Caro Nazario,
Con l'iniziativa del 15 p.v.siamo giunti all'ultimo
incontro della rassegna "Autori allo specchio".
Se vorrai ospitare l'articolo te ne sarò grata!
Con un abbraccio
Valeria
Prosegue mercoledì 15 p.v. alle 18 presso il caffè
storico letterario dell'Ussero di Pisa la rassegna "Autori allo
specchio" ideata e condotta dalla professoressa Valeria Serofilli,
presidente fondatrice di AstrolabioCultura.
Lo specchio letterario ospiterà gli autori Peter
Genito, poeta, scrittore e promoter di Firenze, e la poetessa Annalisa
Ciampalini con cui Serofilli dialogherà con domande inerenti le loro
pubblicazioni rispettivamente il romanzo "Agguato al lago Rosso"
Ed.Porto Seguro)e "Tutte le cose che chiudono gli occhi"(Italic
peQuod poesia), quest'ultimo con prefazione di Serofilli.
Letture degli autori e di Rodolfo Baglioni.
Per
prenotazioni: Simonetta Romani 3387272237
Nota a lettura di Valeria Serofilli al romanzo
"Agguato al lago rosso" di Peter Genito
Un giallo di ben 286 pagine "Agguato al lago
rosso" edito per i tipi di PortoSeguro nel 2021, che fa parte di una
trilogia scritta da Peter Genito, narratore, poeta e performer. L'opera si
inserisce nel solco del romanzo del genere che riscuote interesse e attenzione
tra i lettori di ogni parte del mondo. Ci sono tuttavia diversi tratti
distintivi nel libro di Peter Genito: in primo luogo una caratterizzazione
attenta dei personaggi, da cui emergono sia le caratteristiche psicologiche sia
quello che potremmo definire un mondo sotterraneo, in ombra, il lato oscuro
della luna che ciascun essere umano racchiude e cela dentro di sé. È
interessante, quindi, e di notevole presa, sia narrativa che emotiva, la
possibilità di proiettare la vicenda specifica narrata nel libro, sul quadro
più ampio delle psicosi moderne, del senso di perdita, di smarrimento. Nel caso
in questione, lo stravolgimento della vita ordinaria e a suo modo rassicurante
della protagonista, diventa specchio di smarrimenti di più ampio respiro, la
perdita di punti di riferimento essenziale su cui fa perno la nostra esistenza
cosiddetta reale. Il commissario Oronzo Mazzotta, torna in scena in questo
libro di Genito, non solo per indagare su un mistero specifico ma anche per
aiutare il lettore ad esplorare, tra gesti e fatti concreti, il magma sfuggente
ed impalpabile della psiche umana. Il romanzo diventa anche, forse suo
malgrado, uno specchio di questi tempi che stiamo vivendo, di questo senso di
minaccia e di pericolo che incombe su di noi. Tocca al lettore scegliere, caso
per caso ,se identificarsi con Cristina e con i suoi traumi, con il marito che
cerca di salvarla dal suo passato, oppure con il commissario alla ricerca del
bandolo della matassa. Di sicuro sarà divertente e interessante seguire passo
dopo passo l’indagine e la soluzione di un mistero a lungo irrisolto. Per
scoprire se davvero tutti i nodi sono venuti al pettine o se il finale, come
spesso accade, è più che mai aperto.
Valeria Serofilli, per la rassegna
Autori allo specchio dell'Ussero di Pisa del
15.6. 2022
Prefazione di
Valeria Serofilli al volume "Tutte le cose che chiudono gli occhi" di
Annalisa CiampaIini hi
È coerente il percorso di Annalisa Ciampalini, la
strada espressiva intrapresa e condotta con costanza. Si muove tra visione e
riflessione, buio e ricerca di luce, corporeità e nitidezza. E non è casuale il
titolo di questa sua raccolta: "Tutte le cose che chiudono gli
occhi". È adeguato allo specifico dei testi che compongono la silloge e
anche al percorso più ampio a cui si è fatto cenno in precedenza; la chiusura
degli occhi è un gesto in apparenza minimo, quasi impercettibile, eppure in
grado di contenere vasti orizzonti di significati e di simboli. In primo luogo
il punto che separa ed unisce la veglia dal sonno (e quindi dal sogno) e la
morte dalla vita. In quel gesto minimo è racchiuso il tutto. È anche un gesto
di estrema dolcezza e delicatezza, che tuttavia esprime anche la forza di una
necessita che è altresì, potenzialmente, una scelta. Chiudere gli occhi vuole
poter dire anche schierarsi altrove, scegliere di non vedere, non guardare,
rifugiarsi in un mondo altro, differente.
L’esergo, tratto dai versi dell'amica Silvia Bre,
contribuisce anch’esso a determinare l’atmosfera, l’approccio, il punto di
vista: “Come quando in una qualche stagione / spicca l’istante che la farà
nostra”. Il libro della Ciampalini parla della ricerca di quell’attimo, di
quella stagione, di quel tempo che si distingue perché rivela ciò che veramente
siamo, l’essenza. A tutto ciò si collega anche l’inizio del libro, la lirica
iniziale: “I nostri corpi complementari / il tuo chiarore / la mia esile
oscurità. / Tua è la pietra dell’inverno / il seme dormiente nel giaciglio
scuro / le mani che sanno dove premere. / A me resta l’albero lontano / il
bianco che si accumula piano / il fiore pallido / esitante tra le dita”. La
cito nella sua totalità perché contiene in sé molte parole chiave, molti spunti
utili ed illuminanti. Prima di tutto una diversità che però risulta essere “complementare”.
Tutto ciò ci riporta ai contrasti fondamentali a cui si è fatto cenno
all’inizio di questa disanima. Dicotomie che costituiscono il filo rosso
dell’intera raccolta. Chiarore e oscurità, innanzitutto, che fa pensare anche a
quegli occhi, a quelle palpebre aperte e chiuse evocate nel titolo. La poetessa
si descrive di riflesso, per contrasto, appunto. Nei confronti di un
destinatario reale, un “tu” a cui si rivolge, un compagno di viaggio, o forse
di vita. Ma quell’essere in carne e ossa potrebbe essere anche a sua volta un
simbolo, una metafora: potrebbe essere la vita stessa, o forse la poesia, o
forse il doppio che ciascuno di noi ospita dentro di sé, la controparte della
propria luce e del proprio buio. La complementarietà che è necessaria per definire
noi stessi in rapporto al mondo. Non sono mai puramente descrittivi i
riferimenti della Ciampalini. Il giaciglio scuro, l’albero lontano il fiore
pallido, non sono richiami estetici o un contorno. Si tratta dell’essenza, del
punto di confine che allo stesso punto separa ed unisce due modi di essere e di
vedere.
La silloge si muove tra gli estremi del tempo, inteso
come sequenza cronologica ma anche come susseguirsi di calore e gelo, buio e
oscurità. Ancora una volta questo contrasto è essenziale: il buio si distingue
dalla luce e ognuno concede all’altro senso e significato. Ci sono varie poesie
in questo libro dedicate all’inverno, alla stagione che attende inesorabile.
Sappiamo che arriverà, ma non è un caso che la poetessa sottolinei più volte l’impossibilità
di farsi trovare pronti, preparati. L’inverno non è solo la controparte
dell’estate. È una condizione più ampia, una stagione interiore. Interessante,
è giusto confermarlo, è l’intreccio che si crea nelle liriche di questa
raccolta tra il clima meteorologico e lo scorrere del tempo umano. Tra i colori
del cielo e gli stati d’animo.
“La fragilità sta nel verso che non dura / scriverlo
su carta / voltarsi per leggerlo di nuovo / e il segno muore. / Il verso
frontale volitivo e pieno / la parola stretta sotto la palpebra che duole / e
poi il vuoto”.
Questi versi riassumono bene l’intento, l’approccio a
cui si è fatto riferimento: la caducità di ogni cosa umana, ribadita,
confermata. Ma, accanto ad essa, la volontà e di necessità di scrivere su carta
quella fragilità che è punto di partenza e di arrivo allo stesso tempo. Così
come la stessa palpebra che muore ma conferma di essere stata viva con l’atto
stesso di provare dolore.
Per trovare nelle liriche della Ciampalini un chiarore
di speranza, bisogna attendere una lunga, adeguata riflessione sul contrasto
fondamentale. “La luce sulla soglia / è promessa di futuro / un sogno
bisbigliato all’orecchio. / Un’alba che vince / la sua stessa agonia”.
La luce non è certezza, è promessa. Non è una realtà
conseguita e assoluta. È un sogno. Ma è un sogno essenziale alla vita stessa.
Proprio perché nasce dalla certezza reale del dolore ma sa andare oltre.
Nonostante tutto. A dispetto di tutto.
Una silloge matura, consapevole, questa di Annalisa
Ciampalini. Percorsa con attenzione al dettaglio, alla sfumatura. Mai distratta
da frasi roboanti ma vuote. L’autrice si muove all’interno di simboli costanti
e fondamentali esplorando un'ampia gamma di richiami e di rimandi. Il dolore è
alimento di tutti i versi, e la conquista di una stagione di luce, anzi di un
istante di luce, passa attraverso una lunga serie di immagini di fragilità e di
oscurità, il processo necessario per acquisire una visione nitida, accurata:
“Le parole -poche, solo d’annuncio / si dispongono a contorno della scena. /
Luce condivisa, forma circolare di un’idea. / Perfetta, mai pronunciata
aderenza”. Alla fine della silloge e della strada espressiva da essa percorsa,
resta una ferita che non si cuce. Ma il libro della Ciampalini è una
interessante e sincera testimonianza in versi della volontà della poesia di
aprire le palpebre sul dolore individuale e sul buio del mondo, trattenendo,
nel riflesso, la scommessa della luce.
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