lunedì 1 luglio 2013

N. PARDINI: SU "IL SENSO DELLA POSSIBILITA'" di A. SPAGNUOLO


Recensione
a
Antonio Spagnuolo: Il senso della possibilità.
Kairòs Edizioni. Napoli. 2013. Pp. 104

L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa




Opera compatta, organica, Il senso della possibilità, dove l’accento è posto su uno dei motivi di grande inquietudine emotivo-intellettiva del percorso umano. Anche se in questi versi è chiaro, come il più delle volte avviene per la buona poesia, che il dire lirico è frutto di un inconscio antecedente all’azione raziocinante. All’atto speculativo. Lo direi più categoria dello spirito, questo atto creativo. Ha un senso la possibilità? Esiste certamente la possibilità di fare e di agire per ottenere. Ed ha un senso. Ma se messa in relazione al nostro vivere? Alla continua diminuzione di noi e di ciò che siamo e di tutto quello che per noi è vita? Ha senso lottare quando la sconfitta è in partenza. Va bene, noi l’abbiamo vissuta questa possibilità, il suo senso l’abbiamo fatto nostro, l’abbiamo commisurato nella sua validità. E ne è valsa la pena. Abbiamo amato, abbiamo gioito, abbiamo sofferto, anche, ma, anche, sognato mondi irreali che nella nostra immaginazione si sono fatti alcove edeniche a rimpiazzare gli smacchi del nostro limite di essere umani. Fino a farcelo dimenticare, questo limite, magari, una volta presi dai piaceri, dalle vertigini edonistiche. Dalle complicità erotico-sentimentali dove abbiamo investito tutta la nostra passione, tutto il nostro esserci. Ma “Ogni piacere si muterà in rimpianto; tanto più grande il bene voluto, tanto più doloroso il distacco, il ricordo di tanto dato, di tanto avuto” (afferma il poeta). Come se la natura si volesse riappropriare di quello che ha elargito; volesse ricompensare il tutto: piacere e dolore, bene e amale, notte e giorno, Caino e Abele. Forse sta nell’armonia dei contrasti, nel dicotomico succedersi delle contrapposizioni il nerbo dell’umano procedere. Ma qui il discorso è più ampio, si allarga al fatto di esistere, alla portata del nostro vivere da terreni con la possibilità di risolvere il nostro dolore in una sublimazione che vada oltre. Ed è così che sbattiamo contro il perpetuo dilemma del confronto fra le nostre finitezze e la schiacciante, smisurata dimensione di un giorno senza fine. Ed è quel giorno a toglierci passo passo i nostri beni, quelli senza cui non possiamo stare. O, diciamo, possiamo sopravvivere, facendo del nostro cuore e della nostra memoria strumenti di recupero per dare energia convalidante a questo senso. Se poi è la donna che amiamo, se poi è la parte più importante della nostra storia, quella con cui abbiamo navigato, complici, mari a volte tempestosi, a volte lisci come l’olio a risplendere tramonti indelebili, ed orizzonti senza fine; se poi è questa parte di noi a lasciarci soli con le nostre memorie, certamente dare un senso alla possibilità di rinascere si fa cosa dura. Anche se il Nostro mai cade nel nichilismo o nel pessimismo più acerbo. Ed è qui forse la grandezza di questo poema. Cercare di rendere reale, pur con tutto il patema esistenziale della mancanza, quello che cova in seno: un gesto, una mossa, uno sguardo, un sorriso, seppur rubato. E c’è la possibilità di poter agire su ciò che si sfuma. Su ciò che è reale, magari, dentro noi, ma che immateriale, non dà appiglio a questa nostra propensione ad una complicità fisica. Abbiamo dentro noi, sì, dei grandi impulsi vitali, reattivi, delle grandi emozioni scatenate dalle sottrazioni del tempo; abbiamo realtà interiori tanto forti da farsi concrete: realtà dell’irreale. Se per irreale intendiamo tutto ciò che non possiamo vedere e toccare. Ma reale è anche quello che sentiamo. Una realtà distruttiva, a volte, o costruttiva, con effetti patologici di grande reazione compulsiva.
Quale il senso della possibilità, dunque? Della possibilità di dare vita a un mondo in cui l’essere si deve confrontare col tempo e col dolore; col tempo nemico, che ora dopo ora ci toglie quelle cose che reputavamo eterne, non facenti parte dell’idea del nulla, e che tali continuano ad essere, magari, nell’illusione di una presenza. E qui le due realtà: la materiale e la spirituale. E qui la ricerca della possibilità di rendere perpetua una storia unica, insostituibile. Anche con la poesia. È questo, forse, il mezzo più potente per dare un senso alla vita. L’eterna diatriba fra la caducità del vivere, e il tentativo di sconfiggere la sua morsa. E la  memoria si fa attiva, robusta, ricca di ricariche, a prolungare, a amalgamare momenti con un non/tempo che si faccia perpetuamente presente. In questo dicotomico diluirsi di un’anima in versi, in questo abbandono tormentato o in questo slancio ad agguantare il verbo disposto a tanta generosità esplorativa, in tutte le acrobazie allusive che il Nostro tenta per dare un senso alla possibilità di vincere, sta l’equilibrio del poema di Spagnuolo. Ma nel tentativo di restare abbarbicato a ciò che non è più, e che realmente convive con il poeta, e di cui lo stesso si alimenta, s’insinua la coscienza di un Orizzonte fatto di luci mutevoli ed ingannevoli. Luci e contrasti di estrema fattura umana, di grande portata sensoriale; di un diacronico fieri da Giorno dopo giorno. Cose di ieri vive solo in seno, nel ricordo, ma che ricadono inesorabilmente in primo piano:

In te prendono forma le silenziose
delicatezze del glicine,
chi rimarrà a ripetere? (pp. 37).           

È qui che scatta improvvisa la malinconia. Sì, quelle ombre quotidiane fanno parte della storia. Qui, gesti tanto presenti in animo richiamano altre stagioni a illuminare quelle ombre. Sì, convive il Nostro con la sua realtà interiore, e vive per dare un senso a questi ritorni e a questi richiami; per dare luce alla vita; e alla possibilità stessa di continuare a viverla con Elena, scalando, magari, i gradini di quella spiritualità complice di un sorriso che in terra può essere solo rubato:

Inseguo le tue ombre quotidiane
per rubarti un sorriso (pp. 84).  


Nazario Pardini                     20/06/2013


8 commenti:

  1. Un artista che sicuramente apre la strada a molti pensieri e suggestioni poetiche. Mi sembra chiaro, leggendo questo commento introduttivo di Pardini di cogliere un mondo interiore con i motivi ispiratori, stimolati da un dialogo artistico che si riconosce negli "orizzonti" fatti di luci mutevoli ed ingannevoli; la visione del possibile diventa una specie di auto-riflessione con il profilo disegnato dai conflitti della malinconia e del suo stato di sosta storica. Roberto

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  2. Indubbiamente riconosco il tuo stile che ritrivo nell'esordio del Leone Verde (1992?) e ritrovarti e' un piacere oltre che sorpresa che spero dia continuita' al tuo studio che da anni accopagna arte e poesa. Con questa premessa che fa riferimento alla critica rivolta al noto poeta e per giunta di Napoli, A.Spagnuolo si puo' solo ricordare nei tratti della sua poesia e malinconia un tocco di Pulcinella con la luna di Leopardi. Che dici?
    Sarebbe interessante. Arturo Gichino

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    1. Non ricordo bene ma penso proprio si tratti davvero del 1992, anche per me l'eta' avanza. Ci sono altre note interessanti . Per Pulcinella, nella poesia partenopeapopolare il malinconico romanticismo che accoglie la maschera (su riferimento di Cirano') come dice anche Pardini e' una specie di forzatura letteraria se, in piu', ci attacchi fantasie poetiche del recanatese Leopardi. Non sei comunque l'unico che tratta questa singolarita' critica. Intendo tra il nostro contemporaneo e la metrica leopardiana. Sulle maschere invece rimando altri studi specifici.  


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  3. Bella simbiotica disarmonica armonia la tua riflessione critica, caro Gichino. Veramente stimolante ed invitante a pensieri e ad azzardi poetici che vanno oltre il consueto. Pulcinella e Leopardi: tutti e due amanti del napoletano? tutti e due spiriti della dualità partenopea? Interessantissima osservazione da prendere in considerazione per uno studio approfondito. C'è tanto pepe in quelle tue 5 righe. Un caro saluto Nazario

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  4. Leggo questa critica letteraria di Nazario Pardini relativa all'ultima raccolta di poesie del poeta Antonio Spaguolo,IL SENSO DELLA POSSIBILITA'.La silloge rivive, nello spazio e nel tempo poetico, la presenza di un vissuto che diventa espressione essenziale dell'amata per la moglie Elena. Non a caso Nazario, da poeta, osserva l'orizzonte aperto ai suoi travagli anche spirituali ed e' bello ascoltare queste voci che diventano espressione anche di amicizia. Complimenti.......Buona giornata. Miriam

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  5. ALDEBARAN:

    Non ho letto il libro di Spagnuolo, ma ritengo vi siano contenute alcune poesie recentemente da lui pubblicate su Poetrydream, il suo blog, in memoria dell'amatissima Elena.
    E, per quanto mi è dato di capire (e anche di immaginare relativamente al contesto poetico), stimo l'analisi di Nazario Pardini seria e centrata, approfondita e puntuale.
    Poi si sa che ogni realtà veramente poetica è ricca e proteiforme, almeno nel senso di una polisemica significanza, magari sfumata e allusiva. E naturalmente non può essere del tutto circoscritta, neppure dal critico più avveduto.
    Nel complimentarmi con Nazario, auguro al libro di Spagnuolo la migliore fortuna.
    Pasquale Balestriere

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  6. Annibale Guidi

    Una critica che va di pari passo all'impegno letterario di un lavoro di analisi e scavo nei meandri e nei recessi psicologici di Spagnuolo. Entrambe le penne si riconoscono nell'ardore allusivo della metafora che investe entrambi. Complimenti.

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  7. Ottima recensione per conoscere e comprendere un poeta che non ha perso la possibilità di ricordare la cara moglie Elena. Graie, ciao.

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