venerdì 14 novembre 2025

TOMMASO SPAZZINI VILLA Autoritratti Quodlibet novembre 2024


 

Nelle carceri il fragore del silenzio

 

- tramonta o sole così che possa io trovare la morte - (dal testo pag. 357)


                         Posso dire che le carceri mi hanno da tempo interessato e, per la loro struttura, e, perché in esse c’erano più vite, i loro drammi, il loro annientamento, il distacco dal quotidiano e quasi mai la speranza.                                                           
Un anno imprecisato, con una barca, sono approdata all’Asinara. Due gli approdi: Piana dei Fornelli e Cala Reale. Quiete azzurra, natura brulla, rocce segmentate in blocchi irregolari. Sono luoghi che trasudano storia recente. Case come spettri e il mare assolato, testimone di passate tempeste, di bestemmie, rauchi singhiozzi. Ancora qualche segno di vita negli asini bianchi e grigi che vagano. Nudo squallore negli edifici con nere inferriate e vetri spaccati e sporchi. Negli anni ’70/’80 era un carcere di massima sicurezza. Dal 1998 l’isola dell’Asinara è Parco Nazionale. Mi torna alla memoria un altro carcere, quello di Ventotene, costruito da un architetto austriaco; di forma circolare e con impossibile ogni tentativo di fuga. Vi furono detenuti, Altiero Spinelli e Sandro Pertini. Nell’isola vive in solitudine Enrico Mereu, scultore, che ha disseminato nell’isola molte sue opere.                                              

                      Mi incammino nel silenzio e avverto intorno a me una violenza repressa ma non domata; quella dei detenuti degli anni di piombo.                                             

Sono oppressa dai fantasmi di uomini che un tempo furono, anch’essi, bambini innocenti. Qui, negli anni ’80, Falcone e Borsellino si riunivano per costruire le loro tesi di accusa per i mafiosi. Visito le carceri; un lungo corridoio con anguste celle contrassegnate da numeri progressivi; piccole finestre in alto; un lavabo, un pitale. Sul letto ancora un vestito. Poi, oggetti di lavoro, utensili per cucinare.                                   

                Quello che colpisce di più è un’ampia stanza; dall’alto penzolano vestiti che ondeggiano nel vento; sembrano impiccati. Hanno un’anima prigioniera che grida nel silenzio degli anni. Non ci sarà libertà. Vicino, ma irraggiungibile, il mare.


                    Io, fin’ora sulle figure dei detenuti conoscevo solo quanto letto sui giornali. Sapevo però delle condizioni terribili delle carceri; il sovraffollamento, la scarsa o inesistente possibilità di lavorare e quando quella non vita diventava intollerabile, innumerevoli suicidi. Il caso mi ha portato una sera alla Biblioteca Luzi. Si presentava Tommaso Spazzini Villa con i suoi Autoritratti – ediz. Quodlibet –.                               


                            Non posso che esprimere la mia gratitudine e ammirazione per la sua attività. È un artista ma non scrittore. Si può definire un “artista raccoglitore”: non crea ex novo ma privilegia l’incontro, il contatto umano con le persone e le cose. In lui una umanità e la necessità di penetrare l’animo altrui facendone scaturire i segreti, i rimpianti, le aspirazioni di un’anima prigioniera. È un artista che per anni ha osservato, raccolto immagini. Direi che punta all’essenza spesso nascosta delle cose. Tra le sue numerose opere che hanno avuto prestigiosi riconoscimenti, cito: - La fortuna della fragilità, ospitata alla galleria Mattia De Luca nel 2022. Questa sua raccolta crea fascino e poesia. Nel 2018, Tommaso, dopo aver visitato diverse carceri italiane, coinvolge 361 detenuti. Dal libro da lui fortemente amato e ritenuto idoneo: - L’Odissea di Omero – ha staccato 361 pagine dandone una ad ogni detenuto. Quel foglio, pieno di parole, poteva per loro divenire un mezzo di liberazione; espressione della loro anima oppressa con la voluta scelta di parole sottolineate, oppure niente.


                           Quelle sottolineature e i silenzi penetrano nell’anima del lettore che non è più spettatore ma interlocutore muto e consapevole di angosce, speranze, sprazzi di luce che sgorgano da un imposto stato di costrizione. Ho letto e riletto moltissime di queste frasi e desidero riportarne un certo numero. Per questi detenuti, vivere nel dolore è come essere avvolti da una nebbia che offusca la luce dell’anima.                               

- Non trattenermi più mi preme andare a casa -

- Un uccello cantava straziante pensante la mala sorte degli uomini -

- Stavano in fila davanti al muro dopo aver sofferto e notte e giorno sfuggendo alla morte -

- Mare bellissimo mare chioma azzurra, mare chiuso nel petto come salutarlo? Sono un  vecchio -        

- Stranieri siamo tutti sulla madre terra -

- Un dolcissimo bisogno di abbracci -

- Che Dio al più presto venga qui. Ho molto sofferto e piango sempre -

- Sole, mare, luce, parole, lacrime -

- Compagni sfiniti i giorni lunghi: ricordati il sole e la mia voce a casa -

- Il tuo ritorno mi colse con dolcezza di miele -

– con gli occhi chiusi la mente aspetta di scendere nella notte a
   errar senza meta come un vento –
– il mare fascia le palpebre e il mio cuore –
– sogno di correre ancora all’alba. Non qui a casa lontano –
– vuole partire per la terra infinita, viaggiare ma dal letto non scese –
– grido l’intera verità: dure pene mi diedero –
– una lacrima soltanto gli sfuggiva, sfinito, schiavo, infelice –
– mi stenderò nel mio pianto vi giacerò sola –
– questo straniero bambino ancora è più triste perché la vita qui
 è intollerabile –

     Davanti ai miei occhi questa pioggia di parole come stelle spente che improvvisamente si accendono. La parola si è fatta luce, denuncia, desiderio, rimpianto. È poesia che sgorga da una fonte di lacrime e dolore. Forte il ricordo di ciò che non hai più. La
realtà è un muro alto, un finestrino con inferriate, una cella stretta con tante persone. Bisognerebbe riflettere e poter agire per mutare queste situazioni che affondano l’io di un uomo. Intervenire sulle prigioni; renderle luoghi in cui si può lavorare, respirare ogni tanto
aria pura. A Bollate, carcere di Milano, le celle sono aperte e I detenuti possono girare. Ci sono laboratori, dialogo. Ma non basta e la strada è lunga.                                       

      Questa lettura, Tommaso, ha aperto il mio animo all’ascolto e “alla magia delle cose nascoste” come hai scritto nella dedica del libro.                             
Grazie!





Anna Vincitorio                                               
28 ottobre 2025 – Firenze                                                  

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