ha costruito tutt’intorno muri che non poteva abbattere. La composizione ne è derivata è prosastica, spigolosa come una lapide, ma tragicamente e assolutamente vera. Così come è vera l’urgenza di bussare alla sua porta chiusa, al suo muro, per ritrovare una Patrizia da ascoltare, una Patrizia perduta, una “pietas” che ci faccia leggere di noi oltre ogni lapide, che dia il senso del vivere oltre ogni facile metafisica con cui nasconderci al mondo: abbiamo una sola vita e nessuno ci chiederà il bis di un paradiso, di un inferno o di un purgatorio di rimpianti. Quindi peccate, cercate il paradiso nel peccato cercate il peccato in paradiso perché gli ignavi e i penitenti non li sopporto …
RispondiEliminaUn ringraziamento va a Cinzia che con una goccia di inchiostro riesce sempre a dar vita a occhi stranieri che moltiplicano i punti di vista e così facendo arricchiscono la visione binoculare di chi le poesie, le scrive.
Ringrazio la rivista “Alla volta di Leucade “che ha ospitato i miei versi e le illuminanti parole di Cinzia. Un pensiero va a Nicola Maggiara: ovunque tu sia, deliziosa e coltissima persona con cui trascorsi le poche ore di una cerimonia di premiazione del concorso Mimesis del 21 Agosto 2021. Un’altra data da inserire nel mio personalissimo Panteon di vite vissute …
Volevo solo aggiungere che l'ultimo commento dell 13,19 del 23 novembre è mio.
RispondiEliminaDi Paolo Valerio
La poesia è bellissima: una spina nel fianco del lettore. Poesia sociale, oserei. Offre uno spaccato contemporaneo ch'é piaga e porta dietro un dolore fisso, irrisolvibile e lancinante. La riflessione critica, esaustiva e toccante, la paragono a quello che rappresenta la luminaria in una festa patronale. E' tutto, è un vestito di cui non si può farne a meno perché completa (culturalmente, pienamente, professionalmente) il componimento poetico nella sua totalità. Complimenti a entrambi! Stefano Giuseppe Scarcella
RispondiEliminaUn sincero ringraziamento a Cinzia Baldazzi per l'attenzione in questa illuminante critica piena di spunti di riflessione sulla poesia di Valerio di Paolo. Complimenti.
RispondiEliminaMichelangelo Giuffrida