Nelle carceri il
fragore del silenzio
- tramonta o sole così che possa io trovare la morte - (dal testo pag. 357)
Posso dire che
le carceri mi hanno da tempo interessato e, per la loro struttura, e, perché in
esse c’erano più vite, i loro drammi, il loro annientamento, il distacco dal
quotidiano e quasi mai la speranza.
Un anno imprecisato, con una barca, sono approdata all’Asinara. Due gli
approdi: Piana dei Fornelli e Cala Reale. Quiete azzurra, natura brulla, rocce
segmentate in blocchi irregolari. Sono luoghi che trasudano storia recente.
Case come spettri e il mare assolato, testimone di passate tempeste, di
bestemmie, rauchi singhiozzi. Ancora qualche segno di vita negli asini bianchi
e grigi che vagano. Nudo squallore negli edifici con nere inferriate e vetri
spaccati e sporchi. Negli anni ’70/’80 era un carcere di massima sicurezza. Dal
1998 l’isola dell’Asinara è Parco Nazionale. Mi torna alla memoria un altro
carcere, quello di Ventotene, costruito da un architetto austriaco; di forma
circolare e con impossibile ogni tentativo di fuga. Vi furono detenuti, Altiero
Spinelli e Sandro Pertini. Nell’isola vive in solitudine Enrico Mereu,
scultore, che ha disseminato nell’isola molte sue opere.
Mi incammino nel
silenzio e avverto intorno a me una violenza repressa ma non domata; quella dei
detenuti degli anni di piombo.
Sono oppressa dai fantasmi di uomini che un tempo furono, anch’essi, bambini
innocenti. Qui, negli anni ’80, Falcone e Borsellino si riunivano per costruire
le loro tesi di accusa per i mafiosi. Visito le carceri; un lungo corridoio con
anguste celle contrassegnate da numeri progressivi; piccole finestre in alto;
un lavabo, un pitale. Sul letto ancora un vestito. Poi, oggetti di lavoro,
utensili per cucinare.
Quello che colpisce di
più è un’ampia stanza; dall’alto penzolano vestiti che ondeggiano nel vento;
sembrano impiccati. Hanno un’anima prigioniera che grida nel silenzio degli
anni. Non ci sarà libertà. Vicino, ma irraggiungibile, il mare.
Io, fin’ora sulle
figure dei detenuti conoscevo solo quanto letto sui giornali. Sapevo però delle
condizioni terribili delle carceri; il sovraffollamento, la scarsa o
inesistente possibilità di lavorare e quando quella non vita diventava
intollerabile, innumerevoli suicidi. Il caso mi ha portato una sera alla
Biblioteca Luzi. Si presentava Tommaso Spazzini Villa con i suoi Autoritratti –
ediz. Quodlibet –.
Non posso che
esprimere la mia gratitudine e ammirazione per la sua attività. È un artista ma
non scrittore. Si può definire un “artista raccoglitore”: non crea ex novo ma
privilegia l’incontro, il contatto umano con le persone e le cose. In lui una
umanità e la necessità di penetrare l’animo altrui facendone scaturire i
segreti, i rimpianti, le aspirazioni di un’anima prigioniera. È un artista che
per anni ha osservato, raccolto immagini. Direi che punta all’essenza spesso
nascosta delle cose. Tra le sue numerose opere che hanno avuto prestigiosi
riconoscimenti, cito: - La fortuna della fragilità, ospitata alla galleria
Mattia De Luca nel 2022. Questa sua raccolta crea fascino e poesia. Nel 2018,
Tommaso, dopo aver visitato diverse carceri italiane, coinvolge 361 detenuti.
Dal libro da lui fortemente amato e ritenuto idoneo: - L’Odissea di Omero – ha
staccato 361 pagine dandone una ad ogni detenuto. Quel foglio, pieno di parole,
poteva per loro divenire un mezzo di liberazione; espressione della loro anima
oppressa con la voluta scelta di parole sottolineate, oppure niente.
Quelle
sottolineature e i silenzi penetrano nell’anima del lettore che non è più
spettatore ma interlocutore muto e consapevole di angosce, speranze, sprazzi di
luce che sgorgano da un imposto stato di costrizione. Ho letto e riletto
moltissime di queste frasi e desidero riportarne un certo numero. Per questi
detenuti, vivere nel dolore è come essere avvolti da una nebbia che offusca la
luce dell’anima.
- Non
trattenermi più mi preme andare a casa -
- Un uccello
cantava straziante pensante la mala sorte degli uomini -
- Stavano in
fila davanti al muro dopo aver sofferto e notte e giorno sfuggendo alla morte -
- Mare
bellissimo mare chioma azzurra, mare chiuso nel petto come salutarlo? Sono
un vecchio -
- Stranieri
siamo tutti sulla madre terra -
- Un
dolcissimo bisogno di abbracci -
- Che Dio al
più presto venga qui. Ho molto sofferto e piango sempre -
- Sole, mare,
luce, parole, lacrime -
- Compagni
sfiniti i giorni lunghi: ricordati il sole e la mia voce a casa -
- Il tuo
ritorno mi colse con dolcezza di miele -
Davanti ai miei occhi questa pioggia di parole come stelle spente che
improvvisamente si accendono. La parola si è fatta luce, denuncia, desiderio,
rimpianto. È poesia che sgorga da una fonte di lacrime e dolore. Forte il
ricordo di ciò che non hai più. La
realtà è un muro alto, un finestrino con inferriate, una cella stretta con
tante persone. Bisognerebbe riflettere e poter agire per mutare queste
situazioni che affondano l’io di un uomo. Intervenire sulle prigioni; renderle
luoghi in cui si può lavorare, respirare ogni tanto
aria pura. A Bollate, carcere di Milano, le celle sono aperte e I
detenuti possono girare. Ci sono laboratori, dialogo. Ma non basta e la strada
è lunga.
Questa lettura, Tommaso, ha aperto
il mio animo all’ascolto e “alla magia delle cose nascoste” come hai scritto
nella dedica del libro.
Grazie!
Anna Vincitorio
28 ottobre 2025 – Firenze
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