mercoledì 25 settembre 2024

Anna Vincitorio legge Osip Mandl'stam

 

Osip Ėmil'evič Mandel'štam (1891-1938)

Poesia e libertà oltre la morte

dalla lettura di ottanta poesie

a cura di Remo Facciani

Giorgio Einaudi Editore

 

 

Ho pensato di introdurre con alcuni versi gli elementi componenti della poesia di Osip Mandel'štam.

 

Notte, forse di me non hai bisogno;

dalla voragine dell'universo

io – conchiglia vuota senza perle – sono

gettato sulla tua proda, riverso

e il vano della fragile conchiglia

nido di un cuore ove nessuno alloggia –

ricolmerai di schiuma che bisbiglia,

ricolmerai di nebbia, vento e pioggia…

                                               1911

 

Tende l'udito una vela sensibile,

lo sguardo si dilata e si fa vuoto,

e afono varca un mare di silenzio

il coro degli uccelli a mezzanotte.

 

Io come la natura sono povero

e ho la semplicità che hanno i cieli,

e la mia libertà è illusoria come

le voci a mezzanotte, degli uccelli.

                                               1922

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

 

Libri

 

La quarta prosa. Sulla poesia. Discorso su Dante. Viaggio in Armenia, trad di Maria Olsoufieva, presentazione di Angelo Maria Ripellino, De Donato, Bari 1967.

 

Viaggio in Armenia, a cura di Serena Vitale, Adelphi, Milano 1988, 1996, 2002

 

Cinquanta poesie, a cura di Remo Faccani, Einaudi, Torino, 1998

 

Sulla poesia, trad. di Maria Olsoufieva, con due scritti di Angelo Maria Ripellino, nota di Fausto Malcovati, Bompiani, Milano, 2003

 

Ottanta poesie, a cura di Remo Faccani, Einaudi, Torino 2009

 

Il rumore del tempo e altri scritti, a cura di Daniela Rizzi, Adelphi, Milano 2012

 

La pietra, a cura di Gianfranco Lauretano, Il Saggiatore, Milano 2014, 2018

 

Quaderni di Voronež: primo quaderno, a cura di Maurizia Calusio, Giometti & Antonello, Macerata, 2017

 

Quasi leggera morte. Ottave, a cura di Serena Vitale, Adelphi, Milano 2017

 

L'opera in versi, a cura di Gario Zappi, Grometti & Antonello, Macerata 2018

 

– Epistolario. Lettere a Nadja e agli altri (1907-1938), a cura di Maria Gatti Racah, Giometti & Antonello, Macerata 2020.

 

Nel Box approfondimenti un saggio di Alberto Frisia su Osip e Nadezhda  Mandel'štam.

 

O cielo, cielo, ti vedrò nei sogni

Non sarà mai che tu divenga tenebra

e il giorno avvampi come un bianco foglio

soltanto un po' di fumo e un po' di cenere.

                                                        1911-1915?

 

Osip Ėmil'evič Mandel'štam nasce a Varsavia che all'epoca era parte dell'impero russo, nel 1891 e dopo la nascita, si trasferisce a Pavlosk presso Pietroburgo. Ebreo di nascita, nel 1911 in Finlandia si convertì al Cristianesimo metodista per poter accedere all'Università russa vietata agli ebrei. Il padre commerciava in pellami e la madre era pianista e insegnava musica. Dopo il diploma nel 1907 si trasferisce a Parigi e frequenta la Sorbonne. I suoi primi versi sono del 1907-1909. Sempre nel 1911 aderisce alla “Gilda dei poeti” e partecipa alla formazione dell'acmeismo[1]. Gumil'ev, amico di Osip fu fucilato nel 1921 accusato di attività controrivoluzionaria e la sua poesia fu vietata durante il regime sovietico.

         Ancora, nel 1911 Mandel'štam pubblica la sua prima raccolta di poesie: KAMEN' (Pietra). In Francia nel Cabaret del cane randagio legge i suoi scritti e incontra A. Blok, Benedict Livsic e frequenta Marina Cvetaeva ed Anna Acmatova. Un anno basilare nella vita di Osip è il 1919 a Kiev dove incontra Nadežda Jakovlevna che diverrà sua moglie. Unico grande amore di Osip nato in una notte di maggio, rimasta colpita dai versi di Osip pulsanti vita e sensazioni esulanti la realtà quotidiana.

         Uomo nato per la poesia e che, per la poesia, avrebbe vissuto. Ma nel cuore di Osip, Nadežda era soltanto e soprattutto amore a un livello che non può nemmeno immaginarsi.

         Uniti nella passione e in quella idea di libertà che trova il suo status nella parola. Parola che porterà emarginazione, persecuzioni, conflitti. La sopravvivenza di Osip è dovuta alla moglie.

         In un articolo di Repubblica del 14 giugno 2024 di Elisabetta Rasy: “ Nadežda Mandel'štam contro Stalin - speranza e poesia", si parla di lei. Non abbandonò Osip presente nella vita e oltre la sua morte; preziosa custode delle sue poesie che imparava a memoria perché non andassero disperse. Quando Nadežda muore nel 1980, Josif Brodskij la descrive così: “Degli ottantuno anni della sua vita Nadežda Mandel'štam ne ha vissuti 19 come moglie e quarantadue come vedova del più grande poeta russo di questo secolo Osip Mandel'štam”[2].

 

         Gli scritti di Osip e, tra questi, ricordiamo Viaggio in Armenia provocano nuovi attacchi polemici della stampa sovietica. Osip si sente prigioniero, colpito dalla menzogna; il fango lo ricopre. Per lui è come vivere un sogno atroce e delirante. Nell'anno 1934 è arrestato per una poesia dedicata al “montanaro del Cremlino” inserita nelle poesie di Mosca. L'arresto avvenne nella notte tra il 13 e il 14 maggio del 1934. Osip non negò la paternità del testo e, dopo l'arresto, si preparò ad essere fucilato. Bukharin lo difese ed evitò la fucilazione ma fu deportato a Cherdyn - Russia orientale e poi a Voronež. Riporto una versione italiana della poesia presente tratta da un articolo di Luigia Sorrentino in Internet…

 

                            Poesia

 

Viviamo senza fiutare il paese sotto di noi

i nostri discorsi non si sentono a dieci passi

e dove c'è spazio per mezzo discorso

là ricordano il montanaro caucasico –

le sue dita sono grosse come vermi

e le parole, del peso di un pud sono veritiere,

ridono i baffetti di scarafaggio

e brillano i suoi gambali.

 

                   E intorno a lui una marmaglia di capetti dal collo

                                                                           sottile

 

si diletta dei servigi di mezzi uomini,

chi fischia, chi miagola, chi frigna

appena apre bocca e alza un dito.

Come ferri di cavallo forgia decreti su decreti.

a chi dà nell'inguine, a chi sulla fronte, a chi nelle

sopracciglia, a chi negli occhi

ogni morte è per lui una immagine

e l'ampio petto di osseiano.

 

                            A Stalin di Osip Mandel'štam.

 

         Segue dopo Voronež un nuovo arresto a Samaticha. Sottoposto a lavori forzati… Il 12 ottobre dello stesso anno viene internato in un lager di transito e muore il 27 dello stesso mese e viene sepolto in una fossa comune vicino al lager Vtoraja Rečka dopo essere stato sempre insepolto assieme ad altri. Alla moglie ritorna indietro un vaglia postale in cui è annotato: “A causa della morte del destinatario”.

 

         Raccontano che “era semiassiderato, rosicchiava zollette di zucchero e accovacciato accanto a un immondezzaio, recitava brani della Divina Commedia e del canzoniere del Petrarca”[3].

         Non è semplice parlare della poesia di Osip Mandel'štam. La mia conoscenza e il mio entusiasmo li devo alle traduzioni, non conoscendo la lingua russa. Posso senza dubbio affermare che quelle di Remo Faccami del volume su citato, mi hanno colpito profondamente per l'armoniosità dei versi (quasi tutti resi in tetrapodia e tripodia giambica) per la scelta esaltante delle parole, per la cura esplicativa dei contenuti.

         “Un tonfo cauto e sordo - un frutto/ dal ramo si è staccato via/ tra l'incessante melodia/ del bosco che riposa muto…”. 1918

         Alla sensazione auditiva del distacco di un frutto dal ramo segue un salmodiare del bosco che però è muto nel suo riposo. Il poeta è consapevole della sua tristezza. Comprende che perderà la sua libertà, irrinunciabile e silenzioso nella sua quiete e lo raffigura come “cristallo della volta celeste inanimata”. Si rincorrono pallidi azzurri; è tutto vago “come un piatto, su una porcellana/ un disegno. L'artista persegue il suo istinto, vuole fortemente fissare quel momento e renderlo eterno anche se poi giungerà la morte. Ogni respiro, ogni suo fiato si posa sui vetri dell'eternità. Immagini immortali in cui immergersi e affondare. Forza della parola e musica illuminata dal chiarore impazzito del giorno. Potenza della parola da lui definita schiuma o afrodite che - rifluisce in musica. Per lui, insopprimibile il valore della libertà anche se ha davanti il vuoto. Si, illusoria ma preziosa la sua libertà “come le voci a mezzanotte degli uccelli”; un universo… malato e strano e il vuoto come meta.

         Al suo anelito di libertà la patria è indifferente. Lui, solo, privo di colpa e sulla sua solitudine di esule “un cielo dallo strano riverbero”. Il dolore dell'universo è nebbioso ma la nebbia, procurando incertezza, allontana da lui quell'amore che distruggerà la sua vita. Lui è come una conchiglia senza perle. La notte gli giacerà accanto ricolmando “la sua fragilità di schiuma... di nebbia, vento e pioggia…”. Nei suoi sogni il cielo non sarà mai tenebra: “…soltanto un po' di fumo e un po' di cenere”. Chiaro il riferimento alle componenti della persecuzione degli ebrei. Lui ha il cuore colmo di amore ma non può amare; solo sperare che arrivi “il giorno che aspetto/ sento un aprirsi d'ala/ Sarà possibile?... se no tornerò dov'ero/ conclusi viaggio e tempo;/ là amare non potevo,/ qui amare mi spaventa…”.

 

Riporto due poesie descrittive dell'ambiente russo (pag.33 e 37 del testo):

 

“Ammucchiano i portieri a badilate/ la neve fresca nei quieti sobborghi; io tra mugicchi dalle barbe folte, passo viandante a cui nessuno bada./ Balenan donne avvolte in fazzoletti, cani bastardi ruzzano impetuosi,/ dei samovàr fiammeggiano le rose/ scarlatte in ogni casa e in ogni bettola”.

“Strette di mano a celebrare un rito/ che vie strazia, nelle vie baci notturni/ mentre l'onda si fa greve nel fiume/ e ardono come fiaccole i lampioni./ Lupo da fiaba è per noi la morte/ e morirà prima di tutti io temo, colui che ha labbra di un vermiglio inquieto/ e una frangetta spiovente sugli occhi.” Parla di lui?

 

         Irreparabile è questa notte;

da voi continua a esser chiaro in cielo.

Gerusalemme alle tue porte

hai visto levarsi il sole nero.

 

Il sole giallo ancor più spaventa

(ninna nanna: su, dormi!). Le esequie

di mia madre nel chiaro tempio

celebrano i figli della Giudea..... (pag. 59 del testo). Ispirata dalla scomparsa della madre che lui rivide solamente da morta. In questa poesia si affronta il tema ebraico. Il colore giallo-nero. Il sole nero quando nasce il poeta; il sole giallo, le esequie della madre. L'amore per la Russia congiunto a una notte che porta vuoto e morte si riscontrano in questa poesia (pag.81):

Noi ci rincontreremo a Pietroburgo,

quasi avessimo lì sepolto il sole,

e per la prima volta la parola

sul labbro ci verrà, beata, assurda.

Nel nero velluto della notte sovietica,

nel velluto del vuoto universale,

cantano sempre i cari occhi di donne beate,

sempre sbocciano fiori senza morte…

 

         Ci sono diverse poesie che sicuramente descrivono la sua situazione di prigioniero:

 

Mi lavavo all'aperto ch'era notte;

di grezze stelle ardeva il firmamento.

Il loro raggio è sale a fior d'ascia; la botte

colma, orli rasi, ghiaccia e si rapprende…

Si disfa come sale nella botte, una stella;

più buia è l'acqua gelida, più pura

la morte, più salata la sventura,

ed è più onesta e paurosa la terra.

                            Pag. 85

 

         Cosa ancora di lui ricordare? L'enorme nostalgia al ricordo di un passato che non ritornerà:

…Ricorderai la dacia, la vespa,

l'astuccio sporco d'inchiostro

o i mirtilli che mai raccogliesti

da bambino nel sottobosco. (pag.103).

 

Sono tornato nella mia città che conosco fino alle lacrime,

fino alle venuzze, alle gonfie ghiandole dell'infanzia.

 

Sei tornato – e alla svelta manda giù l'olio di merluzzo

dei lampioni riflessi nelle acque di Leningrado…

Pietroburgo, non voglio morire – non adesso:…

Pietroburgo su di me gli indirizzi io porto

che mi fanno trovare le voci dei morti…

                                                        (pag.105)

 

Tu non sei morto Osip perché la tua poesia, fiaccola lucente, vive in noi per sempre!

 

                                                                  Anna Vincitorio



[1]             Dal greco acmé - nel culmine - movimento poetico russo nato intorno al 1913. Ne fecero parte A. Acmatova, M. Kuzmin, N. Grimil'ev e S. Gorodesckij. “Contrastavano il simbolismo preferendo la fedeltà del mondo tangibile. Si esalta l'universo dell'uomo. Si può anche parlare di adamismo. Nel movimento si trovano anche il vitalismo estetizzante di Gumil'ev e la poetica della Acmatova…” - Enciclopedia di Repubblica vol. 1° pag 133.

[2]      Ibidem – pag. 99.

[3]      I contenuti sono tratti da L'opera in versi – Giometti Antonello, Macerata 2018

1 commento:

  1. Mi compiaccio per il contributo interessante e colto di A. Vincitorio. Aggiungo una poesia di O.M. a me carissima:
    Perché l’anima

    Perché l’anima è così melodiosa
    e così pochi nomi amati
    e un ritmo istantaneo – ascolta solo
    l’inatteso Aquilone?

    Solleverà una nuvola di polvere,
    comincerà a fare un rumore di fogli di carta
    e non tornerà mai più – o
    tornerà completamente diverso…

    O, vento largo di Orfeo,
    te ne andavi verso i paesi marini –
    e, accarezzando un mondo ancora non creato,
    io dimenticavo l’inutile “io”.

    Ho vagato in un bosco fitto di giocattoli
    e ho scoperto una grotta celeste…
    possibile che io sia proprio qui, ora
    e che davvero arriverà la morte?

    La poesia degli esordi di O. Mandel’stam è già incentrata su tematiche che verranno sviluppate autonomamente nel tempo, in particolare sul tema della memoria e su metafore leggere, diafane, che si uniscono in un discorso analogico e sullo stupore di sentimenti universali, come la domanda iniziale che invita perplessa all’evasione.
    È il tema della poesia che caratterizza e salva il grande Mandel’stam: ”il vento largo di Orfeo”che vaga verso i paesi marini, portandolo in un” bosco fitto di giocattoli”, trovando rifugio in una “grotta celeste” che allontanerà la morte, la bruta realtà che ci distoglie dal sogno dell’armonia universale, dall’inutile ed ambizioso “ io” che in un nugolo di polvere fa solo rumore, distogliendo il poeta dalla felicità primigenia, quella dell’anima.
    È questa per O. M. la stagione del manifesto dell’acmeismo e della frattura con la precedente tradizione simbolista russa: la poesia si apre a un’inedita fluidità e a immagini concrete di grande melodia e implicita ricca cultura. Ricorda pensieri e atmosfere che compariranno in "Fedosia", dove M. coglie nel modo più intenso il legame col mondo di luci mediterranee. Sembra quasi anticipare l’immagine della Crimea che evoca in lui quella della antica Tauride greca.


    (traduzione di Fiamma Giuliani) Osip Mandel’štam
    (1911; da “Kamen’”, “Pietra”, 1913)

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