L’amore è un bisogno? è illusione, corpo,
realtà o sogno?
Desiderio e consapevolezza dell’amore
che si perde, sembrano viaggiare all’unisono cercando il punto
di congiunzione tra l’inizio e la fine. Eros e Thanatos lavorano in continua
reciproca tensione riuscendo a tenere in equilibrio il piacere amoroso e la
malinconia vera o presunta della perdita: “Quando la luce del nostro sole
volgerà al tramonto…”; “basterà la speranza di un solo tuo sorriso, ed io ci
sarò.” (Io ci sarò pag. 15).
Credo che la poesia di Stefano
Massetani, adottando un linguaggio espressivo efficace, riesca a far obliare alcune
delle stranezze compositive attuali, spesso senza alcun costrutto o evocazione.
Al di là della retorica su quanto e come debba “arrivare” una poesia, a quali
materne radici debba allattarsi il verso, questa poesia supera, con la sua semplicità,
attraverso regole semantiche e sintattiche e con l’eleganza del sentimento,
ogni plausibile divergenza strutturale. Il suo è un linguaggio che coniuga
realtà e simbolo con preziose analogie: “È stato come pioggia fredda che ti
sorprende senza scampo in mezzo alla campagna.” (L’abbandono pag. 18). Il suo stile di scrittura combina il
linguaggio poetico, che è fatto di musicalità e immagini, alla narrazione riuscendo
a coinvolgere emotivamente il lettore. S. Massetani usa la lingua colloquiale
quotidiana ricca di metafore e di correlativi oggettivi, così come ci insegna T.
S. Eliot, per parlarci d’amore. C’è bisogno di poesie d’amore. Di un amore che
rispetti le scelte dell’altro, che si slarghi oltre i confini dell’ego in
un’osservazione che si fa ascolto dei particolari. Questa sinestesia è evidente
nella poesia “Controluce” in cui la luce
del sole è il correlativo oggettivo della conoscenza. Ma la conoscenza è
frugale e limitata; così come la notte segue il giorno essa lascia l’esperienza
interna del Nostro e poi ritorna per altri luoghi, per anafore ed epifore: “quella
luce che mi illuminava il passo,/ ma che ormai si allontana,/ lasciandomi in
penombra, con gli occhi gonfi, /sconfitto come un pugile al tappeto e solo,/
infinitamente solo,/ come soltanto io so di essere.” (Giorno dopo giorno pag. 35). E ancora: “Quando ho capito che anche
l’amore può morire,/ ho visto il sole spegnersi all’improvviso,/ ed ogni
riverbero di luce sparire…” (Anche
l’amore può morire pag. 45). Nella sua poetica il tema dello sguardo è onnipresente
a significare la solitudine interiore; l’io lirico riflette e narra l’essenza percepita
del mondo: “La luce dell’alba che sorge alle mie spalle,/ riduce, inesorabile,/
tutte le ombre del mondo che appare davanti agli occhi.” (Impronte sulla sabbia pag. 38).
La poiesis procede per immagini che sono
parole e prendono vita da una memoria primigenia interagente con esse, anche in
contraddizione. È così che si creano le figure fondanti la composizione poetica:
“Si mescolano e cozzano tra loro, nel vano tentativo di uscir fuori,/col
crepito sordo che fanno i sassi agitati in un barattolo.” ( Le parole non dette pag.27).
Il climax delle poesie che
vanno a chiudere questa raccolta sorprende nelle chiuse. Ad un incipit crudo in
cui la consapevolezza della perdita,
esperienza universale, conchiude il senso del vuoto e del lutto amoroso,
subentrano tentativi di rinascita e la speranza di andare avanti nonostante il
dolore personificato dalla polvere [lenta
ed inesorabile…] che si posa, nei versi di Voglio innamorarmi ancora.
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