Il
titolo dell’ultima Silloge dell’amico antico Luca Giordano è già promessa di scelta
diversa, di salto nelle verità dell’esistenza. I blocchetti di leucitite
utilizzati per realizzare il lastricato stradale del centro storico di Roma e
di Piazza San Pietro ci introducono in un viaggio lirico di quattro sezioni:
Sampietrini, Vivere, Nomi, Mare. Il libro è nudo. Bianca e semplice la
copertina, nessuna prefazione, solo una breve post - fazione. Si evince la volontà
del Poeta di dare voce soltanto ai versi e alla loro potenza. Luca, nella prima
parte, presenta Roma, la città dei fasti e della gloria, da un nuovo punto di
vista. La introduce, con la discrezione che lo caratterizza, come paese abitato
da un milione di persone, come metropoli di giardini, quartieri e periferie e
come città di persone comuni, di diseredati, di ultimi, senza arrogarsi mai il
diritto di sentenziare, anzi riuscendo a vestire di poesia le immagini che
passano inosservate o possono sembrare tristi. “Nella città la pioggia
mattutina / ha colorato alcuni ciuffi secchi./ C’è un’aria mossa, come
cristallina, / le pozzanghere sono degli specchi. / In due seduti su d’una
panchina / si son scordati lì d’essere vecchi” - la lirica “Largo Ravizza”-. Il distico finale di questo componimento di
una purezza incandescente è rappresentativo del mondo di Luca. Due estranei
seduti vicini dimenticano lo scorrere del tempo nella melodia di un giorno
nuovo, dell’aria trasparente dopo la pioggia. E la Silloge nuda è già vestita. Un ritratto comune, anonimo,
che passa inosservato a tutti, viene sublimato dalla sensibilità del Poeta, e
commuove. Luoghi che rendono la capitale ‘principessa’ sembrano trasformarla di
colpo in cagna che si lecca le ferite. In realtà è solo il punto di vista che
cambia. Diviene quello del romano, che guarda dal basso la città che ama.
Struggenti i versi della lirica “Lungotevere degli inventori”, caratterizzati
dall’arte della sottrazione, come moltissime poesie del testo. “Tremano le
foglie al tocco del vento. / Un lampione è nuca che s’allontana. / C’è una
tristezza che toglie il respiro, / i passi che hanno un ritmo conosciuto./ Alzo
la testa: è arrivata la notte”. Le rare metafore sono incisive come lame e le chiuse
hanno il sapore delle piccole grandi rivelazioni. Leggendo si ha sempre più
l’impressione che il Nostro conosca i segreti dell’essere Poeta: sollevare i
quotidiani veli di Maya evitando di calarsi nel mistero e nel confine . In
“Portico D’Ottavia” la storia personale di Luca si affaccia timida e non gonfia
d’orgoglio come potrebbe. “La patina antica delle rovine /graffiate dalle
unghie dei deportati. / Io, muto come le colonne scure, / mi ricordo i racconti
di cinque ebrei / nascosti a casa nostra e poi salvati.” I versi di una lirica
di dieci versi, scandiscono a suon di ottonari il mondo sommerso di Roma: “…e
continuo sulla strada. / Vedo un vecchio tutto rughe, le sue mani tartarughe,
il Bastone fa da spada./ Poi il Foro, un po’ di cielo, / i barboni son vissuti,
/ i turisti un po’ sperduti, / i lampioni con lo stelo. / E nel flusso dei
pedoni / tutti sembrano più buoni”. - la lirica “Via IV Novembre” - . Sento di
dover riportare per intero alcune poesie, non solo in virtù della loro brevità,
ma dell’importanza che l’Autore attribuisce a ogni parola. Nella sezione Vivere
il viaggio di Luca si focalizza sulle persone. Straordinaria la lirica che apre
la sezione “Passa dal corpo il cielo”: “Passa dal corpo il cielo / trova spazio
e colore / la rete dei tessuti. / Non è solo terreno /la trama, questo
intreccio / che pure mi attraversa”. Il pensiero va a Salvador Dalì, di fronte
a questo dipinto. Egli asseriva che “Il cielo non si trova né sopra né sotto,
né a destra né a sinistra, è esattamente nel centro del petto dell’uomo che ha
fede”. Luca è uomo che scrive dal basso, ma è teso alla verticalità. Lo
dimostrano i versi sugli amici, ‘i suoi amici prediletti’, con i quali
trascorre le ore libere, ovvero i disabili, coloro che sanno rendere le
debolezze punti di forza. “Stessi sempre con voi, / amici, quando lui / ci
ridarà il corpo, / che anche il suo amore / passa dalla bocca, / dagli occhi,
le mani. / Percorre l’udito, / passa dalla pelle”. - la lirica “Stessi sempre
con voi” -. Il Poeta, teso ad arco verso tutti gl aspetti dell’esistenza, è
ovvio che scorga negli alberi, miracoli del creato, capacità d’espressione, che
legga la loro anima. “Canta presto il pesco, / lancia un grido rosa / verso il
cielo, brucia / subito il colore” - la lirica “Grido rosa” -. Luca sembra
desiderare che la natura entri negli esseri umani come i raggi del sole filtrano
le fronde degli alberi. I suoi versi parlano sempre più di pietas, di quel sentimento che etimologicamente indica amore,
compassione e rispetto: “Non si nasconde tra la folla un corpo / che
randagio per le strade è tradito / dalle tracce della solitudine. / Si ruppe
come un oggetto fragile. / Poteva essere amica, uomo, / bambino da crescere,
figlia amata” - estratti da “Vagabondi” - . Nella terza parte della Raccolta
dedicata ai Nomi il Poeta offre ritratti di persone conosciute e di elementi
poetici della natura, come “Daniela”, l’uccello dalle “lunghe zampe e becco
grande”, che “salta nel cielo”. Quel cielo che passa attraverso i nostri corpi,
è penetrato dalle grida del pesco, dai voli notturni di infinite ali … diviene
nostra sostanza e terra di infinita scoperta per gli elementi della natura. Bellissima
la figura di “Maria” “Vivere diventa
quasi morire, / come se non ci fosse altro da fare. / Ieri però è tornato quel
ragazzo / venuto come acqua quando hai sete. / E finalmente ti sei presa il
caffè. / La morte si è staccata dalla pelle”. La chiusa è in levare, ma
racconta ancora la storia di una straziante solitudine interrotta da un gesto
di solidarietà. Non si muore una
sola volta. La fine è già nel derma delle creature abbandonate, rese scarti
della società. Luca accarezza ognuno di loro e provoca in molti di noi,
allenati all’indifferenza, sussulti
nelle coscienze. L’ultima sezione è per il Mare, elemento infinitamente caro al
cuore del Poeta.”Avevo già quindici anni, / avevo il corpo asciutto. / Un vento
senza soste / mi confondeva i sensi. Nel tuffo raccoglievo / frutti di mare al
fondo. / Mi pareva che tutto / fosse per me: la terra / il mare, anche le stelle”-
tratti da “Avevo già quindici anni -. D’altronde il mare permette la libertà
dell’impossibile, dà alle braccia ciò che l’aria offre alle ali. Baudelaire
scriveva: “Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio /
contempli la tua anima / nello svolgersi infinito della sua onda”. E Luca gli
fa eco: “Tempesta contro il solido strapiombo / soffiando forte il vento mi
confonde. / Qui tutto si fa canto, non rimbombo” - tratti da “Sulla scogliera
batte la risacca”- . La Poesia
senza orpelli del Nostro cresce nelle varie sezioni e nell’ultima ci appare in
abito da sposa, tra le creste delle onde, il fragore dei flutti, pur restando
fedele ai concetti - chiave della Silloge. La distesa marina, infatti, non ha
paese, è di tutti coloro che la stanno ad ascoltare, a est e a ovest, dove
nasce e muore il sole. Il cielo, che si fa corpo nei versi di Luca, è l’altro
volto del mare, l’uno continua a specchiarsi nell’altro in eterno, senza mai
congiungersi. Ho l’impressione che l’amore del Poeta per l’azzurro infinito
esprima la convinzione che solo il mare possa
perdonare i nostri inverni. La
Silloge di Luca Giordano dimostra una volta di più che la Poesia è dentro, non fuori
di noi. E che spesso sono i profondi solchi, le rughe dell’esistenza ad aprire
la strada al suo cammino…
Maria Rizzi
Ringrazio il carissimo Nazario per aver pubblicato questo mio tributo all'Opeta del fraterno amico Luca Giordano. La Silloge contiene liriche incidive e dolci come poche. Abbraccio forte il Vale e l'autore.
RispondiEliminaMaria Rizzi