sabato 20 gennaio 2024

Giusy Frisina :"Tra immagine e parola : un inesauribile universo di senso "

 

 

Sul rapporto immagine e parola poetica sono stati scritti fiumi di inchiostro, ma sempre qualcosa si può aggiungere attingendo al pensiero filosofico e iniziando con qualche definizione.

L’immagine è da intendere in due sensi:

-          Come forma esteriore di un oggetto (come ci appare)

-          Come creazione della mente verosimigliante o meno al reale

La parola è la traduzione orale o scritta di ciò che l’immagine ci trasmette. L’ immagine evoca la parola. Si potrebbe mai parlare senza immagini e senza una mente che le comprenda?

Io partirei dalla filosofia platonica, di cui tutto il pensiero occidentale, come diceva Giovanni Reale, non è che una serie di note. E forse persino quello orientale, anche se precedente. Qui comunque esporrò la mia nota.

Platone nella celebre allegoria della caverna affronta subito il problema dell’immagine.

Le immagini sono relegate sul fondo dell’antro, sono ombre di oggetti proiettati sulla parete illuminata dalla luce fioca di un fuoco acceso all’ingresso. Soltanto ombre di oggetti non ben identificati che il prigioniero, liberatosi dalle catene, potrà scoprire. Ma intanto sono ombre, proiezioni su uno schermo.

Ho sempre detto ai miei studenti che Platone ha qui previsto l’invenzione della televisione e delle informazioni più o meno distorte dai mezzi di comunicazione di massa.

Da queste ombre scaturisce la nostra immaginazione o “congettura”, una sorta di un tirare a indovinare che diventa un quiz a premi… Potrebbe sembrare che Platone abbia addirittura anticipato il gioco televisivo organizzato per tenere buoni i prigionieri dello schermo. Su un mondo che non sappiamo bene cosa sia e che qualcuno forse manipola… Eppure, la congettura è il primo segnale della messa in moto della mente umana, sia pure in una condizione di cattività. Ma al piano alto, usciti dalla caverna, troviamo altre immagini, più raffinate, e sono immagini di oggetti riflessi nell’acqua, ovvero la scienza delle idee con cui conosciamo il mondo, la chiave di conoscenza delle idee matematiche che stanno alla base della realtà  La struttura logica del mondo, la geometria perfetta dell’universo, la mentalità scientifica che sarà di Galileo (con le sue necessarie dimostrazioni e le sensate esperienze di quadrati, rettangoli, ecc…che estrapoliamo dalle qualità oggettive delle cose.), per volgere poi la testa verso il cielo stellato e scorgere infine il Bello, il Bene…

La coscienza morale dentro di me, il cielo stellato al di sopra di me, avrebbe detto Kant, molti secoli dopo.

Tutta qui l’immaginazione? Platone aveva qualche riserva su alcune forme d’arte, come la pittura, al suo tempo poco evoluta e vista come mera imitazione, copia delle copie, ovvero delle cose, che a loro volta erano imitazione delle idee. E tuttavia, proprio Platone era affascinato dalla poesia visionaria e vedeva nella follia poetica un tramite per entrare in contatto con la Bellezza eterna.

Nella poesia l’immaginazione diventa dunque una via di contatto con il divino, e questo non avviene attraverso il linguaggio logico, ma analogico.

E qui entriamo dalla porta stretta dell’immaginazione come produzione di metafore. Perché dico porta stretta? Perché è il passaggio più difficile e delicato della ricerca della verità. Una verità mai definitiva come deve essere nella scienza, ma nell’arte quello che si cerca è più sfuggente, più ambiguo, è la verità interiore. Per questo la parola perde il legame stretto con la logica facendosi analogica e l’immagine diviene polisenso, può assumere più significati a seconda di come viene letta e interpretata.

Kant vedeva nell’immaginazione produttiva una facoltà dell’intelletto che presiede alla formazione dei concetti, ovvero delle categorie con cui interpretiamo il mondo, come ad esempio la causalità, ma parlava anche di una immaginazione riproduttiva come capacità umana di “vedere” la bellezza e di tradurla creativamente nell’arte.

A differenza del pensiero discorsivo, che si traduce nel linguaggio descrittivo della scienza, il legame tra poesia e immagine è immediato e ha carattere intuitivo. Inoltre, l’arte utilizza concetti indeterminati e interpreta le immagini non in modo univoco.   La metafora e, ancor di più, il simbolo (il cui significato greco è proprio quello di “mettere insieme” due parti distinte) sono i luoghi poetici in cui l’immagine non può essere assolutizzata e proprio in tale libertà abita il suo senso più profondo.

Ma dal momento che la parola poetica, molto più che quella discorsiva, attraverso metafore e simbolismi entra in una comunicazione più profonda con l’immagine, per comprendere la sua chiave di lettura polivoca, si può fare uso di più” sguardi”, ossia punti di vista diversi nel rapporto tra parola e immagine, come  ben ha sottolineato lo storico tedesco Heinrich Wölfflin, nei Concetti fondamentali della storia dell’arte. Egli distingue infatti fra ‘sguardo evento’, ‘sguardo avvento’, ‘sguardo esperimento’ e ‘sguardo accecamento’.

Per ‘sguardo evento’ si intende un atto che non imita la realtà ma la rende più ampia, ed è uno sguardo che concepisce il mondo come una “cosmopoiesi infinita” e che si esprime nell’estasi o abbandono alla visione e nella partecipazione dell’artista alla creazione in una visione rinascimentale di tipo panteistico dove ogni cosa è parte del tutto e dove parola e immagine sono in piena armonia.

Lo ‘sguardo avvento’ ha invece il carattere della ricerca di un senso ultramondano e ultrasensibile, partendo da una dimensione fisica intensamente indagata e trascesa. Un esempio di questo sguardo si trova nella poesia di Mario Luzi, che nel Viaggio terreste e celeste evoca il pittore senese Simone Martini, la cui opera diventa Epifania e varco verso una verità divina, e la parola poetica un viaggio verso la luce che ci avvolge e che si rivela grazie alla capacità dell’arte di sublimare la storia umana.

Ma è sguardo avvento anche la laica visione di Giovanni Testori dove la scrittura valorizza l’umano nella sua miseria e bellezza, come nei quadri di Caravaggio, ma probabilmente anche in quei pittori dove gli stessi oggetti sono astratti dall’oggetto che rappresentano e assumono un carattere eterno (come la pipa che non è una pipa di Magritte).

Lo ‘sguardo esperimento’, di cui fa uso l’arte contemporanea, ha invece un carattere dissacrante, e può  diventare smascheramento dell’immagine stessa, entrando in rapporto con una realtà inedita, mentre lo ‘sguardo accecamento’  è  ancora più rivoluzionario  e si pone come reazione alla sovrabbondanza delle immagini, annullando ogni visione e portando nel linguaggio poetico il corpo stesso dell’autore che si auto-percepisce nella sua quotidianità o si  identifica con gli oggetti stessi, in una sorta di straniamento nichilista e salvifico al tempo stesso.

Quest’ultimo sguardo dimostra paradossalmente che la morte dell’arte profetizzata da Hegel non si realizzerà mai, fino a quando la parola e l’immagine, anche rinnegandosi o mettendosi reciprocamente in discussione, potranno confrontarsi, rimanendo le fondamentali forme di comunicazione dell’umano cammino.

 

Nessun commento:

Posta un commento