Mia debolezza, rilasciati sul prato,
tiepida e molle coltre di sole:
lenta rientro dentro l’increato
satura infine di sterili parole.
Poesia fresca,
armoniosa, di interiore valenza, dove i palpiti più schietti della vita trovano
posto in una versificazione oscillatoria, segmentata, ondivaga come lo sono gli
stati d’animo nel percorso esistenziale: ora più intensi ora meno ma pur sempre
di alta stesura lirico-emotiva. Ed è proprio nel variare dei versi,
nell’alternarsi di note più alte e più
basse che l’anima trova lo specchio del suo esistere. Grande spiritualità.
Grande forza ascensionale, di urgente verticalità, motivata da un cogito vòlto
a trasferire i fatti della quotidianità in aree di eterna giovinezza, di
perpetuo respiro, di slanci a tradire le fagocitazioni dell’oblio: già il
titolo di questa breve silloge fa da antiporta al susseguirsi delle tematiche ALLA RICERCA DI PAROPLE DEFINITIVE: "Noli foras ire, in te ipsum
redi, in interiore homine habitat veritas".
(Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede
la verità). E la Poetessa sembra seguire questo enunciato di Sant’
Agostino. La sua mente, il suo abbrivo
emozionale, il suo intento è quello di scavare dentro, di tirar fuori i
reconditi impulsi vitali, le meditazioni sulle inquietudini, le passioni
scaturite dai contatti con il mondo e con le persone che l’affiancano o l’hanno
affiancata. E non di rado la realtà con la sua misteriosa entità fa da
oggettivazione alle ontologiche meditazioni della Mazzuca; agli stati d’animo
che sperdono la loro epigrammatica
sostanza in voli oltre la terrenità, pur con l’animo zeppo dei risvolti
fenomenici della stessa: “…Crolla la luce, perde le sue
foglie il giorno/ più in alto, d’un tratto, / giunge l’improvvisa notte/
occhiate prudenti, /l’ammiccare delle stelle./ Indizi, al di sopra dell’acme.”.
Una simbiotica fusione fra schizzi di cromatico effetto visivo e “Indizi, al di
sopra dell’acme”. Si può dire che la Nostra tocca tutti quelli che sono gli
angoli più nascosti del nostro esistere; ogni pensiero sulla brevità della vicenda umana; del suo precario sfumarsi. E
lo fa con un simbolismo di resa poetica, di coinvolgimento panico, umano: “… e
non c’è albero che regga/ tutela dell’attesa/ e la foglia cade/ e non sa
dove.”. Un senso di smarrimento, di sperdimento, che tanto sa di risvolti
vicissitudinali di un essere che cerca di ritrovare se stesso mischiandosi ad
un verde che richiama tempi di vita; di concreti abbracci sapidi d’amore; di un
colore che riporta a sprazzi di giovanili incontri. Per non dire degli immensi
impuri oceani dove è facile smarrire la
nostra identità, dacché non vi è
soluzione a interrogativi che nascono da turbanti giochi coll’infinito; da onde
che si accavallano le une sulle altre in un perpetuo moto che tanto sa
d’eterno: “… Ma poi sotto le luci ferme delle stelle/le acque confuse di quegli
impuri mari/vanno rigurgitando verso abissi immani.”. Afferma Baudelaire:
"Uomo libero / amerai sempre il mare / il mare è il tuo specchio/ nello svolgersi
continuo delle sue onde / contempli la libertà dell'infinito". E Pascal
dans les pensées: “Cos'è un uomo nella Natura?/ Un nulla davanti
all'infinito,/ un tutto davanti al nulla,/ qualcosa di mezzo tra il nulla e il
tutto.”. Forse la Nostra è cosciente della precarietà del tempo e della vita e
per questo tanti riferimenti poetici riportano a questa filosofia. D’altronde è
umano, fortemente umano azzardare sguardi oltre gli orizzonti; ma è anche
possibile rischiare il dolce naufragio leopardiano, il tramutarsi
dell’assillante clessidra in un vuoto dove la memoria perde i suoi stessi
connotati: “... e un dischiudersi di remoti scuri/ spiare i mezzi camuffati/ e
tu senza esempi/ la notte raschiata/ e la memoria.”.
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