Il travaglio aspro eppur
suggestivo e fecondo dell’esistere
nella poesia di Giovanni
Tavčar
Il
solido impianto concettuale che sostiene e caratterizza l’elaborazione
artistico-letteraria del poeta triestino si obiettiva, nei versi della più
recente raccolta significativamente intitolata Tra speranza e angoscia (Guido Miano Editore, Milano 2022), nell’esplicita
rivendicazione dell’essenzialità dell’atto del pensare, nella sottolineatura della primarietà della riflessione
critico-intellettuale quale tratto qualificante la vicenda storica e morale
degli uomini: «Nessun pensiero / che
attraversa la nostra mente / lo fa per caso / (…) Perché esistere vuol dire / pensare, / soppesare, scegliere, / decidere
/ e così formare la nostra / autocoscienza. // E nell’autocoscienza / il nostro
io vive l’audace / avventura umana, / illuminata dal
luminoso faro / del pensiero» (Pensare). I miei corsivi intendono
innanzitutto porre in risalto la perizia compositiva di cui l’autore dà prova
in un testo dal suggestivo equilibrio circolare e contraddistinto dall’impiego
meditato dell’enjambement e dalla
predilezione della serie enumerativa,
una peculiarità linguistico-espressiva, quest’ultima, ricorrente nella ricerca
lirica di Tavčar: «Spesso
/ ci lasciamo incantare / da chimerici castelli / di cartapesta, / da
luccicanti illusioni, / da baluginanti lustrini, / per sfuggire / alle ansie
della vita, / ai buchi neri disseminati / dal nostro essere opaco / e stravolto
//…» (Illusione); «L’armadio che non
si apre, / l’orologio che continua il suo sonoro / e snervante ticchettio, / i
tarli che rodono il legno, / il computer che non si accende, / gli appunti illeggibili,
/ la radio che gracchia, / il rubinetto che perde, / la vicina che strepita e
urla, / la lametta consunta del rasoio / che mi regala abrasioni, /
l’asciugamano pulito che non si trova /…» (Grigia
previsione).
Il
titolo del libro vale poi l’indicazione “avantestuale” della fondamentale ambivalenza propria di una concezione
della realtà intimamente bilicata fra la dura, impietosa constatazione del “mal
di vivere” - con le ansie, i dolori, le frustrazioni logoranti, lo sconforto
che affligge e costerna -, e, contrastivamente, l’adozione di un atteggiamento
fiducioso, l’affermarsi di un animus
positivo e persino appagato, nell’alternanza di taedium e di amor vitae.
«Stare
dentro l’angoscia / è una situazione / che rode e divora. // Un rotolìo furioso
/ di cieli contrariati, / di venti mordaci, / di perse ragioni. // Singulti di
ore / che scompigliano / passi senza domani, / recinti inossidabili. // Un
consumarsi continuo / che spegne / i già deboli e rari barbagli / di luce» (Angoscia); e in un rapido moto diadico,
in un sorprendente rovesciamento sentimentale e ritmico: «Amo i colori, la
musica, / la luce, / i cosmici respiri / che alimentano la mia sete / d’infinito.
// La bellezza m’incanta / e mi fa cantare / all’unisono con i suoni, / mi fa
volteggiare / come un albatro / sull’immensa superficie / dei mari, / mi fa
riposare sui declivi / della mia sorte. //…» (Sto aspettando), con il correlativo apprezzamento della serenità, della giovinezza, dei momenti di gioia
che per “miracolo” scaturiscono dal mistero
dell’esistenza: «Sotto la spinta / dei sogni / il risveglio si è rivelato /
stamattina / roseo e incantato. // Immagini / colorate e fiorite / mi
saltellavano intorno, / (…) // E la mia giornata / si è miracolosamente /
rivestita / di insperate gioiosità» (Insperate
gioiosità).
Risulta
pertanto del tutto consequenziale nella struttura dei testi la diffusa
formalizzazione dei contenuti etico-culturali attraverso la figura dell’antitesi e agevole sarebbe
l’esemplificazione; in questa breve nota mi preme segnalare il nesso oppositivo
costrizione/libertà: «…/ Itinerari di passi / senza mète / smembrate fantasie, /
echi di nuove paure. // Talvolta smarriamo / la giusta direzione / e ci
troviamo impantanati / in limacciosi grigiori / dai quali / è molto difficile
uscire» (Talvolta).
Nel
campo della coazione è la triste
esperienza dello spazio chiuso e soffocante, della deiezione spirituale,
dell’inaridimento interiore; in quello dell’autonomia
sono la spazialità aperta, l’aspirazione all’autenticità e la speranza della felicità: «Rinchiuso /
tra le quattro mura / della mia stanza / penso e rimugino sul senso / della
vita, / vigilo, fisso lo sguardo / sulle case / e sulle vie che mi / circondano,
/ ma non aspetto nessuno. // Eppure / so che prima o dopo / qualcuno verrà, / deve
venire, / a ristorare le mie pene, / a perdonare / le mie mancanze, / a guarire
/ le mie ferite / e mi trasporterà / verso orizzonti senza / confini, / verso
dimore senza mura. // So che qualcuno verrà. // Sicuramente» (Qualcuno verrà).
È arduo, pure per un artista sensibile
e generoso come Giovanni Tavčar,
raggiungere un punto di stabile sintesi fra tali spinte confliggenti; e la
composizione può talora darsi, piuttosto che in una condizione di armonia
psicologica e affettiva pienamente realizzata, nella sofferta tensione
propositiva, nell’impegno idealmente costruttivo avvertito quale compito
storicamente e precipuamente assegnato alla specie umana: «Se facessimo conto /
di tutte le cose che non tornano, / allora dovremmo dichiararci / battuti,
vinti, sconfitti. // Ma la nostra coscienza / ci dice / che dobbiamo insistere,
/ proseguire / nel nostro cammino, / alimentare / la gioia del nostro sorriso, /
affinché si diffonda / e divampi / anche sui volti / di chi ci attornia. //
Solo così / porteremo a compimento / il compito / che ci è stato affidato / in
questa vita» (Compito).
Floriano Romboli
Giovanni Tavčar, Tra speranza e angoscia, prefazione di
Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2022, pp. 84, isbn 978-88-31497-85-5,
mianoposta@gmail.com.
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